Un po’ di storia
Guilty Gear nasce dalla mente del poliedrico Daisuke Ishiwatari, all’epoca semplice studente giapponese con una spiccata passione per la musica. La volontà di scrivere storie indusse il futuro developer ad accantonare il sogno di fondare una band, optando però – per nostra fortuna – per il mondo dei videogiochi. Oltre ad essere compositore e musicista, Ishiwatari non è certo estraneo all’illustrazione: l’obiettivo di arricchire la propria musica con qualcosa di visivo portò quindi il giovane artista a gettare le basi per un possibile videogame -di fatto, ancor prima di rimediare un reale impiego nell’industria videoludica.
Dopo gli ultimi anni scolastici, qualche lavoretto minore ed un’assunzione all’allora sconosciuta casa di sviluppo Arc System Works, Daisuke trovò il coraggio di farsi avanti, proponendo al presidente della propria azienda il progetto di un picchiaduro quantomeno atipico.
Nacque dunque Guilty Gear.
Con la popolarizzazione del genere a inizio anni ’90, il mercato si ritrovò saturo di fighting games in 2D (sostanzialmente, cloni di Street Fighter II); l’avvento del 3D polarizzò tuttavia l’attenzione del pubblico, che finì col focalizzarsi (durante la seconda metà del decennio) più su prodotti affini a Tekken e Virtua Fighter. Gli unici colossi ancora dediti alla realizzazione di picchiaduro di stampo classico, sembravano insomma essere Capcom ed SNK. Fu proprio Arc System a cambiare le carte in tavola, proponendo un prodotto fin troppo curato e professionale per una società apparentemente spuntata dal nulla. Inutile dirlo, Ishiwatari mise anima e corpo nel progetto: non solo in quanto produttore e game designer, bensì scrivendone la storia, componendo la soundtrack ed ideando il design dei personaggi (arrivando persino a doppiarne il protagonista).
Bypassando interamente il rituale passaggio per i cabinati arcade, Guilty Gear approdò direttamente su PlayStation nell’ormai lontano ’98. Vero e proprio grido di ribellione nei confronti di un ambiente sempre più stagnante, il titolo riuscì a sorprendere per il bizzarro mix di meccaniche insolite, personaggi stravaganti e sonorità rockeggianti proposte. Guilty Gear non teme a dilettarsi nell’eccesso, sfoggiando un’estetica tipicamente anime fondata non di rado sull’esagerazione volontaria, sul “cool” fine a sé stesso, condendo il tutto con una colonna sonora tale da rispecchiare appieno la passione per l’heavy metal del game designer. Incapace di raggiungere il mercato mainstream, il titolo finì comunque col generare un discreto cult following, accumulando abbastanza profitti e visibilità da garantire la produzione di un sequel. Il primo di una lunga, lunghissima serie.
Sequel su sequel
Lo sviluppo di Guilty Gear X durò meno di due anni. Con il passaggio a Dreamcast e PS2, Arc System ebbe modo di sperimentare per la prima volta con i tipici sprites in high-res che contraddistinguono lo stile della compagnia: definito alla release “tra i titoli 2D più spettacolari mai realizzati” (almeno, visivamente parlando), il gioco eccelleva anche in termini di fluidità delle animazioni. Tra la versione arcade uscita in anteprima, ed i successivi porting (anche per Windows), Guilty Gear X superò ampiamente la popolarità del proprio prequel, consolidando la posizione di Arc System nell’ambiente dei fighting games. Il titolo non si limitò ad aggiornare la grafica del predecessore, introducendo nuovi combattenti e meccaniche -come le Instant Kill, o la possibilità di cancellare le proprie mosse (sfruttando le Roman Cancel). Successive re-release del gioco (quella arcade del 2003, denominata “ver 1.5“, ne rappresenta l’ultimo esempio) contribuirono a bilanciare e rifinire il picchiaduro, arrivando ad aggiungere persino personaggi inediti (sebbene in esclusiva giapponese, con la versione X Plus).
Il reale successo giunse però con Guilty Gear XX, effettivo sequel di GGX. Probabile incarnazione 2D più nota del brand, il gioco (talvolta chiamato X2) conquistò la critica: oltre ad essere più ricco in tutti i sensi (dal combat system al roster), affiancava alle modalità più classiche una story mode degna di questo nome, per la prima volta dalla creazione del brand. Provvista di doppiaggio (in giapponese) e finali multipli per ogni personaggio, la modalità contribuì non di poco all’espansione della lore di Guilty Gear, permettendo finalmente ad Ishiwatari di sbizzarrirsi davvero con la trama della serie.
A prescindere dalle soddisfacenti vendite del titolo, Arc System resta una compagnia relativamente contenuta: le difficoltà pratiche nel realizzare ad ogni release un prodotto completamente nuovo, ed il feedback dell’utenza (tale da spingere i developer a voler migliorare sempre più il proprio prodotto), generarono una – nemmeno troppo – peculiare tendenza che tuttora contraddistingue Arc System. I ricavi di XX, del merchandise e di qualche spin-off minore finanziarono sostanzialmente la realizzazione di una versione “aggiornata” del titolo, che a sua volta, permise al team di lavorare ad un’ulteriore revisione… e così via. In altre parole, un modello di business simile a quello popolarizzato da Capcom anni fa (solo, con molto meno budget alle spalle). Con la versione X2 Reload, e la successiva XX Slash, il gioco venne quindi arricchito con nuove combo, personaggi, moveset, e persino un nuovo HUD.
Nuovi progetti
Con la popolarità derivante dai Guilty Gear, Arc System finì inevitabilmente col lavorare alla realizzazione di qualche titolo su licenza per conto di svariati publisher (talvolta, anche di rilievo). Oltre alla serie Dragon Ball: Supersonic Warriors, pensata per portatili Nintendo (GBA e DS), la compagnia si occupò di un picchiaduro sulla saga di Ken il Guerriero (commissionato da Sega), nonché di un ennesimo fighting game per Capcom (basato sulla serie Sengoku Basara). A prescindere dall’accoglienza generalmente tiepida/positiva, nessuno dei progetti “minori” di Arc System fu mai in grado di raggiungere davvero la raffinatezza e le qualità dei Guilty Gear, ancora vera punta di diamante della compagnia. Nonostante la risoluzione e l’aspect ratio mantenuto in 4:3, nuove revisioni di XX continuarono ad alternarsi nel corso degli anni, passando dagli arcade (2006) alla PS2 (2007, 2008), da Nintendo Wii (2007, 2009) a PSP (2008), da Xbox 360 a PS3 (2012, 2013), da PSVita (2013) a Windows (2015). I fans ebbero quindi modo di godersi Guilty Gear XX Accent Core, XX Accent Core Plus e XX Accent Core Plus R, tuttora versione “definitiva” del gioco.
La costante aggiunta di contenuti ed il certosino ribilanciamento dei personaggi non bastarono però a salvare la serie dall’assomigliare, col passare del tempo, sempre più a sé stessa. Con la venuta della settima generazione di console Arc System tentò quindi di rinnovarsi, proponendo un nuovo franchise -seguito spirituale di Guilty Gear: il pubblico venne per la prima volta a contatto con la nuova, fortunata saga di BlazBlue. Lo stesso Ishiwatari (comunque coinvolto nella nuova serie, sebbene in veste di semplice compositore) sembrò quasi mettere da parte la propria creazione, salvo qualche ulteriore revisione minore (ed un azzardato approccio alternativo di sperimentazione con il brand). Giunto nel 2009 in Europa, a meno di un anno dalla release americana, Guilty Gear 2: Overture prese infatti una strada completamente differente da quanto provato fino ad allora: sfoggiando chiare influenze da Devil May Cry e Dynasty Warriors, il titolo univa un gameplay in terza persona (con mosse speciali/animazioni della propria controparte 2D) ad una formula che prende in prestito senza troppa vergogna vari elemento dai generi MOBA ed RTS. La bizzarra chimera non riuscì a convincere la critica occidentale, distanziandosi oltretutto dall’estetica tipicamente manga (in origine, dichiaratamente ispirata a Bastard!!) tanto cara al pubblico nipponico.
Un nuovo inizio
Dopo anni privi di release davvero significative, Guilty Gear tornò infine alla ribalta con un effettivo, nuovo progetto, capitanato ancora una volta dall’instancabile Ishiwatari. Originariamente sviluppato da un team interno ad Arc System (composto da 25 membri chiave, contro i 15 scarsi del primissimo capitolo), il titolo venne concepito con l’intenzione di svecchiare il brand, tentando di raggiungere un’utenza nuova e possibilmente più ampia. Alle prese con quello che, a tratti, sarebbe finito col diventare una sorta di soft-reboot della serie, il cosiddetto Team Red fu costretto ad affrontare la più feroce delle concorrenze: inaspettatamente, si trattò dell’altra serie principale di Arc System, BlazBlue.
A prescindere dal rapporto simbiotico con l’ambiente degli arcade, i titoli principali della compagnia hanno sempre rispettato il salto generazionale (tra una console e l’altra, insomma), vantando costantemente di netti miglioramenti visivi: la grafica del primo Guilty Gear, ad esempio, non sfigurava affatto su PlayStation, ma furono le successive release su PS2 a dar vero sfoggio dell’abilità nel 2D di Arc System. Conseguentemente anche BlazBlue, sperimentando in ambito bidimensionale con l’HD ed il widescreen, non fallì nel trasmettere un evidente salto qualitativo rispetto alle produzioni precedenti.
Insomma, il caratteristico stile “animato” con sprites in alta definizione, originariamente introdotto con Guilty Gear X, è stato ripreso e perfezionato dai giochi di Ragna e soci, lasciando relativamente poco spazio ad eventuali, ulteriori miglioramenti.
Il problema è stato quindi aggirato con una soluzione banale quanto azzardata: dare davvero, per la prima volta, una chance al 3D -al modico costo d’infrangere una sorta di tabù, in termini di picchiaduro Arc System. In fondo, Guilty Gear 2 è solo uno spin off – privato oltretutto delle proprie parvenze anime -, ed il rischio di ripetere gli errori di altre innumerevoli software house (incapaci di traslare degnamente i propri franchise 2D alle tre dimensioni) non poteva che incombere.
L’escamotage trovato dal Team Red resta tuttora, senza mezzi termini, uno degli esempi più fenomenali di approccio al 3D in ambito videoludico. Ispirandosi ad una peculiare tecnica di cel shading sviluppata per un progetto interno ad Arc System (oltretutto, cancellato), il nuovo Guilty Gear (denominato Xrd e sottotitolato -SIGN-) emula in una maniera semplicemente impressionante lo stesso, classico e rassicurante 2D che si lascia alle spalle. Pur optando per l’economico ed orami datato Unreal Engine 3 (che sostanzialmente, velocizza la realizzazione di porting su altre piattaforme), il team è riuscito ad ideare una serie di shader personalizzati per mantenere efficientemente l’illusione di bidimensionalità. Posizionando i modelli dei personaggi ad una leggera distanza l’un l’altro (rispetto all’asse Z), il titolo riesce inoltre a privarsi di eventuali, fastidiose compenetrazioni poligonali, deformando al contempo i modelli nei background (per garantire al tutto una certa dinamicità, accentuandone il movimento orizzontale). Persino le animazioni dei personaggi, vantando di frame volutamente ridotti, non falliscono nell’imitare il comportamento dagli sprites; il lavoro dietro all’aspetto visivo del titolo fu chiaramente vasto e minuzioso, eppure l’aspetto più riuscito del gioco resta probabilmente il gameplay.
La serie Xrd
Pubblicato nel 2014 (o 2015, se si considera la release europea), Xrd segnò ufficialmente il degno ritorno dell’amata saga, proponendo un mix di vecchie meccaniche (per garantire, pad alla mano, la sensazione di star giocando effettivamente ad un vero Guilty Gear) ed elementi inediti; fu però la scarsità nei contenuti (unita ad una modalità storia dalle scelte quantomeno bizzarre) a frenare l’entusiasmo della critica. Tra gli strettissimi tempi di sviluppo, le ridotte dimensioni di Team Red ed il budget a dir poco risicato, il titolo non poté che limitare il proprio roster a tredici personaggi (più uno nell’iniziale release su console). Conoscendo Arc System ed il modello di business recentemente collaudato con BlazBlue, era lecito aspettarsi la release di parecchi, futuri DLC (oltre che effettivi seguiti); come se non bastasse, una serie di tempistiche evidentemente mal calcolate portò i fan europei a poter mettere le mani sul gioco solo successivamente all’annuncio del sequel – evidentemente, più ghiotto a livello contenutistico –, scoraggiando molti all’acquisto.
Nell’agosto del 2015 giunse quindi l’inevitabile Guilty Gear -REVELATOR-, primo tra i sequel di Xrd. Con l’aggiunta di guerrieri classici e l’introduzione di qualche nuovo combattente, il titolo garantiva fin da subito l’accesso a 20 personaggi di default (esclusi tre DLC, di cui uno sbloccabile tramite valuta in-game), espandendo la modalità storia ed apportando persino qualche minore miglioria grafica -in particolar modo, ad illuminazione e particellari. Se, a suo tempo, -REVELATOR- non riuscì ancora a convincervi, con il nuovo Guilty Gear: REV 2 è forse tempo di dare davvero una chance al prodotto (dopotutto, l’intero pacchetto risulta tuttora reperibile intorno ai 40 euro). Se, al contrario, possedete già -REVELATOR-, è opportuno valutare l’acquisto del nuovo capitolo con più cautela.
Mettiamo in chiaro le cose: REV 2 rappresenta ad oggi l’upgrade contenutisticamente più scarno di Xrd (sebbene erediti interamente quanto offerto dei predecessori, ovviamente). C’è una ragione se parlo di “upgrade”: oltre a non essere venduto a prezzo pieno, il titolo è reperibile in quanto sorta di espansione (a circa 20 euro) per tutti i possessori del precedente -REVELATOR-. Scelta tutto sommato sensata, se si considera la riproposizione quasi totale di contenuti ed assets interamente riciclati dai precedenti capitoli (persino il menù appare sostanzialmente identico a quello del predecessore, se si esclude la nuova colorazione dello sfondo).
REV 2
A livello di combat system, il titolo si propone di bilanciare l’ormai ampio cast di lottatori, senza però rivoluzionare in alcun modo le meccaniche: anche considerando le piacevoli (quanto inconcludenti) aggiunte alla modalità storia, il piatto forte della produzione resta insomma l’aggiunta dei due tanto anticipati personaggi inediti. Answer e Baiken, rispettivamente new entry e personaggio classico della serie, arricchiscono il roster rispecchiando appieno le abilità di Arc System, regalando potenzialmente ore ed ore di gioco a chiunque intenda tentare di imparare a padroneggiarli a fondo.
Insomma, diciamocelo: se siete già fan storici della serie (o, ancor meglio, di Arc System Works in generale), è lecito assumere che sappiate perfettamente a cos’andare incontro, con l’acquisto di REV 2. Se invece siete nuovi alla saga e vi stuzzica l’idea di approcciare un picchiaduro innegabilmente più tecnico della norma, l’offerta del pacchetto potrebbe comunque allettarvi per ragioni differenti.
Inutile negarlo: di primo impatto, Xrd può spiazzare. Il titolo offre decisamente più opzioni rispetto ai picchiaduro più tipici, consentendo di personalizzare a fondo la propria esperienza (adattandola in tutto e per tutto alle proprie esigenze e preferenze, dall’aspetto visivo alle effettive opzioni concernenti le battaglie). REV 2, come del resto i propri predecessori, tenta comunque di fare il possibile per venire incontro ai nuovi giocatori -offrendo una profonda modalità tutorial, la possibilità di allenarsi sperimentando (in maniera guidata) con le combo di tutti i personaggi, ed una modalità a missioni per allenarsi con specifiche tecniche più avanzate. Insomma, il Dojo rappresenta chiaramente la sezione del gioco da cui partire, per i profani.
Meno legnoso di altri titoli più tecnici, il combat system di Guilty Gear Xrd resta tutto sommato godibile anche agli occhi di chi punta ad un’esperienza meno impegnata. L’azione di gioco è frenetica, incatenare combo risulta abbastanza facile anche per i meno esperti, e se si è proprio negati (o ci si vuole semplicemente sollazzare con un po’ di button smashing gratuito), c’è sempre la modalità Stylish, che permette di performare impressionanti combo (e parare con tempismo perfetto) con il minimo sforzo.
Gameplay da una parte, storia dall’altra
Con un gameplay simile, però, sarebbe uno spreco limitarsi ad una modalità parzialmente “automatica”: Guilty Gear si è sempre distinto per la raffinatezza ed unicità delle proprie meccaniche, ed un’esperienza così guidata non potrà mai regalare appieno la soddisfazione, ad esempio, dell’eseguire correttamente un Dead Angle Attack in reale autonomia, vincendo a sorpresa un match che già si dava per perso. Oltretutto, il block automatico degli attacchi andrebbe a nullificare completamente la profondità del sistema di difesa di Xrd, che affianca alla parata standard (a terra quanto in aria) la possibilità di eseguire Instant Block (con bonus parando all’istante giusto), Faultless Defense (il nome è tutto un dire), Blitz Shield (contromossa per stunnare l’avversario) e Bursts (che ricordano a tratti qualche vecchio episodio di Dragon Ball, in quanto a sobrietà).
Xrd è però tutto fuorché un picchiaduro “tranquillo”: la presenza del Tension Meter forza il giocatore a mantenere viva l’azione su schermo, con tanto di Negative Penalty per assicurarsi che non ci si affidi troppo ad un’approccio più difensivo. Tornano chiaramente meccaniche amate nei capitoli 2D della serie, come le Instant Kill -ma soprattutto, le Roman Cancel: già semplificate con -SIGN-, in REV 2 hanno visto un’ulteriore rimaneggiamento, ora fruibili nel concreto da chiunque (offrendo sostanzialmente più tempo per eseguire le proprie mosse dopo l’uso della meccanica).
Imparate le basi, il consiglio è comunque di fiondarsi sull’Arcade. Più che la modalità M.O.M (che permette, scontro dopo scontro, di personalizzare i propri personaggi) è forse più opportuno focalizzarsi sulla modalità “Episodi“, essenziale per comprendere l’ingarbugliata trama del titolo (comunque più semplice da seguire rispetto a quanto visto con BlazBlue).
Terminato l’Arcade, non resta che godersi la lunga modalità storia… per qualche ragione, del tutto priva di gameplay. La scelta, impopolare tra la stampa occidentale, non sembra turbare troppo il pubblico giapponese, apparentemente ben disposto all’assistere ad ore ed ore di cutscene senza la benché minima interazione (salvo quanto serve, beh, per evitare alla console di spegnersi). Non fraintendiamo: se la modalità storia di BlazBlue poteva ricordare più una visual novel intervallata da qualche sporadico scontro, ciò che Guilty Gear propone è invece affine ad un vero e proprio anime -non privo di budget, oltretutto. La cura è davvero impressionante – superando esteticamente molti anime che goffamente tentano di questi tempi l’ostico passaggio al 3D –, la regia risulta tutto sommato piacevole (per essere un primo tentativo), e la storia ha senza dubbio il potenziale di catturare chiunque (perlomeno, chiunque non sia per natura avverso agli anime, ai loro cliché, alla loro estetica e le relative esagerazioni).
In conclusione…
Se la trama di molti picchiaduro tende ad essere spesso alquanto risicata (viene in mente quanto offerto da Capcom alla release di Street Fighter V), nel caso di Guilty Gear si arriva ad esagerare in senso opposto, ponendo il giocatore do fronte a quello che, di fatto, si presenta come una sorta di lungometraggio (con enfasi sul “lungo”). Fortunatamente risulta possibile salvare i propri progressi per interrompere la visione, permettendoci di fruire con calma dei contenuti offerti dalla storia. È anche possibile mettere in pausa il “film” per approfondire eventuali terminologie/eventi citati nei dialoghi, collegandosi alla vasta libreria interna al gioco denominata GG World (strumento indubbiamente utile se si è interessati a vita, morte e miracoli di quest’ampia lore in lenta espansione dalla fine dei ’90). Durante un’intervista del 2012, lo stesso Daisuke Ishiwatari è stato abbastanza chiaro: Arc System è a tratti incapace di generare reale profitto dalla semplice vendita di copie retail, rendendo quasi necessaria la stesura di complesse trame -capaci di interessare un ampio pubblico – nipponico – a prescindere dall’effettivo gameplay (consentendo sostanzialmente il fiorire di un ricco mercato sul merchandise). Purtroppo la cosa non sembra funzionare particolarmente con il mercato occidentale, ma questo non impedisce di dare una chance al gioco, qualora si volesse provare qualcosa di (quantomeno) diverso dal solito.
In ogni caso, sia chiaro: REV 2 non conclude la storia, aggiungendo semplicemente un nuovo tassello alla saga di Guilty Gear Xrd (destinata inevitabilmente a continuare con un successivo capitolo).
Se alla trama si preferiscono comunque le botte, con un po’ di coraggio sarà possibile pensare di approcciare l’online.
Il netcode riprende grosso modo quanto visto con -REVELATOR-; per qualche ragione, il gioco impone di servirsi (per raggiungere a tutti gli effetti il multiplayer) della sorta di componente social applicata alle lobby (a dirla tutta piuttosto futile, per quanto esteticamente gradevole). Se siete nuovi al titolo fate attenzione, comunque: in quanto picchiaduro estremamente tecnico, la differenza tra le skills di un novellino appena uscito dalla modalità Arcade, ed un qualunque giocatore effettivamente in grado di padroneggiare il proprio main, rischia d’essere semplicemente abissale. Pertanto, l’online è consigliato solo a chiunque abbia effettivamente la pazienza di affinare la propria tecnica, specialmente per mezzo della modalità Mission (senza bisogno di arrivare a chissà quali livelli competitivi, chiaramente).
– Estremamente tecnico
– Combat system frenetico e divertente
– Roster vario, con ottime nuove aggiunte
– Varie modalità per allenare i principianti
– Prezzo ragionevole
– La modalità storia, ancora priva di gameplay, non piacerà a tutti
– Decisamente meno contenuti aggiuntivi rispetto a REVELATOR
– La trama resta inconclusa
Concepita dalla mente ribelle del giovane Daisuke Ishiwatari, la saga di Guilty Gear continua a rockeggiare tra arcade e console dalla fine dei ’90. Dopo aver scosso un mercato sempre più statico con un’inaspettata release su PS1, Arc System riuscì a consolidarsi lentamente tra i pilastri dell’ambiente dei fighting games 2D, proponendo una serie di titoli frenetici e sempre più ricchi di contenuti (tra tutti, vengono in mente GGX ed X2). Dopo anni di relativo silenzio, la serie è tornata alla ribalta con nuovo capitolo, primo vero approccio al 3D (escludendo gli spin-off) dalla creazione della saga: per quanto la bizzarra modalità storia abbia fatto storcere il naso a qualcuno, il gameplay rinnovato ed il particolarissimo cel-shading adottato dal talentuoso Team Red furono tali da conquistare pienamente critica quanto pubblico. Dopo il ricco sequel -REVELATOR-, Guilty Gear Xrd si manifesta ancora una volta con una nuova release.
Da un lato, l’offerta di REV 2 non può che allettare: considerando il pacchetto nella sua interezza, si tratta sostanzialmente di mettere le mani su uno dei picchiaduro migliori della storia (dal punto di vista del gameplay quanto nel visivo); Guilty Gear: Xrd REV 2 merita insomma la completa attenzione di tutti i fan dei fighting games 2D che ancora non l’hanno ancora provato, specialmente se si considera l’onesto prezzo ridotto. Se però possedete già -REVELATOR-, l’upgrade va valutato più cautamente, consistendo a malapena in una coppia di personaggi inediti (per quanto, estremamente ben realizzati), una frazione di storia aggiuntiva e qualche ritocco minore al bilanciamento.