Recensione

El Chapo, prima stagione

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a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Il pubblico appassionato di serie TV sembra avere con il tempo abbracciato un’insana passione per i “cattivi”, specie se spacciatori o narcotraficanti colombiani. Lo ha dimostrato il successo travolgente di Breaking Bad e, più recentemente, Narcos, crime story legata alle vicende de “el patron” Pablo Escobar. E questa prima stagione de El Chapo si rifà in toto alle atmosfere viste nella serie dedicata al signore del narcotraffico, questa volta ponendo l’accento su Joaquín Guzmán, uno dei più brillanti signori della droga messicani. L’ascesa e il declino di questo nuovo anti eroe saranno all’altezza delle sue ambizioni?

Un impero da conquistareCome accennato poco sopra, El Chapo si rifà alla storia (vera) del boss omonimo, e della sua esasperata ricerca di diventare il più grande narcotrafficante di sempre. Ma Guzmán non è e non sarà mai Pablo Escobar, e nonostante abbia fatto di tutto per diventare un simbolo del popolo come il temibile signore della droga, la sua carriera è stata spesso costellata da eventi che rendono Joaquín un personaggio più umano e meno iconico rispetto al suo padre spirituale. I nove episodi di questa prima stagione sembrano comunque non badare troppo alla cosa, enfatizzando un mito ancora del tutto acerbo, grazie ad alcune riletture di eventi reali e “licenze poetiche”, che trasformano El Chapo in un Escobar dei giorni nostri. O quasi. L’interpretazione di Marco de la O è del tutto in linea con ciò che la serie vuole trasmettere, ossia l’ossessiva scalata al potere a qualunque costo, inframezzata da sanguinose guerre tra cartelli rivali e numerosi retroscena politici più o meno importanti ai fini della vicenda principale.Peccato solo che poco o nulla accade nel corso di questa prima stagione, con la sensazione che il tutto sia solo una base per ciò che verrà poi. Si parte infatti dai primi anni ’80, quando Guzman lavorava per il Cartello del Guadalajara, attraversando poi varie fasi dell’ascesa poteriale di Joaquín, ancora ben lontane dagli eventi che porteranno poi alla cattura de El Chapo nel 2016, con il conseguente crollo del suo impero criminale (la serie si apre con le reali sequenze televisive dell’arresto, quindi non vi stiamo spoilerando alcunché). L’intenzione degli sceneggiatori è a rigor di logica quella di proporre una vera e propria epopea che si dipanerà in più stagioni.

Narcos WannabeA non convincere appieno, però, è innanzitutto il ritmo: dove Narcos era strutturata in maniera singolare, con il “doppio” punto di vista di Pablo e degli agenti della DEA, El Chapo corre invece unidirezionalmente, mostrando quindi il fianco a una certa ridondanza narrativa. Inoltre, per quanto interessante, il personaggio principale non si avvicina un granché all’interpretazione magistrale di Wagner Moura e del suo Pablo, perfetto demone di una Colombia d’altri tempi ma ancora oggi di profonda attualità. La serie americana co-prodotta con Univision sembra una copia carbone della sua principale fonte di ispirazione, non riuscendone a replicare la maestosità e il pathos. I luoghi comuni del narcotraffico, le fighe rocambolesce e i doppigiochi sono tutti esattamente posizionati dove ve li aspettereste. E ciò è un vero peccato, visto e considerato che sarebbe bastata una sceneggiatura maggiormente frizzante e meno focalizzata sui dialoghi per rendere El Chapo un prodotto quantomeno degno di attenzioni.Purtroppo, neppure dal versante tecnico e registico i nove episodi sembrano voler distaccarsi da quella sensazione di “vorrei ma non posso” tipica dei prodotti di fascia media, senza contare che anche la sigla principale, canzone inclusa, sembra un vero e proprio plagio di quella della serie televisiva creata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro. La speranza, quindi, è che con le prossime stagioni i registi Ernesto Contreras e José Manuel Craviot correggano il tiro, scrollando di dosso a Joaquín Guzmán quel costume posticcio da Pablo Escobar che proprio non sembra calzargli a pennello.

– Atmosfera “à la Narcos”.

– Buon numero di episodi.

– Ritmo altalenante.

– El Chapo non è e non sarà mai Pablo Escobar.

6.5

La prima stagione de El Chapo arranca, non raggiungendo le qualità della serie da cui trae ispirazione, ossia Narcos. Le vicende di Joaquín Guzmán non risultano appassionanti e toccanti come quelle de “el patron” Escobar e la sua ascesa al potere è ancora troppo lontana per poter definire l’opera di Contreras e Craviot soddisfacente. Speriamo quindi che Joaquín fugga presto da quella prigione chiamata déjà vu, da cui spesso è molto difficile evadere.

Voto Recensione di El Chapo, prima stagione - Recensione


6.5

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