Quando un pigro perdigiorno, senza nessun apparente talento, incontra una fata in grado di far avverare i suoi sogni, ad attenderlo non può che esserci un viaggio magico e sorprendente.
Sono queste le premesse di Fairy Fencer F: Advent Dark Force, riedizione tirata a lucido dell’omonimo titolo uscito un paio di anni fa su Ps3 (e poi anche su Steam), rilasciato ora su Ps4 impreziosito da nuove aree, personaggi, scene finali e livelli di difficoltà.
Tante nuove, piccole, aggiunte che arricchiscono l’offerta di gioco, senza però riuscire a far fronte ai limiti che già piagavano l’originale, molti di questi tecnici, ancora più evidenti considerata la presenza nella nuova generazione.
Il risultato è un gioco dolceamaro, che seduce col suo attraente lato artistico, ma che risulta alquanto deludente una volta giunti al sodo.
Schermidori fatati
Come accennato nell’introduzione, il motore delle vicende di gioco è un espediente alquanto semplice e stereotipato. Il nostro protagonista, Fang, fannullone patentato senza nessuna attitudine per alcun tipo di eroismo, si ritrova casualmente in possesso di una spada incantata, che funge da dimora per l’impertinente fatina Eryn. In quanto novello Fencer, ossia persona capace di impugnare tali armi prodigiose, la “dolce” fatina spingerà il giovane Fang ad intraprendere contro il suo volere un lungo e periglioso viaggio volto a collezionare le altre numerose spade magiche (Fury), ognuna dimora di una fata diversa in grado di fornirgli poteri sempre nuovi. Una volta collezionate sufficienti spade, sarà infatti possibile liberare la Dea imprigionata dalle stesse e chiederle di realizzare un nostro desiderio.
Lungo il nostro peregrinare faremo, quindi, la conoscenza dei vari “eccentrici” personaggi (alcuni introdotti per la prima volta in questa nuova edizione) destinati ad accompagnarci nella ricerca delle sacre spade, tra i quali spiccano senza dubbio i vari Fencer nemici, desiderosi di risvegliare un oscuro signore invece della bella dea da noi prescelta.
La caratterizzazione dei personaggi è notevole, nonostante le loro personalità rispondano fin troppo ai classici stilemi della narrazione dei manga più commerciali, tuttavia l’empatia con gli stessi è minata dall’impossibilità di gestirne in modo coerente le relazioni col protagonista. La narrazione degli eventi è, infatti, del tutto demandata a lunghi dialoghi preimpostati in stile visual novel, con pochissime possibilità di intervento “diretto” da parte del giocatore. Questo limite farà sì che anche le poche scelte che il gioco ci porrà di fronte risultino poco intuitive e quasi casuali, frustrando spesso l’utente che si troverà a non poter influire attivamente sull’andamento della trama, se non in pochi e rari casi dove il risultato delle proprie azioni sembrerà spesso poco chiaro.
Detto ciò, la narrativa, seppur un po’ piatta e stereotipata, è tutto sommato godibile, senza infamia e senza lode, e la valutazione risulta come al solito altamente discrezionale.
Hyperdimension anyone?
Le meccaniche di gioco di Fairy Fencer F sono ispirate o, per meglio dire, del tutto mutuate da Hyperdimension Neptunia, serie di punta di Compile Heart che negli ultimi anni si è ritagliata un discreto spazio anche nella community dei gamer occidentali.
I menu, la mappa di gioco, la caratterizzazione dei personaggi, i costumi, lo stile grafico, l’ironia che pervade ogni cosa, tutto rimanda ai precedenti lavori dello studio giapponese. Prendere spunto dalle proprie fatiche passate non è affatto un difetto, intendiamoci, spesso è anzi una sacrosanta necessità, ma in questo caso la sensazione di riciclo continuo di meccaniche di gioco e asset grafici è asfissiante. E’ solo, quindi, dopo aver chiarito l’impianto citazionista nel quale il gameplay si va a inserire che possiamo valutarne coerentemente l’impianto di gioco.
La mappa del mondo ci metterà di fronte alle aree visitabili che, se all’inzio del viaggio saranno ben poche, a fine avventura… beh, non saranno molte di più. Ognuno dei dungeon presenti, che in fin dei conti sono poco più di una decina, è costituito da uno spoglio corridoio dove affrontare i vari nemici casuali o raccogliere i pochissimi collezionabili sparsi nell’area di gioco. Procedere in queste aree è noioso fino all’inverosimile, con comandi scomodi e legnosi, e aree così spoglie da fare tenerezza. Apprezzabile, invece, il fatto di poter “scattare” per percorrere le aree in breve tempo in tutta la loro (seppur ristretta) estensione, ed evitare facilmente incontri indesiderati.
Una volta preso di sorpresa un nemico, o dopo essere caduti nella sua trappola, ecco che ci troveremo di fronte al cuore pulsante del gioco: i combattimenti a turni.
Anche il combat system ricorda da vicino quello di Hyperdimension Neptunia (ma in generale quello dei classici del genere come Sakura Wars). A ogni turno, potremo spostare sul campo di battaglia uno dei personaggi a nostra disposizione (questa volta fino ad un massimo di 6 per ogni battaglia) come su di una scacchiera molto edulcorata, e quindi impartirgli un comando che può variare dai classici attendi, attacca, cura, fino all’utilizzo di tecniche speciali tipiche di ogni personaggio. Menzione a parte merita il comando “fairize”, col quale potremo chiedere al nostro personaggio di fondersi con la fatina che lo accompagna per ottenere vari bonus e l’accesso a nuove finisher.
I nostri avversari non staranno certo a guardare, e arrivato il loro turno ci attaccheranno con ogni colpo a loro disposizione, spesso mettendo in atto semplici manovre di accerchiamento, dimostrando una IA, di certo, non molto elaborata.
Gli scontri casuali spesso si risolveranno con pochi attacchi ben assestati, mentre i boss ci costringeranno a pianificare al meglio le nostre azioni, tenendo bene a mente l’essenzialità di un mirato gioco di squadra tra i personaggi da noi schierati. Tuttavia, almeno a difficoltà normale, gli scontri risulteranno spesso fin troppo semplici, e solo nelle fasi avanzate dell’avventura verremo costretti a riflettere prima di compiere ogni mossa.
Il combat system dunque, seppur non innovativo, ci è apparso discretamente solido, e le possibilità di composizione delle combo, l’ampliamento del catalogo delle abilità tramite nuove “fatine” e la discreta libertà in quanto a caratterizzazione dei personaggi, conferiscono un senso di progressione e di profondità che non può che giovare all’intero titolo, altrimenti piagato da una ripetitività davvero accentuata.
Time and time again
L’avventura può essere portata a termine nella sua interezza in poco meno di quaranta ore, sempre tenendo conto della difficoltà selezionata e delle missioni secondarie (a dir vero poche) intraprese. La longevità sembra perciò un elemento apprezzabile del titolo, vista anche la possibilità di iniziare nuovamente l‘avventura in modalità New Game +, potendo scegliere liberamente se portare con noi tutto il bagaglio di personaggi, spade ed equipaggiamenti collezionati in precedenza, facilitandoci così non poco la caccia ai vari finali multipli messi a disposizione.
Eppure… eppure vi è un trucco, un espediente a parere di chi scrive alquanto fastidioso, che gonfia prepotentemente un monte ore che, almeno per il genere in questione, sarebbe altrimenti sembrato striminzito.
Come accennato in precedenza, anche una volta giunti all’end game, le aree di gioco visitabili saranno una manciata, e sarà questione di poche ore far nostro ogni dungeon, sconfiggendo i vari boss ed ottenendo le agognate spade. Ma ecco venire in soccorso agli sviluppatori l’espediente perfetto per farci rigiocare di nuovo le stesse zone daccapo, ed allungare non poco la brodaglia: il viaggio nel tempo. Senza voler fare spoiler di sorta, basti sapere che a circa metà titolo (ma in realtà ormai ad un passo dalla fine) verremo rispediti indietro nel tempo, dovendo riaffrontare ogni singola area già affrontata in precedenza, perdendo peraltro tutti i membri del party incontrati lungo la via, ma potendo contare sull’esperienza e gli equipaggiamenti già collezionati, dando come la sensazione di trovarsi una sorta di NG+ ancor prima di aver terminato il gioco.
A parte il mal riuscito barbatrucco di cui sopra, i veri difetti del titolo risiedono nella ripetitività ammorbante di combattimenti e stilemi di gioco e nella, a tratti indecente, qualità grafica di aree e personaggi. La qualità scadente dei modelli utilizzati (che denotano una povertà di poligoni difficilmente accettabile anche su di una Ps2) risulta infatti ancora più evidente visto il continuo confronto coi bei disegni in alta definizione che portano avanti la trama ed arricchiscono le schermate di gioco.
Le musiche invece fanno il loro dovere, ma non sempre riescono ad incidere nel modo giusto, anzi a volte si ha la sensazione che alcune tracce risultino un po’ fuori contesto. Menzione d’onore, invece, per il doppiaggio inglese di altissimo livello, anche se è d’uopo ricordare come nelle impostazioni sia possibile selezionare quello originale giapponese.
In conclusione, ci troviamo davanti ad un titolo un po’ sbilenco, asimmetrico, che partendo da un combat system solido e collaudato cerca di mascherare i propri limiti tecnici con elementi di contorno artisticamente pregevoli, e prova altrettanto goffamente a far fronte ad una quantità di contenuti non esaltante spingendo il giocatore ad una rigiocabilità molto più che suggerita, arrivando finanche a utilizzare un espediente alquanto discutibile che annacqua non poco l’esperienza.
– Buon numero di personaggi
– Lato artistico curato
– Longevità discreta…
– Apprezzabile profondità del combat system
– Pochi contenuti “veri”
– Per nulla innovativo
– … anche grazie a un’eccessiva ripetitività
– Dungeon graficamente impresentabili
Fairy Fencer F: Advent Dark Force è un J-RPG strategico che segue i classici stilemi del genere, ricalcando alla perfezione l’impianto di gioco di Hyperdimension Neptunia. A fronte di un buon numero di personaggi, e una trama semplice ma tutto sommato godibile, il titolo risulta però estremamente povero di contenuti “veri”, con tanti elementi di contorno che non riescono a sopperire ai pochi dungeon e missioni disponibili.
Un gioco che punta tutto su di un combat system discretamente profondo e collaudato, e sulla voglia del giocatore di affrontare più e più volte le stesse aree (e infine il titolo stesso) per poter completare l’avventura nella sua interezza.
Graficamente deludente, ma artisticamente non disprezzabile, ci troviamo di certo davanti ad un gioco che seppur non pessimo, non è certo un titolo imprescindibile.
Le nuove aggiunte, peraltro apprezzabili, non riescono a rendere il titolo appetibile anche per chi abbia già giocato l’originale per PS3 o Pc, mentre a chi volesse avvicinarsi ora per la prima volta al mondo delle Fury consiglio di armarsi di tanta, tanta pazienza.