Se avete almeno una trentina d’anni e provate a pensare alle glorie dei mitici anni ’80, è quasi impossibile che non vi venga alla mente nulla dei cari Acchiappafantasmi. Probabilmente immaginereste i dottori Venkman, Stanz e Spengler marciare sulle note della famosissima theme di Ray Parker Jr, con Slimer svolazzante e il possente omino di marshmellow che sbuca da dietro un grattacielo. Provate pure a dire che non è così, non ci crederà nessuno.
Il primo film è diventata un’icona, considerando che ancora oggi si lascia guardare piacevolmente rievocando quasi le stesse emozioni di trent’anni fa, e probabilmente, per questo motivo, il nuovo reboot ha lasciato scettici i più, tanto per usare un eufemismo. Ghostbusters è quindi pronto per essere proiettato in tutte le sale del Bel Paese, accompagnato da un tie-in videoludico, prodotto come al solito da Activision e sviluppato da FireForge Games, come probabile campagna marketing sussidiaria per la sponsorizzazione del film. Peccato che se dovesssimo andare in cerca di fantasmi, in questo caso l’unico che troveremmo sarebe quello della qualità che abbondava nel lontano 1984.
Collezionare spore, muffe e funghi non era poi così male, ripensandoci
Ghostbusters si presenta già dal primo istante come un accompagnatore del reboot suddetto, tanto da citarlo anche durante le prime battute. Mentre le nuove eroine sono intente a salvare il mondo, nella iconica caserma sono rimasti quattro acchiappafantasmi di guardia, intenti ad annoiarsi finché una inaspettata quanto copiosa invasione di fantasmi inizia ad affliggere la città. Durante le varie missioni, che vi terranno impegnati più o meno tra le 6 e le 8 ore, potete scegliere di volta in volta quale personaggio utilizzare. Parlare di caratterizzazione in questo caso potrebbe essere eccessivo, ma ognuno di loro ha a disposizione un’arma primaria e una tipologia di granata uniche, oltre che il fedele raggio protonico comune a tutti. Troviamo il classico fucile, una coppia di pistole, un fucile a pompa e una mini-gun, tutte armi che sparano raggi e che sovraccaricano il nostro zaino in spalla. Tornando ai personaggi, sono la sagra degli stereotipi. Due maschi e due femmine, una delle quali di colore. La cosa realmente triste è che danno tutti l’idea di essere dei pupazzi vuoti, senza personalità e riempiti di luoghi comuni fino ad esplodere. Il biondino che deve fare il brillante spiritoso, la ragazza di colore che accentua terribilmente i suoi tratti afro come la capigliatura a cespuglio, il big guy con la barba da boscaiolo e la bionda super tirata e tendenzialmente emo.
Il gameplay si presenta come un simil twin-stick shooter con visuale isometrica, con la differenza però che lo sparo non è associato, come la mira, allo stick analogico destro ma al grilletto destro, che rende i comandi un po’ più scomodi del dovuto. Nonostante le poche ambientazioni diverse, così come diversi sono i nemici che si incontrano di volta in volta, resta forte quel senso di somiglianza tra tutti i vari elementi e di ripetitività delle azioni da fare. Esistono tipologie di nemici più deboli, che sono spesso in grande numero o veloci, come libri posseduti e teschi demoniaci, o, più invadenti, come le orde di zombie che si avvicinano al corpo a corpo. Esistono poi dei nemici intermedi, con tanto di barra degli hp sulla testa, che hanno in genere abilità particolari come il teletrasporto, attacchi a distanza o altro, e infine ci sono mini boss e boss. Questi vanno prima picchiati come se non ci fosse un domani e, per concludere, vanno imbrigliati con il raggio protonico e schiacciati a terra con violenza, finché sarà possibile catturarli lanciando una trappola e pigiando velocemente un tasto per aumentare il moltiplicatore dei punti ottenuti. Questa pratica è forse l’unica cosa che ci ricorda effettivamente di essere in un videogioco dei Ghostbusters, e che scimmiotta vagamente le meccaniche di cattura trovate nel titolo di qualche anno fa su old gen, pur risultando stavolta troppo semplificato, noioso e incapace di dare emozioni al giocatore per aver catturato un’entità sovrannaturale.
“Questo lauto banchetto è stato pagato vendendo la cassa… del fondo cassa”
Abbiamo già chiarito come i personaggi siano trascurabili e senza personalità, di come il gameplay sia legnoso e noioso e la storia praticamente assente. Ma per il resto?
Ghostbusters offre un sistema di stampo ruolistico che permette, al raggiungimento dei livelli di ciascuno dei personaggi giocabili, di spendere punti abilità per potenziarsi. Cosa? Tutto. Potenza delle armi, tempo necesario per il sovraccarico, portata e danno delle granate, addirittura la velocità di camminata. Eh sì, perché all’inizio vi sembrerà di giocare quasi alla moviola, solo per giustificare la presenza di questi power up, e vi ritroverete a spammare la rotolata solo per andare più veloci e mai effettivamente per schivare. Tutti questi potenziamenti sono livellabili anche più di una volta ma non aggiungono assolutamente niente di nuovo a quanto già visto. Avete tutto a disposizione dal primo minuto, quello che potete fare è solo potenziare quello che avete già. Non si sbloccano gadget, non ci sono nemmeno i consumabili o dei collezionabili. Insomma, una produzione che pare sia stata fatta al risparmio e senza un minimo di scintilla creativa. Vi ritroverete semplicemente a vagare per la mappa dal punto A al punto Z, passando per gli altri punti intermedi dotati di checkpoint, utilizzando il radar per trovare aree segrete e glifi a terra che vi daranno punti extra, fino al boss, ogni livello.
Tecnicamente il titolo Activision si difende in teoria bene, utilizzando addirittura l’Unreal Engine 4. La grafica è graziosa e colorata, forse davvero uno dei pochi punti a favore di questo titolo, con uno stile cartoon che fa molto serie animate contemporanee, mentre per la colonna sonora si sono affidati all’usato garantito dove è impossibile sbagliare. COntinuando con l’audio, riesce addirittura a stonare l’utilizzo di doppiatori, per la localizzazione italiana, di un certo livello e con voci riconoscibilissime come quella di Emanuela Pacotto. Peccato i dialoghi veramente pessimi, che cercano di far ridere ma con freddure da cabaret di periferia, che sarebbe facilmente finito con un lancio di verdure non propriamente fresche di giornata.
L’ultimo tassello che vogliamo analizzare è, purtroppo, l’intelligenza artificiale. Se dai nemici più comuni potremmo pure aspettarci dei pattern quasi sempre identici, oltre qualche incertezza nei movimenti, è più difficile chiudere un occhio per quanto riguarda quelli che dovrebbero essere i boss. La ciliegina sulla torta però è l’IA dei compagni. Camminando potreste guardarvi attorno e vedere che ci manca qualcuno, rimasto incastrato nei rarissimi elementi immobili della mappa e lo ritroverete solo dopo una cutscene; peccato che in certe occasioni vi impediranno addirittura di proseguire. Nella nostra prova è capitato che venissimo atterrati e bastava che un compagno ci venisse vicino per rivitalizzarci. Pur in totale assenza di ulteriori nemici, i tre si guardavano attorno spaesati senza muovere un dito, costringendoci a ricaricare dal checkpoint.
– Non è malaccio, esteticamente parlando.
– È pur sempre Ghostbusters.
– Gameplay noioso e legnoso.
– IA totalmente assente.
– Personaggi stereotipati che si sforzano miseramente di sembrare simpatici.
– Ghostbusters merita molto di più di questo.
La nostra prova di Ghostbusters non ci ha lasciati particolarmente entusiasti, né ci ha fatto venire una voglia irrefrenabile di catapulcarci al cinema per vedere il nuovo film. Se lo scopo era completare la campagna marketing affacciandosi al mondo dei videogiochi, si può dire senza ombra di dubbio che la strada percorsa non sia quella giusta. Se invece lo scopo era legato alla volontà di arricchire il parco videoludico legato al brand con un qualcosa di carino, il risultato è ancora peggiore. Forse giocato in quattro potrebbe farvi passare una manciata di ore a ridere del peggio ma non certo per la cifra proposta di circa 40€. Probabilmente avrebbero fatto bene a regalare un voucher insieme al biglietto del cinema ma un titolo così non giustifica il prezzo, né la spesa simbolica, nemmeno grazie a un franchise così pieno di fascino dopo oltre trent’anni.