Dragon Quest IX
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Sono poche le serie di videogiochi che, a oltre vent’anni dalla loro prima uscita, riescono ancora a fermare le masse, a far cerchiare di rosso una data sul calendario, a ordinare con largo anticipo la versione preferita (che non necessariamente è quella Europea), a costringere, in casi estremi, a giocarli in un idioma affascinante ma incomprensibile ai più, come il giapponese, pur di non attendere i mesi necessari alla traduzione.Dragon Quest è certamente una di queste. Soprattutto se, remake e porting a parte, il filone principale è fermo ai fasti dell’ottavo episodio su PS2 da ormai troppi anni, soprattutto se il nono capitolo, nonostante la potenza delle console casalinghe, prende esclusivamente la via dei due minuscoli schermi del nostro fido Nintendo DS, soprattutto se i mesi intercorsi tra il lancio giapponese e quello europeo sono veramente troppi.Adesso è giunto tra noi l’attesissimo Sentinelle del Cielo, nona incarnazione di una delle più amate serie di JRPG di tutti i tempi e noi di Spaziogames non potevamo certo esimerci dal darvi un approfondito resoconto delle sue qualità (e dei suoi difetti) al day one.
Anche in paradiso qualcosa va stortoDobbiamo confessarlo: forti di tante notti passate a dividere lo sguardo tra lo schermo della nostra TV e il fido portatile, nel tentativo di districarci meglio tra gli ideogrammi di tutta una serie di perle videoludiche che noi occidentali non abbiamo mai avuto la possibilità di goderci fino in fondo (leggi il parco RPG del mitico PC Engine), magari grazie all’ultima guida in inglese trovata in rete, avevamo provato, mesi fa, a fare lo stesso anche con Dragon Quest IX, ma stavolta avevamo gettato presto la spugna. Una conoscenza poco più che scolastica del giapponese era bastata per capire che la storia meritava di essere apprezzata, capita, vissuta e che non sarebbero state solo sfumature quelle che ci saremmo persi.Riponemmo così il gioco sullo scaffale e dovemmo combattere con noi stessi per evitare di rimetterci sopra le mani.Oggi, dopo svariate decine di ore passate con una versione comprensibile, siamo felici della scelta presa: la storia dietro Sentinelle del Cielo è davvero celestiale.Niente eroi con gli ormoni in fermento, niente neo adolescenti, niente intrepidi spadaccini dal taglio di capelli emo: stavolta saremo chiamati a fare del bene in giro per il mondo, perché la nostra natura ce lo imporrà visto che il main character è un angelo caduto sulla Terra, dopo un misterioso terremoto che ha sconvolto il regno dei cieli proprio nel momento in cui, secondo la leggenda, avrebbe dovuto succedere qualcosa di magnifico. Scopo degli angeli è infatti proteggere la gente, esaudirne, per quanto possibile, le preghiere e le richieste, guidarli sempre verso il bene: esiste una vera e propria gerarchia angelica e il nostro alter ego, con tanto di ali bianche, la sta rapidamente scalando: i ringraziamenti della gente, la loro devozione verso i propri protettori si reificano in una sostanza, chiamata Benevolenza, di cui si nutre Yggdrasil, l’albero sacro, centro focale del regno dei cieli, cui va offerta dagli angeli per far sì che questo generi i propri frutti e mantenga l’equilibrio e l’armonia sulla Terra. Come detto, però, un violento terremoto provoca la caduta di un gran numero di angeli e servitori dei cieli, che, nella discesa, perdono le ali e parte dei loro poteri, risultando, alla vista, esattamente uguali agli umani che popolano il “Protettorato”, ovvero a coloro che sarebbe loro compito proteggere e guidare.Qui inizia la vostra avventura, divisi tra la necessità di svolgere comunque la propria mansione di protettori della gente comune e quella di ritrovare sia tutti gli angeli caduti, che i frutti dell’albero sacro che si sono sparsi per il mondo in seguito all’evento traumatico, le cui cause rimangono sconosciute. Questo, in soldoni, si tradurrà in un plot mai troppo maturo e complesso, ma sognante e umano, che fa vibrare le corde dei sentimenti in più di una circostanza e che tocca temi per niente scontati come la morte, l’amore, la riconoscenza. Per gran parte dell’avventura vagheremo da un paese ad un altro, secondo uno schema abbastanza rigido città – dungeon – città, ma ogni villaggio farà storia a sé e in ognuno di questi posti potremo renderci utili in maniera sempre diversa: per esempio, sconfiggendo un’epidemia, ricongiungendo due innamorati divisi dalla morte, scuotendo una comunità dalla pigrizia.Sembrerà di provare decine di piccoli giochi nel gioco, come se la storia fosse divisa in sottoavventure che, oltre a tenere lontana la noia, ben si adatteranno alla natura comunque portatile della console ospitante.
Inno alla classicitàChi tra voi lettori conosce bene Dragon Quest sa anche che Enix, adesso Square Enix, non ha mai puntato per la propria serie sullo stravolgimento dei canoni, sull’effetto novità, sulla proposta di stilemi innovativi: distaccandosi in questo in maniera abbastanza netta dall’altra grande saga di casa: Final Fantasy, che si sta evolvendo in qualcosa di completamente diverso da ciò che era solo dieci anni fa. Dragon Quest è e sempre rimarrà Dragon Quest. Questo significa che attorno a punti fermi nella saga (il character design di Akira Toriyama, il bestiario, il sistema di combattimenti a turni e storie intrise di umorismo) si è costruito un successo ventennale, che in Giappone è anche più consistente che nel resto del mondo, superando nelle vendite, non di poco, tanto le varie Fantasie Finali quanto altre saghe ruolistiche. Questo cappello introduttivo vuole suonare come un avvertimento: non c’è assolutamente nulla di nuovo nelle meccaniche di gameplay di questo Dragon Quest IX, con due eccezioni e quindi chi (e crediamo di parlare di una minoranza) si aspettava innovazioni consistenti, può terminare qui la sua lettura.Tutto è esattamente dove lo avevamo lasciato alla fine dell’ottavo episodio: lo stile di Toriyama, nonostante la sua ciclica riproposizione, è sempre accattivante e spiritoso e permea il gioco di personaggi unici, pieni di vita ed espressivi come pochi. Il sistema di combattimento, fulcro di ogni JRPG, è quanto di più classico abbiamo visto negli ultimi anni in un titolo che non fosse un remake o una riedizione, segue un canovaccio preciso, a turni statici, che non concede voli pindarici eccessivi, ma è impostato in modo da rendere i combattimenti una pratica piacevole e snella piuttosto che un obbligo tedioso e, in generale, l’atmosfera che si respira non è troppo diversa da quella che ha caratterizzato i precedenti otto capitoli. Le due eccezioni cui si faceva riferimento prima non sono affatto secondarie nell’economia del gioco, ma di certo non lo stravolgono né lo rendono una svolta decisa dai binari abbondantemente tracciati dalla serie: parliamo del fatto che i combattimenti non sono più casuali, ma i nemici sono adesso ben visibili su schermo e della inedita modalità multiplayer fino a quattro giocatori.Analizzando nel dettaglio queste due novità, però ci si accorge che, in fondo, tanto novità non sono: se è vero che i nemici sono visibili su schermo e che spesso riusciremo, per questo, ad evitarli, va anche detto che essi appaiono dal nulla quando meno ce lo aspettiamo e spesso non avremo il tempo materiale per evitare il contatto con loro, che porterà, inevitabilmente, al combattimento.Inoltre, la scelta di combatterli o meno è solo un placebo, un’illusione di libertà concessa al giocatore, perché, visto che il livello di sfida è una delle cose rimaste immutate nel tempo, sempre di livello medio – alto, se non daremo alle fasi di combattimento il giusto spazio finiremo inevitabilmente con il soccombere di fronte a mostri che ci daranno sempre del filo da torcere. Se a questo aggiungete il respawning dei nemici e il fatto che, con poche eccezioni, sono generalmente ben più veloci del nostro party, beh, capirete che la novità è più di facciata che funzionale. Questo comunque è un finto problema: crediamo che la scelta sia stata adottata per andare incontro alle nuove generazioni che con i combattimenti casuali hanno meno dimestichezza e probabilmente li vedono come un inutile retaggio di un passato videoludico remoto.Il multiplayer, permette di condividere l’avventura ad un massimo di quattro giocatori in locale (niente online, sarà per la prossima), è una graditissima aggiunta, ma il più che fondato timore è che lo sia (stata) soprattutto per i giocatori del Sol Levante: non supportando il game sharing, infatti, questa modalità richiede quattro Nintendo DS e altrettante copie del gioco per essere goduta a pieno e, sinceramente, pur augurandoci il successo che il gioco sicuramente merita, non crediamo che la sua diffusione entro gli italici confini arrivi a tanto.Il resto non può che essere riassunto, anche perché confidiamo nel fatto che abbiate vissuto sulla Terra e non su Marte e che quindi conosciate la struttura base di uno qualsiasi dei titoli che compongono la grande famiglia di Dragon Quest: la trama, pur toccando corde delicate, che hanno a che fare con il profondo dell’animo umano, non eccede mai nel prendersi troppo sul serio, e il character design di Toriyama, forse anche per l’implicita e sottintesa associazione alla saga di Dragon Ball, contribuisce in maniera decisiva a dare un look sbarazzino e fumettoso alla narrazione.I personaggi non giocanti, come in tutti i capitoli precedenti, non saranno dei meri oggetti d’arredamento, come purtroppo succede in molti RPG di ultima generazione e, anzi, l’interazione con questi offrirà una miriade di quest secondarie, approfondirà aspetti della trama e spesso fornirà indizi decisivi sul prosieguo della nostra avventura. Non mancherà nemmeno il sistema di creazione degli oggetti, che consente di fondere tra loro materiali raccolti in ogni angolo del vastissimo universo esplorabile per ottenere oggetti unici, non in vendita nei normali negozi.Servirebbero giorni a spulciare ogni aspetto del gioco, dalle mappe segrete che contengono indicazioni per raggiungere dei dungeon bonus, alle mini medaglie collezionabili, sparse negli angoli più reconditi del globo, ma questo è un piacere che, anche per esigenze di spazio, lasceremo a tutti coloro che vorranno avventurarsi in uno dei mondi più pulsanti, vivi e colorati che i due schermi di Nintendo DS abbiano mai rappresentato.Difetti? Sì, un paio, più che altro legati a scelte di gameplay che iniziano a sentire il peso degli anni, ma che vanno prese, crediamo, nel pacchetto, come un accendisigari difettoso in una Ferrari fiammante: per gran parte dell’avventura dipenderete dalle chiese sparse per il mondo per rianimare un personaggio caduto in battaglia, il che significa che, se dovesse morire uno dei membri del party per una disattenzione, o per un nemico particolarmente coriaceo (e credeteci, ce ne sono), le scelte saranno due: tornare indietro al villaggio per rianimarlo così da non fargli perdere preziosi punti esperienza, o proseguire nell’esplorazione del dungeon trascinandovi dietro una simpatica bara.A proposito, il design dei dungeon è uno degli aspetti migliorabili del gioco, davvero troppo semplicistico per l’utenza hardcore cui questo prodotto, come tutta la saga del resto, si indirizza. Nonostante un plot che non abbiamo esitato a definire celestiale, poi, c’è un aspetto della storia che non ci è piaciuto: il nostro party sarà interamente personalizzato, creato con lo stesso editor che ci consentirà di dar vita al nostro alter ego appena iniziata l’avventura e le classi scelte inizialmente potranno essere agilmente modificate dopo una decina di ore di gioco, non appena avremo accesso all’Abbazia.Il problema di questo metodo è che il party risulta, a detta del sottoscritto, anonimo, incolore, uno specchio senz’anima dei gusti estetici del giocatore (visto che tra l’altro gli equipaggiamenti indossati saranno ben visibili sui personaggi), estendendo a tutti e quattro i membri quella mancanza di eloquio e di personalità che negli altri capitoli (o quantomeno nella maggior parte) era appannaggio del solo main character.Peccato, perché molti dei personaggi che incontreremo sulla nostra strada sapranno invece emozionarci (sfidiamo chiunque a non sorridere compiaciuti durante la scena del ballo tra il Cavaliere deceduto e la bella erede della sua amata), e avrebbe aggiunto notevole spessore alla trama godere delle interazioni tra questi personaggi e i nostri quattro eroi.
Melodie di un cielo stellatoIl lato tecnico, se comparato alla vastità del mondo esplorabile, alla durata media dell’avventura, al comparto sonoro, è forse quello che impressiona meno, non per lacune evidenti o mancanze di sorta ma perché crediamo che i chip grafici di Nintendo DS, dopo anni di onorata militanza, siano stati sfruttati a pieno, e difficilmente possano ancora lasciare spazio a grandi sconvolgimenti: non è infatti un caso che il codec video utilizzato dal titolo sia di largo uso tra tutte le produzioni (soprattutto di giochi di ruolo) uscite nell’ultimo anno e mezzo sulla console portatile Nintendo.Questa considerazione però non inganni: i personaggi sono ben dettagliati, eccellentemente animati, e abbiamo particolarmente apprezzato le new entry nel bestiario di mostri del gioco, che riproporrà grandi classici del passato (i simpaticissimi Slime su tutti) affiancandoli a mostri molto ben ideati e disegnati (come la tigre – centauro).Magnifico il comparto sonoro, che riesce a farsi perdonare abbondantemente il mutismo dei personaggi che popolano il mondo di Dragon Quest IX con dei motivi che mixano sapientemente temi storici della saga, come quello del battle system, con melodie incantevoli e totalmente inedite, che impreziosiranno alcuni dei passaggi più significativi della trama.La longevità è eccellente, e va da un minimo di 35 ore per i pochi che vorranno solo passare distrattamente nel mondo di Dragon Quest IX, portando a termine la main quest e poco più, alle oltre 75 – 80 per i perfezionisti che ameranno perdersi alla ricerca di un dungeon segreto o di una medaglia mancante.Il consiglio non è solo quello di acquistare il gioco, ma è di godervelo senza fretta, centellinando le emozioni che saprà regalarvi e chiudendo un occhio sulla bruttezza e la scomodità dei menu di gioco e su altre piccole scelte di gameplay forse eccessivamente votate al classicismo: essere una vera Sentinella del Cielo, d’altronde, richiede tempo, pazienza e tanto, tanto amore.
– Sconfinato
– Sistema di combattimento e livello di difficoltà perfettamente bilanciati
– Bestiario e character design di prim’ordine
– Sceneggiatura che tocca le corde dell’anima
– Party anonimo
– Nessuna novità di rilievo
8.6
Che altro aggiungere alla recensione? Che se Square Enix avesse avuto meno paura di osare, fidandosi maggiormente dell’appeal della sua creatura e del fatto che i fan avrebbero potuto apprezzare sostanziali passi avanti nelle meccaniche di gioco, ci saremmo probabilmente trovati tra le mani un capolavoro di tecnica, di sceneggiatura, di giocabilità.
Queste sono qualità che Dragon Quest IX possiede comunque, che piaccia o meno, nonostante le modifiche apportate siano più superficiali che funzionali e nonostante le reali novità si contino sulla punta delle dita di una mano. Di un monco.
Siamo poi così sicuri che un pugno di idee innovative possa migliorare ulteriormente un impianto di gioco collaudato, perfettamente bilanciato, impegnativo, ma mai frustrante che negli anni, indipendentemente dalle traduzioni, dai continenti in cui è stato pubblicato e dalle console che lo hanno ospitato, ha venduto milioni e milioni di copie?
Ai posteri l’ardua sentenza, ma non lasciatevi scappare questa piccola perla di “programmazione conservatrice”.
Voto Recensione di Dragon Quest IX - Recensione
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