Recensione

Dragon Quest Builders

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a cura di Gottlieb

Qualche mese fa, a Zurigo, mi sono ritrovato seduto allo stesso tavolo di John Romero e Brenda Romero: il primo, per chi non lo sapesse, è l’uomo al quale spesso si riconduce la storia di Doom, i primordi di uno degli fps più noti nella storia videoludica. Entrambi, con mia grande sorpresa, parlando di progetti che avevano stravolto il mercato si erano trovati concordi nell’annoverare Minecraft in cima alla lista dei successi recenti. Questo aneddoto ci aiuta a introdurre meglio quello di cui andremo a parlare, perché il dibattito con Romero continuò, limitatamente al tempo a nostra disposizione, con il sottoscritto che, però, Minecraft non l’hai mai elogiato troppo, perché privo di quelle meccaniche che lo rendessero apprezzabile da una più vasta platea di videogiocatori, più maturi, soprattutto. Poter mettere le mani su Dragon Quest Builders, pertanto, è stato un modo per scoprire un qualcosa che vada oltre il titolo di Mojang e di Markus Persson, con qualche meccanica in più, ma con ancora dei difetti troppo vistosi.

Un nuovo risveglioAlefgard, regno caro ai combattenti di Dragon Quest. In una realtà parallela a quella nota a chiunque abbia sconfitto il malvagio Dragonlord, le forze del male hanno provato a sedurre il nostro eroe, proponendo una spartizione del regno: piuttosto che vincere la battaglia, la proposta è quella di cedere e condividere il potere con le forze del male. Una seduzione che non può lasciare inerme il nostro eroe, nonostante le tantissime battaglie compiute, e la possibilità di annusare una forza ancora sconosciuta lo conduce dritto nella trappola che, ad armi riposte, lo annienta sotto gli occhi del Dragonlord. Lasciato oramai indisturbato, il nostro antagonista ha la possibilità di dominare incontrastato sul regno e assoggettarlo come meglio crede nel futuro. Gli anni passano e un nuovo eroe si risveglia accanto a un focolare, pronto a ridare vita a un mondo oramai desolato, con un grande marchio sulla fronte: si tratta del Costruttore, l’eroe che potrà ridare vita a tutto ciò che le forze del male e i mostri disseminati nel territorio di Alefgard hanno distrutto. Per ridare vita e linfa alle terre disgraziate.

Un mondo fatto di terraDisegnato dal noto tratto di Akira Toriyama, il nostro protagonista viene subito gettato in quella che è un’avventura da costruire, in un enorme sandbox che, però, a differenza di ciò che potremmo aspettarci risulta essere molto guidato. Dragon Quest Builders, infatti, per quanto dia massima libertà di espressione nella realizzazione di tutte le strutture che vogliate, ha una struttura molto a binari, costringendovi a eseguire delle richieste specifiche per portare a termine le vostre missioni. Partiamo subito col dire che la nostra esperienza consta di quattro diversi capitoli, con quattro diverse città da ricostruire e quattro diverse civiltà da riportare all’ordine: gli obiettivi differiscono sempre, perché se in una di queste dovrete riuscire a curare tutti gli ammalati, colpiti da un’epidemia su larga scala, altrove dovrete ricreare fortezze e mura di una guarnigione militare per respingere l’assalto di temibili avversari. La struttura a città, per quanto possa accompagnarvi in maniera variegata e offrendovi qualcosa di diverso all’intera vostra esperienza di costruttore, vanifica in maniera troppo eccessiva il lavoro compiuto nelle precedenti: dopo dieci abbondanti ore di gioco nella stessa base, impegnati a renderla più colorata e accessoriata che mai, ritrovarsi costretti ad abbandonarla, rimettendo nelle mani del creatore anche i propri progressi e tutti i propri oggetti, è una situazione dinanzi alla quale non vorremmo ritrovarci. A voler guardare, però, l’altro lato della medaglia, Dragon Quest Builders ci permette di rimanere nella stessa città per tutto il tempo che vogliamo, offrendoci una sorta di end game quadruplo, che possiamo rivivere anche dopo aver deciso di partire verso una nuova città, caricando semplicemente lo slot di salvataggio dedicato alla città precedente. L’evoluzione, da un binario di missioni a un vero e proprio sandbox, non riesce però a donare grande soddisfazione nell’end game, che soffre innanzitutto di alcuni muri invisibili apposti in determinati punti delle città, spesso a ridosso di lande acquose, così come vi porterà a una ridondante costruzione di stanze e nuove strutture che comunque non vi permetteranno di progredire in alcun tipo di missione. Lo stesso sandbox nelle singole città diventerà di per sé un’inutile aggiunta quando avrete sbloccato la Terra Incognita, una zona dove potrete costruire qualsiasi cosa in piena libertà e vincere anche il limite della condivisione, che sarà qui possibile con gli altri giocatori sparsi per il globo.

Ferisce più la pala che la spadaEsaurito tale aspetto, entriamo nel cuore vero e proprio del titolo. Dragon Quest Builders dà anima e vita a un universo ecosostenibile, fatto di terra, argilla e materiali preziosi, tutti pronti per essere utilizzati per il vostro scopo ultimo, che sia esso creare una stanza per gli ammalati o una cucina per rifocillare lo stomaco dei vostri compagni di sventura. Ognuno di essi sarà caratterizzato con un suo stile, un nome che localizzato in italiano vi strapperà qualche sorriso e delle linee di dialogo che contestualizzano ogni missione affidatavi: da loro dipenderà il vostro incedere, perché più ne avrete nella vostra base, più la vostra sarà un’esistenza felice. Le loro richieste vi apriranno gli occhi sulle necessità del vostro universo, oltre che permettervi di scoprire cosa potete costruire e cosa no: la formula ripetitiva delle quattro città trova in loro un’offerta variegata, che vi permette non solo di approcciarvi al diverso stile di vita dei guerrieri o delle suore, in distinte realtà, ma anche di capire quali sono i bisogni di ogni agglomerato di consociati, tra chi vi insegnerà a costruire una canna da pesca per portare a casa delle sardine e chi, invece, punterà tutto sui martelli da guerra. Per quanto questa soddisfazione strutturale, che fa sicuramente riferimento a un’ispirata intenzione di sceneggiatura, ci possa prendere nei primi momenti, il senso di more of the same ci pervade per gran parte della produzione: tutte le missioni, anch’esse su dei binari ben scritti, ci richiederanno di raggiungere un determinato posto, soddisfare la richiesta del nostro mandante e tornare alla base con l’obiettivo concluso. Quelle uniche novità che verranno proposte all’intero scheletro videoludico fanno capo alla necessità di reperire materiali e andare alla scoperta di elementi chimici che non sempre sono a portata di mano, come la produzione di terra velenosa e di acquitrini generati dalla stanza dell’acqua. Siate pronti a riscoprire, quindi, qualche conoscenza legata ai materiali e alla creazione di nuovi, non sempre guidati e spesso pronti a mettervi dinanzi al dubbio della creazione. Una volta che avrete poi terminato la vostra costruzione sarà necessario accogliere, a piene mani, la necessità di scendere in battaglia e respingere le ondate di avversari che vi verranno addosso, attirati inevitabilmente dalla presenza di umani da sconfiggere. Più andrete avanti nel gioco più saranno corpose e ostiche le schiere avversarie, ma dalla vostra avrete, intanto, più cittadini da schierare in battaglia: alcuni di essi riusciranno a rifornirsi all’armeria, altri agiranno di proprio pugno, nel vero senso della parola, tutti per difendere la base che verrà attaccata sia in maniera improvvisa, per lo più di notte, sia in maniera controllata, a mo’ di missione. L’aspetto combattivo più divertente l’abbiamo indubbiamente riscontrato nel primo capitolo, a difesa della nostra guarnigione e supportati da idoli sputafuoco, trappole appuntite e una barriera praticamente indistruttibile da apporre dinanzi all’ingresso della città, rivelatasi utile anche nelle boss battle. Quest’ultime si differenziano dai combattimenti canonici perché spesso realizzate come dei puzzle da risolvere, che se da un lato rendono molto scriptata tutta l’azione, dall’altro rendono molto più variegata la proposta finale del battle system, altrimenti pronto ad accogliere il senso di monotonia. Affidato a un unico tasto, infatti, la nostra capacità varierà soltanto a seconda dell’arma che equipaggeremo, seguendo pertanto uno schema ben preciso: nel capitolo secondo, per esempio, essendo più votati alla cura degli ammalati che altro, sarà abbastanza difficile arrivare a costruire una spada d’acciaio che possa permetterci di risolvere i combattimenti in maniera rapida e indolore, così come non sarà immediata la realizzazione di un’armatura tanto robusta da limitare i nostri danni. A rimpinguare le nostre capacità ci saranno le tecniche, un aspetto che Dragon Quest Builders tocca in maniera troppo superficiale e che avrebbe potuto estendere a una ramificazione più corposa: sbloccate in maniera del tutto casuale come delle missioni consuetudinarie, ci permetteranno di affrontare i nostri avversari in maniera più dinamica, ma senza esaltare quella proposta che finale che è fatta di un unico pattern di movimento. Anche per questo aspetto il battle system annoia in maniera abbastanza rapida se fatto spada alla mano, ma diventa più divertente se riusciremo a inventarci qualcosa di più costruttivo, come togliere il terreno dai piedi di un avversario, là dove possibile, oppure circondarlo con tasselli di acqua, così da impedire loro l’avanzamento di terreno. Aspetti che sono prettamente legati alla vostra fantasia e alla vostra inventiva, che trova poche volte, invero, degli ostacoli, come quando vi saranno consegnati dei progetti da seguire a menadito e che non produrranno le stanze richieste se doveste sbagliare collocando dell’argilla al posto della terra.

La terra della libertàUn aspetto fondamentale da tener presente in Dragon Quest Builders è legato al comparto multiplayer. Se il singleplayer, infatti, ci ha impegnato per più di 50 ore, con una media di poco più di dieci ore per ogni città da ricostruire, il multiplayer è praticamente sconfinato e aperto a qualsiasi soluzione, oltre ad avere una diramazione figlia del completamento della main quest: la Terra Incognita, già nominata poc’anzi, avrà infatti dei portali che si apriranno ogni volta che avrete portato a termine uno dei capitoli della storyline, e magari soddisfatto anche alcune sfide annesse, che saranno visibili soltanto a posteriori. Nella modalità multiplayer, oltre che a costruire, sarà disponibile anche la condivisione con gli altri giocatori, tutti mossi dalla forza della magia della pietra della condivisione e dell’evocazione, che vi permetteranno di mettere sulla vostra isola tutte le creazioni degli altri costruttori. Potrete scegliere se attivare l’evocazione casuale, quindi di un qualsiasi giocatore, oppure quella comandata, inserendo la creazione di un giocatore da noi scelto, che può essere un amico o anche un conoscente col quale vogliamo condividere un’esperienza passeggera. Nell’isola potremo posizionare fino a un massimo di 127 pietre dell’evocazione, creando così una connessione con altrettanti costruttori: chiaramente avendo provato il gioco quasi due settimane prima della release sul mercato, è stato impossibile trovare delle condivisioni attive e le nostre ricerche non hanno avuto grandi frutti. Ci riserviamo, quindi, un test maggiore al momento opportuno. L’assenza, però, di un PvE all’interno della Terra della libertà ha vanificato anche il senso di battle system che ci aveva comunque offerto una sorta di varietà di fondo in Dragon Quest Builders, staccandoci dalla mera distruzione e costruzione. Un elemento non da poco, con una terra sì pacifica, ma che quindi vanifica anche la necessità di costruire delle roccaforti e difendersi da eventuali assalti. Per poter ovviare, però, alla necessità di costruzione che spesso trova la propria soluzione anche negli oggetti che i mostri lasciano cadere, il team di sviluppo ha pensato di inserire i portali di cui sopra, che nascono dalle esperienze precedenti nelle altre città: ognuno di essi emulerà uno dei quattro mondi già visitati, proponendovi gli stessi nemici che avreste trovato se foste nella main quest, ottenendo così il loot di cui avete bisogno per la creazione di nuove strutture od oggetti. Il tutto si riduce inevitabilmente a un già visto ripetitivo e che soltanto nei più coriacei produrrà grande interesse. La longevità, va da sé, viene indubbiamente rimpinguata e trae beneficio da tali proposte, che sono tutte lodevoli, ma soltanto nell’intenzione: creare un mondo così vasto, tutto distruttibile, ma non procedurale, non è cosa da tutti i giorni, ma andava trovata una soluzione che avrebbe potuto offrire una vastità maggiore e più apprezzabile, meno schiava del more of the same. Aver strizzato l’occhio alle componenti RPG, con la barra della salute potenziabile, l’indicatore del cibo onnipresente e pronto a chiedere di riempire lo stomaco, aggiungendo accessori da equipaggiare e armi che rischiano di distruggersi con l’usura, non basta, perché tutte queste componenti vengono azzerate ogni dieci ore di gioco, vanificando gli sforzi compiuti in precedenza e costringendovi a una nuova vita, dimenticando tutto della precedente, anche il livello raggiunto dalla vostra base, che col quinto vi donerà una soddisfazione fatta di accessori, colori e un bel parquet da stendere a terra.

La mano di ToriyamaDragon Quest Builders è un mondo colorato, intenso, carico di pastelli e di colori sgargianti, anche là dove c’è da abbracciare con più convinzione i grigi. La finzione del movimento del mare, che non si rifrange contro le strutture, passa quasi in secondo piano dinanzi alla possibilità di annichilire qualsiasi struttura ci si parerà innanzi, ma permane un senso di fastidio per la telecamera, che pur essendo libera in ogni momento, diventa ingestibile quando ci infileremo in un tunnel alla scoperta delle nostre capacità minerarie. In un sandbox del genere ci sarebbe servita maggior libertà di spostamento della visuale, con uno zoom in e out, soprattutto nella mappa del mondo, che pur donandoci una vista dall’alto non ci permette di spaziare in ogni dove, costringendoci a rimanere ancorato al nostro personaggio. Quest’ultimo, customizzabile nel sesso e nei colori della pelle, dei capelli e degli occhi, è lo stereotipo del protagonista di Dragon Quest, l’eroe senza nome, che verrà immediatamente riconosciuto da tutti come il salvatore, accompagnato da una colonna sonora legata agli ambienti visitati, con tanto di innaturale scatto alla traccia successiva, più cupa, in prossimità di un dungeon. Privo di doppiaggio, ma interamente localizzato in italiano, tutti i personaggi avranno i tratti oramai impossibili da non riconoscere, che portano la firma di Akira Toriyama, sempre accorto al mood proposto, cedendo sempre il passo ai colori sgargianti che sono propri delle sue opere. Un colpo d’occhio piacevole, anche nei vari mostri proposti, che vanno a realizzare un bestiario decisamente vasto. 

– Minecraft si evolve verso l’RPG

– Colorato, distruttibile, costruibile

– Scenario presente e attivo

– Un sandbox su binari e limitato

– Telecamera non sempre funzionale

– Troppo ripetitivo nella sua immensità

7.5

Dragon Quest Builders, in definitiva, è un’evoluzione di Minecraft. Sfruttando alcune componenti RPG, intensificando il rapporto col battle system, che in alcune movenze emula The Legend of Zelda e dona anche un feedback d’allerta quando i nemici decidono di attaccarvi, il sandbox di Square-Enix riesce a innovare quella formula che sembrava inattaccabile e invincibile. La struttura resta prettamente legata a dei binari fissi, costretta a procedere di missione in missione, senza grande libertà, ma potrete costruirvela da voi, in qualche modo, perseguendo un ideale diverso, sfruttando quell’end-game che vi viene proposto a più riprese, con delle convinzioni non del tutto giuste. L’intenzione è forte, ma lo è anche il senso di già visto, di ripetitività, che andava necessariamente combattuto in altro modo. La strada può essere quella giusta: arriverà qualcuno, sicuramente, a innovarla ancora di più.

Voto Recensione di Dragon Quest Builders - Recensione


7.5

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