Per millenni abbiamo guardato le stelle e desiderato toccarle. Poi siamo andati nello spazio. Da quando abbiamo scoperto il suo abisso, l’essere umano non hai mai smesso di interrogarvisi. Se da un lato questo ha portato a grandi opere del fanta-horror, dall’altro la capacità di inquietudine dell’infinito ha indotto a riflettere sull’infinita piccolezza della razza umana. È quest’ultimo concetto che i danesi Ultra Ultra hanno costruito ECHO. La loro è la tipica storia indie, passata prima attraverso Steam e successivamente conquistatasi un posto su PlayStation 4. All’osso, si tratta di uno stealth game dalle meccaniche semplici, che sfrutta l’Unreal Engine per inscenare quello che prima di tutto è un monologo visivo sull’inquietudine umana.
Dentro al pianeta silenzioso
Vestiamo i panni di En, una giovane albina, e il contesto è quello di un futuro mediamente lontano. La donna giunge su un pianeta misterioso dopo un viaggio di 100 anni in criogenia. Il luogo è stato predisposto per accogliere gli esseri umani, ma nessuno vi è mai arrivato. En, aiutata dall’IA della sua nave, si inoltrerà sempre più in profondità. Chiave di questo sarà un misterioso cubo rosso, che l’aiuterà a districarsi nel labirinto. I sei capitoli del gioco si dipanano quindi con asettica calma, affidandosi quasi del tutto a En e alla sua IA per raccontare la storia. Numerosi saranno i dialoghi tra i due, affidati al più classico dei contrasti fantascientifici: il razionale cinismo del computer che non riesce a comprendere l’umanità. Questa è l’idea portante tanto di background quanto di gameplay: la tecnologia del pianeta era stata programmata per attivarsi qualora fossero giunti coloni. En però è sola, e questo distorcerà terribilmente il computer, fino a divenirle ostile. La discesa assume i contorni di un percorso opprimente, in cui bisogna prevalentemente raccogliere e canalizzare le varie fonti di energia. Tutto questo ha lo scopo ultimo di aprire la via per le successive stanze, fino a raggiungere il nucleo. Una meccanica semplice, che vive di contrasti tra la tecnologia subdola e l’architettura asettica e contorta della colonia disabitata. La determinazione di En, che è arrivata qui spinta fondamentalmente da un sogno e dagli insegnamenti del nonno, induce ovviamente all’immedesimazione in lei, piuttosto che nella prevedibile razionalità della macchina.
Il clone impara, il clone fa
Così come la trama, anche l’immersione è dettata da meccaniche minimaliste. Il palazzo dove si svolge l’azione appare ordinato in maniera disturbante, il simbolo di una tecnologia sfuggita a qualunque controllo. Questa tecnologia dimenticata genererà abomini prima e cloni poi, in un ciclo apparentemente senza fine. Le entità con cui avremo a che fare per la maggior parte del tempo saranno infatti cloni imperfetti della stessa En. Costoro avranno come unico scopo trovarci e ghermirci; qualora riuscissero nell’intento, dovremo premere ripetutamente il tasto Cerchio per liberarci. E proprio perché stiamo interpretando un essere umano (per quanto potenziato dalla tuta) le risorse a disposizione sono limitate. Si può scattare, spingere via i cloni per evitare che ci afferrino, azioni che consumano stamina. Vi è anche la soluzione più drastica di colpirli con la pistola. Per quanto efficace, quest’ultima azione consumerà l’energia della tuta, da ricaricare presso apposite sfere a uso singolo. En può sopravvivere solo a un colpo (che sia “afferramento” o proiettile) e un secondo consecutivo la porterà alla morte. Ulteriore ostacolo alla progressione sta nell’instabilità del sistema-palazzo: egli registrerà le azioni che En compie più frequentemente, e a ogni suo riavvio le impartirà anche ai cloni. Se avete puntato sull’agilità saranno più veloci, se avete optato per le “maniere forti” vi spareranno addosso. Questo nei fatti costringe a variare in continuazione l’approccio; ascensori e brevi camminate all’esterno saranno zone franche preziose. Ulteriore aiuto sarà fornito da alcuni oggetti sparsi per la mappa, che serviranno a distrarli provocando suoni o forti rumori. Fa rimanere comunque interdetti il fatto che sia preclusa la possibilità di nascondersi dietro i molteplici elementi scenici (ci si può solo accovacciare), cosa che evidenzia meccaniche stealth non del tutto raffinate.
Qui non si prova paura: la forza dei nemici è infatti assolutamente paritaria alla nostra, e la morte è solo un rallentamento dell’azione. Di contro i checkpoint sono piuttosto rari, cosa comunque equilibrata dalla presenza di quattro livelli di difficoltà (l’ultimo da sbloccare). Il fatto che tale parametro sia modificabile anche a partita in corso è chiaro tentativo di adattare la progressione a tutti. È un’altra la sensazione veramente trasmessa da ECHO: il disagio opprimente. Un disagio che parte dall’omologazione per poi rivoltarsi nella solitudine siderale. Far sfuggire En dai suoi tanti cloni assume quindi il valore simbolico di evitare le paure generate dalla sua stessa mente.
Un pianeta dettagliato
Tecnicamente il gioco è abbastanza buono, anche considerando che è un esordio. Le locazioni sono costruite sulla logica del contrasto, tra esterni spogli e interni dettagliatissimi, ingombri. L’Unreal Engine viene utilizzato al meglio per esporre linee dritte e decorazioni elaborate. Gli interni appaiono così lussureggianti, eleganti ma anche incredibilmente freddi. Le stanze divengono presto claustrofobiche, mai toccate dalla presenza umana ma invase da una tecnologia che cerca di imitarla. La loro voluta ridondanza è fatta apposta per spaesare l’utente, e lo stesso level design è pensato in modo tale che non esistano zone completamente sicure. È quindi un peccato che complessivamente siano poco interattive: gli oggetti non sono distruttibili, e le uniche cose che spingono a deviare dall’obiettivo principale sono piccoli collezionabili (sonori) e la possibilità di potenziare la tuta. ECHO dimostra allo stesso tempo un’ottimizzazione non perfetta: non poche volte l’ingresso in una nuova area fa bloccare il gioco per uno o due secondi. Il caricamento dell’ultimo checkpoint è più esteso di quanto sarebbe lecito aspettarsi, specie considerando che nelle fasi avanzate sarà più facile morire. La stessa resa dei blackout è realistica ma controversa: lo spegnimento dell’ambientazione porta a un brusco taglio su nero, che alla lunga potrebbe essere fastidioso. Ovviamente la PS4 Pro riduce queste ingenuità, ma già una standard fa più fatica di quanto sarebbe lecito. È capitato anche un crash, ma per fortuna si è trattato di un episodio isolato.
Di contro, la componente sonora fa il suo dovere con poco: la musica avvolge con temi semplici e parcamente distribuiti, perlopiù ambientali. La recitazione vocale invece è di buon livello, composta com’è da pochi attori per ugualmente pochi personaggi. Alle volte comunque l’equalizzazione non è perfetta, cosa che costringe a ricorrere ai sottotitoli. Proprio a questo riguardo, è un peccato vedere come il gioco non sia stato tradotto in italiano: i concetti espressi sono variegati, e il linguaggio si mantiene elastico nelle parole per spiegare tutto. Siamo convinti che anche la sola sottotitolatura avrebbe giovato non poco.
-Teso, intimista, minimale
-L’IA lotta alla pari
-Grafica dritta, pulita e dettagliata
-Ambientazioni limitate
-Stealth poco approfondito
-In inglese (e quindi non per tutti)
ECHO è un buon prodotto d’esordio: un monologo sulla solitudine e l’omologazione ambientato in una fantascienza quasi teatrale. Il tutto condito da una grafica ben piantata e piena di dettagli. Il videogioco comunque pecca di inesperienza: le meccaniche stealth mostrano alcune ingenuità, e non vi è molta ottimizzazione sul lato tecnico. Difetti a parte, è palesemente un videogioco non per tutti: trama e meccaniche sono volutamente minimaliste, e la difficoltà si mantiene sempre sostenuta. La mancata traduzione in italiano limerà ancora di più il potenziale pubblico. Il consiglio d’acquisto è rivolto soprattutto a coloro che cercano una visione diversa e intimista della fantascienza, discostata dal fantahorror. Starà invece ai puristi dello stealth decidere se passare sopra ad alcune limitazioni strutturali.