Frostpunk mi ha fatto sentire sporco e ve lo dice uno che di panni sporchi ne ha dovuti lavare assai: la mia collezione di mogli buttate giù dalla finestra o avvelenate in
Crusader Kings II parla da sé. Ma il nuovo gioco sviluppato dai ragazzi polacchi di
11 bit Studios ha un impatto emotivo del tutto differente e, anche se in scala minore, riesce a ripetere lo stesso esperimento e il medesimo risultato ottenuti con
This War of Mine. Se il loro precedente lavoro toccava attimi capaci di far venire realmente un nodo alla gola, sfruttando il medium per parlare di guerra finalmente non più in termini trionfalistici, ma mettendo i giocatori nei panni di chi realmente subisce le conseguenze dei conflitti (
nel caso non l’abbiate ancora capito, è un invito a recuperare This War of Mine Ndr.), con
Frostpunk i temi trattati mantengono il medesimo spessore, ma sublimano per via di un’ambientazione spostata oltre i confini della realtà. Il giocatore si trova infatti a vestire gli scomodi panni di un “sindaco” alla guida di una comunità di fuggiaschi londinesi, i pochi sopravvissuti dopo la glaciazione che ha colpito la terra, gettando indietro un’umanità che, seguendo il topos della hýbris, si era spinta forse troppo in là durante la seconda rivoluzione industriale nel XIX secolo.
Cold Embrace
Frostpunk è city builder, ma si discosta un bel po’ dai canoni estetici e stilistici imposti recentemente da Cities Skyline e, anzi, a pensarci bene, non è nemmeno corretto chiamarlo city builder, quanto più simulatore di comunità sfigata e infreddolita sull’orlo del precipizio che se fai arrabbiare ti taglia la testa. La pianificazione cittadina ruota, proprio in senso letterale, tutta attorno ad un generatore di calore alimentato a carbone, avviene lungo le direttrici di una raggiera su cui il giocatore ha poca libertà di manovra – se non per la lunghezza delle strade, le quali determinano l’ampiezza delle porzioni su cui costruire – e si basa su una manciata di edifici, tutti quanti ben specificati per le loro funzioni e incasellati nelle proprie categorie, in una UI sempre chiara, pulita e di facile lettura che, a suo modo, facilita la vita del giocatore. Facile è però forse la parola che meno si confà a Frostpunk, visto che la sopravvivenza della comunità è legata ad un filo, appesa a quella manciata di risorse sparse nel cratere in cui è situato l’insediamento: carbone, ferro, legno e cibo sono indispensabili per sopravvivere ma, a differenza ad esempio dei classici strategici, la penuria di materiali è una costante sempre presente e, se nelle prime battute pare semplice mantenere le dispense piene e il generatore acceso per scaldare la città, bastano poche ore per accorgersi che le scelte compiute hanno impresso su di loro la parola suicidio. Inizialmente è infatti sufficiente mandare un manipolo di lavoratori ad estrarre le risorse, con gli edifici basilari, come le tende, l’infermeria e la cucina sufficienti a garantire la sopravvivenza. Con l’avanzare dei giorni la situazione scivola velocemente lungo il pendio, le temperature si fanno sempre più rigide, i materiali nei depositi scarseggiano, occorre piazzare strutture più avanzate, soprattutto il laboratorio di ricerca, indispensabile per sviluppare nuove tecnologie e nuove infrastrutture, ma tutti questi edifici richiedono sempre più lavoratori e ingegneri, in una comunità che, purtroppo, spesso si trova a dover seppellire qualche proprio ex-membro ed è numericamente sempre più esigua. Per compensare le morti e per salvare eventuali dispersi rimasti fra le lande gelide e desolate, è anche necessario sancire delle spedizioni ed inviare degli scout al di fuori del cratere, alla ricerca anche di materiali e nuovi cittadini. Più abitanti significa più lavoratori, ma anche più bocche da sfamare e più tetti da costruire, con una bilancia che oscilla costantemente fra due poli in cui non vi è mai una netta distinzione fra giusto e sbagliato.
Sommosse popolari
Le circostanze sempre più difficili mettono il giocatore davanti a dei bivi, momento in cui Frostpunk rivela la sua reale natura. Cose fare quando serve più manodopera e i cittadini sono infreddoliti e affamati? Tramite un sistema di leggi articolato e ben connesso è possibile istituire una serie di ordinanze atte a regolare la vita della comunità, in un panorama dove la parola morale ha ben poco spazio di manovra. Posto davanti a scelte complesse e che scandiscono l’andamento delle varie partite, ho capito a mie spese come Frostpunk viva in una zona grigia: nella prima run ho cercato infatti di essere un sindaco modello, ho vietato il lavoro minorile, ho costruito cimiteri e ho regolato la giornata lavorativa come se andare in miniera equivalesse ad una ordinaria giornata in un ufficio milanese. Il risultato è però stato drammatico: a causa di uno scontento crescente, sono stato esiliato dalla comunità e spero che qualche civiltà futura possa ritrovare la mia mummia congelata e di essere un nuovo uomo di Otzi. Con la seconda run ho quindi abbandonato le vesti del sindaco benefattore e mi sono trasformato in uno spietato dittatore, creando uno stato di polizia e fondando una teocrazia basata su un culto fanatico: 24 ore su 24 di lavoro, torri di guardia ad ogni angolo, arti amputati e ho pure aggiunto la segatura alle razioni di cibo, perché bisogna sopravvivere al gelo, non vincere Masterchef. Purtroppo anche questo secondo approccio non ha dato i risultati sperati e i due parametri a cui è legata la vittoria – speranza e malcontento – sono precipitati vertiginosamente.
Le scelte morali hanno una duplice valenza e impattano sia la vita della propria comunità, sia la coscienza del giocatore, alle prese con bambini spediti a raccogliere carbone, in una triste reminiscenza vittoriana: i drammi di This War of Mine restano lontani, ma non si può certo dire che Frostpunk sia un gioco da prendere a cuor leggero e, più che i dilemmi legati ad un freddo albero di leggi, quello che colpisce è la cura con cui è stato dettagliatamente descritto ciascun cittadino, che ha un nome e un cognome, dei parenti, dei bisogni e delle richieste, che ogni tanto traspaiono attraverso brevi, quanto crudi, dialoghi. Proprio questa personalizzazione riesce a calare il dramma da un livello astratto e assoluto della società, ad uno più concreto e legato ad ogni singolo abitante. La bellezza di Frostpunk, oltre alle sue implicazioni etiche, è la ricerca di questa ricetta intermedia necessaria alla sopravvivenza e, solo dopo vari tentativi, si scorge quel mix di pugno di ferro e di laissez-faire necessario per arrivare alla conclusione del gioco. Il finale, purtroppo, rappresenta però il vero punto debole del titolo e, passata la minaccia finale, pare di trovarsi quasi davanti ad un’opera incompiuta: ovviamente non faccio nessuna anticipazione, ma sappiate che, proprio mentre scorrevano i titoli di coda, nella mia testa risuonava la domanda: “E ora?”. Terminata l’avventura, vuoi anche per delle situazioni che ciclicamente si ripetono inesorabilmente, non è molta voglia di tornare a raccogliere risorse, costruire edifici ed emanare leggi ma, grazie ai due scenari aggiuntivi – che si sbloccano dopo qualche ora di gioco – vengono inserite nuove sfide e motivazioni per rimettere le proprie mani su Frostpunk.
Diapositive dal nord
Come detto inizialmente, l’opera di 11 bit studios sfugge agli stilemi classici dei city builder e, anche per i limiti imposti allo sviluppo del proprio insediamento, viene meno quell’effetto diorama che porta a zommare di continuo fra i vicoli della città per vedere come se la passano i propri cittadini. Ciò non significa però che Frostpunk sia brutto a vedersi, anzi, mosso dal Liquid Engine, esso regala un colpo d’occhio di tutto rispetto, che si spinge oltre alla mera ricchezza poligonale e che va piuttosto ricercato nella cura dei dettagli e in un’atmosfera dai sapori tipicamente steampunk. Le tende decadenti e gli ambulatori di fortuna trasmettono un reale senso di caducità e gli enormi automi fatti di ferraglia sono la quintessenza di questa ucronia, mentre il tutto è circondato da una spessa coltre di neve e la sensazione di gelo viene anche trasmessa dalle crepe e dal ghiaccio che si formano perfino sull’interfaccia di gioco. Inoltre, di pregevole fattura anche la colonna sonora, in cui spiccano ottoni e archi, dai toni epici e che ben si sposa con la drammatica vita dei sopravvissuti, composta da Piotr Musial, la medesima firma dietro alle musiche anche di This War of Mine.
Hardware
Requisiti minimi:
– Sistema operativo: Windows 7/8/10 64-bit
– Processore: 3.2 GHz Dual Core Processor
– Memoria: 4 GB di RAM
– Scheda video: GeForce GTX 660, Radeon R7 370 or equivalent with 2 GB of video RAM
– DirectX: Versione 11
– Memoria: 8 GB di spazio disponibile
– Scheda audio: DirectX compatible
Requisiti consigliati:
– Sistema operativo: Windows 7/8/10 64-bit
– Processore: 3.2 GHz Quad Core Processor
– Memoria: 8 GB di RAM
– Scheda video: GeForce 970, Radeon RX 580 or equivalent with 4GB of video RAM
– DirectX: Versione 11
– Memoria: 8 GB di spazio disponibile
– Scheda audio: DirectX compatible
– Le implicazioni morali sono tante e scendono al singolo individuo
– Difficile da completare, facile da apprendere
– UI chiara e pulita
– Colonna sonora epica e toccante
– Ottima direzione artistica
-.Finale poco riuscito
– Le partite sono sempre molto simili
Il team polacco di 11 bit studios si dimostra ancora una volta capace di giocare con le emozioni del giocatore e di far vivere sulla sua pelle situazioni difficili, in cui la morale deve essere accantonata davanti al puro istinto di sopravvivenza. Se con This War of Mine era stata la guerra la protagonista principale attorno a cui ruotavano le flebili vite dei civili rimasti intrappolati nello scontro, in Frostpunk è stato sfruttato uno scenario meno crudo, quello di un universo steampunk avvolto nel gelo, dove un manipolo di sopravvissuti deve far fronte a temperature sempre più dure, in una società sull’orlo del collasso. In questa situazione il giocatore è messo con le spalle al muro, in un susseguirsi di scelte sempre più ardue. Frostpunk potrebbe essere interamente riassunto nella domanda: fino a che punto siete disposti a spingervi pur di non morire? Purtroppo, proprio il finale, che dovrebbe essere il culmine di questa epopea, si rivela invece l’anello debole dell’opera, che però non viene sminuita da un punto d’arrivo che lascia aperte fin troppi interrogativi.