Quello di Kickstarter è un salto nel buio. Ci vuole un po’ di coraggio, e forse anche un po’ di follia ad affidare i propri soldi a un’azienda in cambio di una promessa. Il rischio è alto, ma la storia ci insegna che il lieto fine esiste, e che in alcuni casi è possibile che i soldi spesi sulla piattaforma di crowdfunding si trasformino in un vero e proprio affare.
Con Divinity: Original Sin è andata proprio così. Il gioco ha raccolto quasi un milione di dollari, e da piccolo progetto indipendente si è gradualmente trasformato in qualcosa di sempre più grande, fino a raggiungere le enormi dimensioni di un RPG d’altri tempi. Ma la sua grandezza, come vedremo, non è l’unico aspetto che rimanda al passato. Questo gioco, infatti, sembra essere stato chiuso in una capsula del tempo e dissotterrato nel 2014, pronto a sorprenderci con una giocabilità che non vedevamo dai tempi di Baldur’s Gate.
Due eroi, un omicidio
La storia di Divinity inizia con un omicidio in una terra corrotta. Siamo a Cyseal, una terra un tempo intrisa da una forza misteriosa chiamata Source. Questo potere, però, si tramutò in qualcosa di terribile, e tutti i suoi seguaci iniziarono a praticare le arti oscure, soggiogando il mondo. Così, vennero istituiti i Source Hunters, un gruppo di guerrieri, maghi e combattenti determinati a eradicare questo male dal mondo e a eliminare i suoi seguaci.
I nostri eroi, Source Hunters, sono tuttavia chiamati a svolgere un compito quasi di routine, nel quale devono indagare sulla morte di un uomo avvenuta in circostanze misteriose, ma che ben presto rivelerà un complotto molto più grande del previsto. Il gioco, dunque, inizia con la creazione dei due personaggi che ci accompagneranno nel corso dell’avventura. Già in questa fase, veniamo immediatamente sopraffatti dalla quantità di informazioni disponibili: non è facile capire quale sia la classe giusta per i nostri eroi, né sono chiari gli effetti delle abilità e dei talenti. Se ci si approccia alla cieca, è inevitabile ripensare alle scelte fatte in fase di creazione dei personaggi, e magari pentirsene: meglio riflettere sulla natura del proprio party, e tenere in considerazione che – dopo poche ore di gioco – faremo la conoscenza di altri due personaggi giocabili: un guerriero tank e un mago.
Così, con il nostro party di quattro, iniziamo ad esplorare le terre di Cyseal. E, esattamente come con la creazione del personaggio, anche questa fase avviene completamente alla cieca. Divinity: Original Sin non è un gioco che ci indica dove andare e cosa fare: non troverete indicazioni sulla mappa,ma solo un lungo elenco di quest la cui descrizione potrà darvi qualche blando indizio. Nella maggior parte dei casi, dunque, sarete voi a dover capire cosa fare e dove andare, in quanto nemmeno gli NPC con cui parlerete saranno in grado di darvi delle informazioni. Già nel corso delle prime due ore di gioco vi ritroverete con una lista di quest primarie e secondarie capace di farvi impallidire: molte delle missioni trovate all’inizio dell’avventura non si potranno risolvere nelle prime venticinque ore di gioco, e in molti momenti sarete colti da una sensazione di smarrimento, che potrebbe presto tramutarsi in sconforto. Le vostre intuizioni potrebbero rivelarsi sbagliate, e condurvi in luoghi dove i nemici vi spazzeranno via in un battibaleno. In altri casi, la quest potrebbe dipendere dalla vostra fortuna negli intricatissimi dialoghi, che in caso di contenzioso attivano un minigioco sasso-carta-forbice basato sia sulle vostre abilità passive che, ovviamente, su di una bieca dose di fortuna. Vi ritroverete a fallire, a vanificare i vostri sforzi, ad arrabbiarvi e a rimettervi in cammino con il sangue che ribolle e la voglia di ricaricare qualche salvataggio precedente per evitare il pasticcio.
Avrete certamente intuito un primo, importante tratto di Divinity: Original Sin. Stiamo parlando di un gioco tremendamente difficile, capace di spiazzare anche i giocatori più esperti e in grado di ricalcare una giocabilità che non vedevamo da almeno vent’anni. Chi, come chi vi scrive, ha superato la trentina si ricorderà di alcuni giochi del passato che offrivano qualcosa di simile, e che vi costringevano a consultarvi con i vostri amici per risolvere anche le situazioni più banali. Divinity: Original Sin riesce a ricreare questa atmosfera, portandoci inevitabilmente a riflettere sull’evoluzione del medium videoludico, e di quanto la nostra pazienza si sia modificata in tutti questi anni. Una volta, forse, non avremmo battuto ciglio. Ma di fronte a un titolo del genere, datato 2014, il crocevia di emozioni contrastanti spesso prende il sopravvento. Ve lo diciamo subito: per giocare a Divinity: Original Sin dovete essere pronti al peggio, in quanto la vostra soglia di sopportazione al dolore e alla frustrazione dovrà raggiungere nuove vette.
Turno dopo turno
Il combattimento di Divinity: Original Sin ricalca quello degli RPG con vista ortogonale di scuola Bioware. Parliamo di un combattimento turn-based, in cui eroi l’attacco di eroi e nemici si alterna a seconda del loro grado di iniziativa, e in cui il numero di mosse disponibili è determinato da dei punti azione, che possono essere conservati ad ogni turno per scatenare l’inferno in quello successivo. L’interfaccia è estremamente intuitiva, ed è davvero semplice capire quanti punti azione si consumano ad ogni mossa e se un tipo di attacco è al di fuori della nostra portata. Poiché non vi è alcun tipo di suddivisione del terreno di gioco in scacchiera, il movimento è determinato dagli eventuali ostacoli sul terreno, che l’intelligenza artificiale cerca di aggirare proponendoci il percorso più conveniente. Questo sistema non funziona sempre alla perfezione, e alle volte si è reso necessario aggirare gli ostacoli in più tappe, evitando che il percorso suggerito dal gioco ci esponesse a troppi rischi. Allo stesso modo, il piazzamento dei personaggi sullo schermo a volte non tiene conto della fisicità dei nemici e degli alleati, con un’interpolazione poligonale che ci ha creato qualche grattacapo facendoci sprecare qualche attacco o qualche prezioso punto azione soltanto per riuscire a cliccare sul nemico. Talvolta ci viene in aiuto la possibilità di zoomare sul campo di battaglia con la rotellina del mouse o, in alternativa, la possibilità di attivare una vista perpendicolare dall’alto o di evidenziare i contorni dei nemici con un comodo pulsante rapido. In generale, però, il combattimento è più che buono: nonostante qualche evidente lacuna, la maggior parte degli scontri procede in maniera soddisfacente.
Buona parte del fascino degli scontri di Divinity: Original Sin deriva dal curioso sistema che consente al giocatore di sfruttare l’ambiente a proprio vantaggio. La stragrande maggioranza degli scontri avviene in una situazione di svantaggio per il giocatore, che si trova spesso costretto ad affrontare nemici apparentemente al di sopra della propria portata. In questo senso, diventa cruciale saper sfruttare l’ambiente: è possibile, ad esempio, rovesciare un barile di olio e dare fuoco alla conseguente pozzanghera per incendiare i nemici. O, in alternativa, si può costringere i mostri a camminare nell’acqua per poi paralizzarli con una scossa elettrica, o trasformare il liquido in ghiaccio per farli scivolare. C’è un semplice sistema basato sugli elementi che contrappone fuoco, terra, aria e acqua e che consente di dare luogo a delle combinazioni tattiche davvero profonde. È in questi momenti che il gioco diventa davvero soddisfacente, lasciando al giocatore una profonda sensazione di avercela fatta esclusivamente grazie alle proprie capacità, anziché a una mera questione di fortuna. Certo, in alcuni casi gli attacchi falliscono, e una sequenza sfortunata di colpi può cambiare l’esito di una battaglia altrimenti scontato. Ma anche questo aspetto fa parte della natura dei giochi di ruolo, e non vi è davvero alcun motivo per lamentarsene.
A tutto questo si aggiunge la possibilità di lanciare magie e attaccare anche al di fuori del combattimento, un semplice ma funzionale sistema di occultamento stealth, la possibilità di disinnescare trappole, forzare serrature e di risolvere svariati puzzle ambientali, talvolta cervellotici e propedeutici al prosieguo della vicenda.
Sempre più forti
Il sistema di crescita del personaggio, basato sull’esperienza ottenuta dopo ogni uccisione e alla conclusione delle quest, è piuttosto lento. Nelle prime 15 ore di gioco faticherete a superare il sesto livello, e la quantità di punti attributo, abilità e talento sbloccati ad ogni level up è irrisorio: parliamo infatti di un attributo ogni due livelli, due punti abilità ogni due livelli e un talento ogni tre. Il cammino del giocatore verso la gloria è dunque lungo ed impervio e, data la rarità dei passaggi di livello, senza il benché minimo margine di errore. Anche in questo senso, Divinity: Original Sin è davvero infernale, e vi obbligherà a ponderare qualunque decisione presa in quanto il respec, seppur possibile, sarà attivato solo dopo una trentina di ore di gioco (e, inutile dirlo, in una maniera piuttosto intricata).
Fortunatamente il loot ci viene in soccorso, fornendoci una varietà di armi rare, magiche e leggendarie capaci di modificare in maniera radicale il bilanciamento del nostro eroe. Gli sviluppatori hanno compiuto un ottimo lavoro, evitando di fornire una quantità spropositata di junk item e concentrandosi su bottini quasi sempre allettanti. Alcune armi leggendarie sanno davvero sorprendere, e come ai tempi del vecchio Diablo II vi ritroverete a gioire dopo l’identificazione di qualche oggetto raro.
Purtroppo il sistema di gestione dell’inventario è davvero molto complesso: organizzare il proprio zaino è molto difficile, e se non fosse per un sistema che separa le armi dai consumabili, dalle chiavi e dalle pergamene, la navigazione tra gli oggetti ottenuti sarebbe praticamente impossibile. Si trascorre davvero troppo tempo ad osservare gli oggetti presenti nell’inventario, e talvolta si ha difficoltà a recuperare gli ultimi oggetti acquisiti, che finiscono sepolti in un mare di cianfrusaglie e richiedono inevitabilmente di riordinare il proprio bottino, o di osservarlo con attenzione.
In generale, il gioco tende a fornirci una grossa quantità di loot già nelle prime ore di gioco. Il problema è che molti di questi oggetti risultano inutilizzabili, e per la parte iniziale dell’avventura i nostri eroi vengono trasformati in sherpa con un carico di oggetti accumulati nella speranza di poterli utilizzare in seguito. Il sistema di crafting è straordinariamente complesso, e non viene mai spiegato: persino le ricette per realizzare pozioni e oggetti utili, nascoste nei libri, sono spesso divise in capitoli e richiedono una lunga ricerca per poter essere completate. E, anche quando si riesce ad avere per le mani una ricetta completa, non è detto che le nostre abilità siano sufficienti per portare a termine il crafting.
Da tutto questo deduciamo un aspetto molto importante di Divinity: Original Sin: il gioco continua ad offrirci nuovi contenuti anche dopo svariate decine di ore. Ha la caratteristica un po’ perversa di lanciarci continuamente delle esche, di stuzzicarci il palato lasciandoci intuire la presenza di azioni che potremo svolgere solo in una parte avanzata dell’avventura. Quando si capisce questa caratteristica, la frustrazione lascia spazio a un sincero gusto della scoperta, invogliandoci a continuare e a non demordere di fronte alle sfide più complesse.
Un gioco difficile
Anche se non sarebbe il caso di ribadirlo, lo facciamo lo stesso: Divinity: Original Sin è un gioco molto difficile. Qualunque errore viene punito, e una buona parte dell’avventura la si trascorre a camminare a vuoto, nel tentativo di capire che cosa stia accadendo e quale sia la prossima mossa da compiere. Le dinamiche di trial-and-error sono presenti in misura fin troppo preponderante, e in alcuni casi si viene letteralmente investiti da una rabbia cocente e dalla pessima sensazione di essere stati presi in giro.
Non è così. O, perlomeno, non volutamente. Il gioco non vuole trarci in inganno: semmai, preferisce non dirci cosa fare e lasciarcelo scoprire da soli, spesso a un prezzo molto caro. Questo aspetto può non piacere a tutti, e certamente il titolo mette una buona parte dei giocatori di fronte a un muro insormontabile, trasformandosi rapidamente in un gioco così esigente da risultare elitario. Sembra quasi che Divinity: Original Sin sia andato oltre alla concezione dell’“hardcore” contemporaneo, recuperando una giocabilità che credevamo estinta, che si è evoluta col tempo in qualcosa di più moderno e adatto ai gusti contemporanei. Nonostante il grande successo ottenuto su Kickstarter, dunque, sarà davvero difficile per Divinity: Original Sin raggiungere il grande pubblico, che si troverà letteralmente spiazzato di fronte a un gameplay così intricato.
Per una volta, ci sentiamo di consigliarvi di lasciare da parte l’orgoglio e di provare a giocare il gioco in modalità Easy, portandola a Medium solo dopo qualche ora: potreste evitare un primo impatto traumatico e godervi l’avventura nelle fasi più avanzate. Può inoltre aiutare la particolarissima modalità multiplayer drop-in e drop-out, che consente di invitare un amico al quale assegnarli il ruolo di uno dei due protagonisti. Il sistema funziona piuttosto bene, e può essere divertente giocare l’intera avventura in compagnia di un amico. Degna di nota, infine, la presenza di un editor che consente ai giocatori di creare le proprie avventure: qualche pazzo modder ha già ricreato la vecchia Tristram, cercando di ricostruire Diablo in Divinity. A quanto pare, nel giro di qualche mese questo gioco si popolerà di ogni genere di citazione, parodia e creatività: siamo fiduciosi per il futuro di Divinity: Original Sin anche nel campo delle mod.
Tutto sommato, tecnicamente valido
Confessiamo che, di fronte al nome di Larian Studios, credevamo che il progetto si sarebbe attestato su di una qualità “media” da un punto di vista tecnico. Ci sbagliavamo: gli sviluppatori hanno infatti mantenuto le promesse con un gioco graficamente valido. Anche se il design dei personaggi non è certo stellare e alcuni ambienti siano abbastanza anonimi, in generale si ha la sensazione che gli sviluppatori abbiano compiuto un ottimo lavoro. I personaggi modificano il loro aspetto a seconda di armi e armature indossate, e gli effetti visivi sono in generale molto buoni. La vastità degli ambienti è impressionante, e giustifica i tempi di caricamento abbastanza lunghi: una volta entrati in gioco, però, l’intera area è esplorabile senza una sola schermata di attesa, fatta eccezione per alcuni dungeon.
Eccezionale la colonna sonora, totalmente orchestrata come era stato promesso, e costituita da temi che – seppur ripetuti in continuazione – non stancano praticamente mai. Buono il doppiaggio, per quanto rarefatto a causa della gargantuesca mole di dialoghi.
Bisogna altresì ammettere che Divinity: Original Sin non è stato perfettamente ottimizzato. Anche su di una configurazione di tutto rispetto quale il nostro MSI GE70 2PE Apache Pro il gioco fatica a girare al massimo della qualità grafica, e in generale per ottenere un’esperienza di gioco fluida è necessario disporre di un hardware decisamente al di sopra della media. In generale, il processore sembra giocare un ruolo di estrema importanza: considerando la dimensione delle mappe e la quantità di variabili in gioco, crediamo di capire il perché.
Da segnalare, infine, qualche sporadico bug. Oltre ai già citati problemi di interpolazione poligonale, abbiamo avuto qualche difficoltà con alcune quest che sono risultate incompletabili, oltre a uno strano bug che impedisce di riparare gli oggetti nel proprio inventario o di bilanciare correttamente le offerte nel sistema di commercio con gli NPC. Problemi che potremmo definire “fisiologici” in un gioco di questa portata, e che non inficiano il risultato.
HARDWARE
Provato su di un MSI GE70 2PEProcessore 4th generation Intel® Core™ i7 ProcessorSistema Operativo Windows 8.1Chipset (North Bridge) Intel® HM86Memoria di Sistema 16GBScheda Grafica GeForce GTX 860MMemoria Grafica 2GB GDDR5
– Componenti ruolistiche d’altri tempi
– Combat system profondo e appagante
– Dimensioni e durata ragguardevoli
– Gameplay solido e pieno di sorprese
– Estremamente impegnativo
– A volte fin troppo complesso
– Difficoltà non sempre ben bilanciata
– Meccaniche trial-and-error fastidiose
8.5
Divinity: Original Sin è uno splendido gioco, un titolo capace di lasciare qualcosa nella mente e nel cuore del giocatore. Parliamo di un prodotto che richiede impegno, che fa sudare, soffrire, lottare e infine gioire. Il suo più grande difetto si riscontra nell’eccessiva elitarietà di alcuni aspetti, che in ultima analisi finiscono per creare lo sconforto nel giocatore medio. In un mondo in cui il videogioco è un prodotto di massa, una difficoltà più magnanima, un minore affidamento alle meccaniche di trial-and-error e qualche fase più guidata avrebbero potuto rendere Divinity: Original Sin un prodotto fruibile da un numero di persone infinitamente più grande. Non è così, ma ciò non toglie che – con un po’ di coraggio e tanta pazienza – Divinity: Original Sin sia un gioco che tutti dovrebbero giocare almeno una volta nella vita.
Voto Recensione di Divinity: Original Sin - Recensione