Per comprendere Everybody’s Gone to the Rapture dobbiamo partire da una presa di posizione netta: dobbiamo accettare che titoli come Journey hanno rimesso in discussione il concetto stesso di videogioco, sovrapponendo al gameplay la potenza del mezzo nel saper raccontare storie e trasmettere sensazioni. Dall’uscita dell’osannato titolo di Thatgamecompany, molti altri studi di sviluppo hanno cercato di fare lo stesso, proponendo al giocatore dei titoli che raschiavano via il gameplay limitandosi a diventare delle storie più o meno interattive, dove la libertà di movimento del giocatore veniva in realtà fortemente guidata. C’è chi, con un pizzico di malizia, ha definito questi giochi dei “walking simulator”, titoli in cui non si fa altro che camminare e, saltuariamente, interagire con lo scenario. Ecco, Everybody’s Gone to the Rapture, titolo firmato The Chinese Room, è proprio questo: una lunga camminata di tre ore e mezza tra le campagne inglesi, in un villaggio dove è accaduto qualcosa di molto strano.
Dove sono tutti?
L’interazione in Everybody’s Gone to the Rapture è davvero ridotta all’osso: si cammina, talvolta si apre qualche porta, si risponde al telefono, si attivano delle registrazioni e si sbloccano dei dialoghi attraverso una semplice meccanica che fa uso dei sensori del movimento del DualShock 4. Tutto qui. Il nucleo del gioco, come detto, è da identificarsi nella storia che, sin dalle prime battute, mostra uno scenario piuttosto inquietante in cui tutti sembrano essere svaniti nel nulla.
Ci troviamo in un idilliaco paesino rurale inglese, località dove la vita scorre tranquilla tra gli abitanti e tra le figure di spicco della comunità: un medico, un capostazione, un prete. L’esistenza della popolazione viene turbata dall’arrivo di una scienziata americana, che si congiunge a un suo collega del posto per effettuare alcune ricerche dall’imponente osservatorio astronomico che domina il promontorio della valle. Quella che sembra essere una storia di gelosia, o forse di razzismo, in realtà inizia a prendere una strana piega quando nelle case degli abitanti troviamo tracce inquietanti: fazzoletti di carta appallottolati e imbevuti di un espettorato rosso sangue. Il paese è tappezzato di manifesti che segnalano la presenza di un’epidemia, ma le prove sembrano puntare in un’altra direzione.
Poiché il paese è totalmente disabitato, quasi sospeso in un limbo in cui tutto sembra essersi interrotto alle ore 18.07 del 6 giugno 1984, la storia ci viene narrata attraverso delle presenze – forse dei ricordi – che si attivano quando il giocatore vi si avvicina, e attraverso le già citate telefonate e registrazioni. Lentamente la storia inizia a prendere forma, e il giocatore inizia piano piano a farsi un’idea di quello che è realmente accaduto.
Questo escamotage narrativo funziona molto bene: nonostante non si veda una sola figura umana per tutta la durata del gioco, le voci che ci accompagnano si trasformano in personaggi ben caratterizzati, e sono in grado di offrirci alcuni momenti molto emozionanti. Uno spaccato di vite che furono, un ritratto eccellente e credibile di una comunità chiusa in cui tutti si conoscono.
Everybody’s Gone to the Rapture è un gioco scritto straordinariamente bene e recitato in maniera superba, persino nella versione italiana dove incontriamo un doppiaggio di qualità eccellente, estremamente raro in questo tipo di produzioni. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che vi farà venire i brividi: brani originali orchestrati e cantati dal coro di Londra, con voci bianche che si alternano a canti gregoriani e testi dalla potenza dirompente (sfortunatamente non sottotitolati).
Cammina, cammina
Purtroppo, Everybody’s Gone to the Rapture è il classico esempio di gioco in cui la storia, fulcro dell’intera esperienza, è stata messa a dura prova dall’interattività. La vicenda narrata è per la verità molto semplice, per quanto ben scritta, e potrebbe essere raccontata in poco meno di due ore. Gli sviluppatori, per allungare l’esperienza di gioco, hanno deciso di spargere i vari tasselli della narrazione in un’area piuttosto grande, che richiede lunghi e tediosi spostamenti con il rischio, spesso, di perdersi tra le campagne.
L’ambientazione è ricca di fascino e molto credibile, ma in alcuni momenti ci siamo ritrovati a vagare per decine di minuti, visitando gli stessi luoghi più volte nel tentativo di procedere. Nel gioco, inoltre, non è possibile correre, e ogni spostamento di poche centinaia di metri è una vera tortura. L’aspetto contemplativo del gioco lascia ben presto spazio a un’enorme frustrazione, in particolar modo quando, dopo avere sbagliato strada, si è costretti a camminare a passo lento per dieci o quindici minuti senza che nulla accada. Una strana luce ci guida nell’avventura, ma appena cerchiamo di esplorare un luogo diverso dal percorso prestabilito si rischia di non riuscire più a ritrovare la strada. Se non fosse per gli splendidi ambienti meditativi permessi dal CryEngine (che, per la verità, non si comporta in maniera immacolata), il gioco potrebbe farvi urlare in preda a un attacco di nervi.
L’intera esperienza, come detto, si conclude nel giro di poco più di tre ore. Alcuni momenti intensi ci portano a un finale che non risponde alle nostre domande ma che, al contrario, ci lascia liberi di interpretare alcuni indizi lasciati dal gioco. Il quadro appare piuttosto chiaro già nella seconda metà dell’esperienza, e tutto sommato troviamo interessante la scelta di non colmare le inevitabili lacune con un ridicolo “spiegone” sul finale, che ne avrebbe inesorabilmente rovinato il fascino. Quella che sembrava una storia simile a Time Enough at Last – celebre episodio della serie The Twilight Zone – si rivela in realtà molto più simile a Where Is Everybody?, altro episodio della stessa serie televisiva a cui il gioco sembra scherzosamente rispondere con il proprio titolo.
– Una bella storia
– Musica eccezionale
– Ottimi dialoghi
– Ottimo doppiaggio italiano
– Progressione narrativa troppo lenta
Everybody’s Gone to the Rapture è una storia dal grande impatto, scritta divinamente bene, recitata con passione e accompagnata da una musica che vi farà venire la pelle d’oca. Gli incantevoli spazi aperti del villaggio e la crescente inquietudine di fondo si sposano alla perfezione, creando un prodotto che potrebbe davvero lasciarvi qualcosa nel cuore. Il punto è che tutto viene quasi distrutto da una narrazione eccessivamente diluita a causa del gameplay, che ci costringe a vagare a passo di lumaca e ci impedisce di prendere qualsiasi deviazione da una trama pilotata. Un gioco “difficile”, dunque, che facilmente spezzerà in due il pubblico. Ma che, certamente, non vi lascerà indifferenti.