“This mask is here for a reason.
To forget is to move on.
You must remember in order to forget, but it’s not wise to remember everything.“
Raramente vi capiterà di vedere una premessa più bizzarra di quella di Distortions, soprattutto nei videogiochi moderni.
Sempre più solenni, vicine al fotorealismo e lontane da sperimentazioni ardite che tagliano fuori grande fette di pubblico, le opere più d’avanguardia hanno chiuso definitivamente la porta al “weird”, alle stranezze, al surreale. Distortions è esattamente l’opposto: è una porta spalancata verso suggestioni oniriche apparentemente inesplicabili, che si rivelano infine un viatico per migliorare la vita di chiunque; per andare avanti, per resistere e cambiare senza farsi affossare dal passato.
Live in the past
Perdere ogni punto di riferimento sin da subito è davvero semplice, in Distortions, poiché l’incipit è – per chi giudica con gran superficialità – un’accozzaglia di momenti insensati, un terremoto dove ogni logica viene squassata.
Distortions va capito, va atteso con pazienza; non si apre subito, ha i suoi tempi e non esplode mai. Sa però come comunicare il profondo disagio di chi non riesce a superare il proprio passato, di chi non riesce ad andare avanti con la propria vita, rimanendo incatenato in un pantano che immobilizza, spaventa e altera le reali percezioni. Percezioni che diventano appunto distorsioni, problemi che assumono dimensioni ciclopiche, catene da cui non si è in grado di liberarsi.
Dopo il rocambolesco incipit, la protagonista si sveglia in un non luogo, in una sorta di dimensione dove echi di memorie mai sopite e ambienti bucolici si sovrappongono, creando un’amalgama surreale che è parte integrante e punto di forza dell’intera opera: montagne, caverne, fiumi, ponti sospesi e lì, in fondo, un grande mostro con una benda e due occhi dipinti in verticale contro cui prima o poi bisognerà scontrarsi. Per rinsavire. Per ritornare a vivere di nuovo.
Tutto è sospeso e in procinto di subire un imprevisto collasso, metafora di una mente fragile che può crollare immantinente e senza alcun preavviso. Lo testimonierete nell’arco di circa dieci ore, scoprendo man mano i motivi dietro a un malessere profondo che s’identifica con una simbologia essenziale ma forte.
Mentre la ragazza tenterà di ricordare, apparirà a più riprese un uomo mascherato, colui che dovrà per forza di cose essere lasciato indietro per sempre. Questo mondo dalla forte carica surreale e simbolica verrà letteralmente plasmato da voi, superando i puzzle e, soprattutto, suonando le note di un violino, vero fulcro di tutto il sistema di gioco.
Violino Tzigano
Per quanto profondo sia il messaggio di Distortions, per quanto sia delicato il modo con cui le tematiche portanti vengono affrontate e, soprattutto, per quanto sia da premiare il coraggio di proporre al pubblico qualcosa di assolutamente diverso rispetto a tutti gli altri giochi, i problemi da cui è afflitto sono molti e non di certo trascurabili.
Basti pensare al sistema di controllo poco preciso, che si rivela frustrante in particolar modo durante le fasi di salto, con la protagonista che deve spostarsi da una piattaforma all’altra con scarsissima fluidità e reattività. A ciò vanno aggiunti una gran quantità di bug e glitch visivi, fenomeni di pop-up, vistose compenetrazioni poligonali, squarci nel terreno che possono farvi cadere nel nulla e, più in generale, una grande approssimazione nella programmazione degli ambienti. Non sono eccessivamente spogli, e anzi in diverse occasioni mostrano una buona verve artistica che ben si sposa con la volontà di creare un mondo surreale basato su memorie ora fallaci, ora persistenti. Tuttavia le magagne sono sin troppo vistose e rovinano l’atmosfera e parte dell’avventura.
Potrà sembrarvi assurdo, ma Distortions è uno di quei giochi che avrebbe potuto prendere sia 4,5 sia 8,5, perché da una parte ci sono i difetti evidenti che peseranno come un macigno su chi pretende molto dal lato tecnico, mentre dall’altra c’è tutto il resto: un riuscito esperimento metanarrativo che sa come toccare le giuste corde.
E le corde dovrete toccarle sul serio, in Distortions, perché la meccanica di gioco principale, al di là del semplice salto, dell’arrampicata o della corsa, è la possibilità (per non dire l’obbligo) di suonare un violino per togliervi dagli impicci. No, non si combatte con un violino. In verità non si combatte affatto. Eppure, come se fosse uno strumento magico, questo violino vi consente di risolvere enigmi e di dispiegare davanti ai vostri occhi il mondo che pian piano vi circonderà. Potrà anche infliggere una sorta di blocco temporaneo ad alcune ombre moleste che vi perseguiteranno, ma anche formare dei ponti, o distruggere pareti in procinto di sgretolarsi. Il tutto, intonando delle melodie su combinazioni di quattro note, creando quel perfetto connubio tra delicate sonorità e un racconto di fragilità che, in un modo o nell’altro, in fondo appartiene a tutti.
– Buona storia, raccontata con delicatezza e coi giusti toni
– Unico ed essenzialmente diverso da tutti gli altri giochi sul mercato
– Apprezzabile la meccanica di gioco legata all’uso del violino
– Moltissimi problemi tecnici
– Poca coerenza stilistica, con passaggi scomodi, macchinosi e poco intuitivi
Distortions è un’avventura story-driven di grande sensibilità, raccontata attraverso le rarefatte atmosfere da sogno che riecheggiano nei ricordi dolorosi della protagonista. Le note del violino che suonerete plasmeranno le memorie, il mondo fittizio e la volontà ultima della protagonista, a lungo bloccata in un limbo da cui deve costringersi a uscire per riprendere in mano la propria vita.