Con la sua vastità, lo spazio ha da sempre affascinato l’uomo, teso a scoprire cosa cela dentro di sé quello ha sopra la sua testa. Questa fame di sapere ha delle dirette ricadute anche in ambito videoludico e se ci mettessimo qui ad elencare tutte le avventure spaziali uscite nel passato più o meno recente, probabilmente gli scroll da effettuare col mouse non finirebbero mai. È strano invece che ciò sta sotto i nostri piedi susciti minore interesse e che sia molto più raro imbattersi in notizie su spedizioni lanciate sotto la superficie dell’acqua, eppure ancora oggi non sappiamo di preciso cosa vi sia in fondo agli oceani e quali creature popolino i fondali marini. Vista la minore forza attrattiva, non ci sorprende quindi che i titoli ambientati in mondi sottomarini scarseggi, nonostante non manchi il materiale letterario da cui trarre ispirazione. Proprio da Ventimila leghe sotto i mari, una delle più celebri opere di Jules Verne, sembra invece esser uscito fuori Diluvion, titolo sviluppato dai ragazzi di Arachnid Games e che mette il giocatore al centro di un’avventura esplorativa ambientata nel bel mezzo dei fondali oceanici.
In fondo al mar
In Diluvion, il mondo come lo conosciamo noi non è che un ricordo sbiadito, vittima delle continue guerre fra gli uomini, puniti per la loro avidità e cupidigia da un cataclisma, chiamato la Grande alluvione, abbattutosi oramai molti secoli addietro, tanto che se ne è persa praticamente la memoria, e che ha gettato la nostra razza sotto le onde e sotto una spessa lastra di ghiaccio impenetrabile. I sopravvissuti alla catastrofe sono stati costretti ad organizzarsi in insediamenti fluttuanti fra le correnti, fatti principalmente di rottami ferrosi e di ciò che resta dei tempi che furono, in un universo che per alcuni tratti ricorda da vicino Waterworld anche se, a differenza dell’opera di Kevin Reynolds, di terre emerse non ne è rimasta alcuna. Questo è il mondo in cui il giocatore veste i panni di un novello marinaio, alle prese con il suo primo sommergibile e con una struttura di gioco che spinge forte sull’acceleratore dell’esplorazione. Dopo la scelta iniziale fra tre modelli diversi di mezzi ed una manciata di missioni con la funzione di tutorial, in pochi attimi appare chiaro come molte scelte di game design tendano a valorizzare tutte le nuove scoperte, a gratificare il giocatore ogni qual volta si imbatte in una nuovo antico relitto incagliato sul fondo o in una struttura traballante, tenuta salda da pochi cavi d’acciaio, in cui vendere i bottini sottratti ai pirati che infestano gli oceani. Diluvion è un open world – anche se a dirla tutta non estesissimo e composto da tre aree principali – ma, a differenza di quanto ci hanno abituato molte produzioni moderne, la mappa del gioco non è puntellata da indicatori, non vi sono veri e propri segnali che indicano in modo preciso la direzione giusta da prendere per completare un obiettivo. Per ambientarsi al meglio ed indovinare la direzione dell’oggetto da recuperare o l’avamposto da scoprire bisogna dunque ascoltare cosa hanno da dire i membri della propria ciurma, oppure intercettare qualche voce spifferata in un bar. Vagando per le acque, sulla mappa iniziano ad apparire le icone dei luoghi più importanti che sono stati scoperti ma, anche in questo caso, l’unico vero modo per seguire la giusta rotta è fare affidamento sulla bussola che, attivata, appare ai piedi del sottomarino. Queste scelte da un lato rendono il viaggio meno guidato, lineare e più appagante, ma hanno anche dei risvolti meno piacevoli. Innanzitutto, l’ologramma della bussola è quanto meno invadente e, se nei momenti più tranquilli non crea grandi disagi, quando ci si muove negli spazi più stretti o durante i combattimenti, genera qualche fastidio, anche se può essere richiamento con un click. In seconda battuta, vista la mancanza di punti di riferimento veri e propri, non è raro ritrovarsi a vagare dispersi nel mare e a spendere non pochi minuti senza riuscire a trovare la giusta direzione, finendo senza nemmeno accorgersene sempre negli stessi posti, mentre il relitto da esplorare giace chissà dove disperso in un angolo della mappa.
Sì signor capitano
Ma in tutto questo peregrinare, quali sono le mansioni giornaliere di un capitano? Innanzitutto reclutare nuovi componenti dell’equipaggio, sparsi nelle città o dispersi in qualche base abbandonata, ognuno di essi con un costo preciso e con delle statistiche che vanno ad influenzare alcuni parametri del sommergibile, come la sua resistenza, la potenza d’attacco o la precisione dei colpi. La ciurma ha però dei costi di gestione: innanzitutto le bombole d’ossigeno, risorsa indispensabile per non fare una triste fine fra le acque oceaniche e di cui per fortuna è difficile rimanere senza, dato che si ricaricano ogni qual volta si attracca a un avamposto. L’equipaggio mangia anche – pensate voi che strano – e dunque vanno sempre tenute sott’occhio le scorte di cibo. Il secondo compito non può che essere la gestione del proprio sommergibile, composto da varie sezioni dove posizionare le reclute, e che ovviamente viene potenziato in alcuni hub di ingegneria sparsi qua e là, spendendo le risorse che sono recuperate in combattimento o scandagliando i resti disseminati ovunque. Inoltre, in Diluvion esistono nove tipi diversi di sottomarino, che si sbloccano avanzando nella missione principale, e che sono contraddistinti da una maggiore potenza di fuoco, più punti vita e che garantiscono inoltre immersioni verso profondità sempre più abissali. Ogni cosa ha però un suo costo, i sopravvissuti alla grande catastrofe non fanno sconti a nessuno e Diluvion ha un suo delicato sistema economico, principalmente basato sul loot di tutto ciò che celano le strutture abbandonate o rimaste incastrate nelle scogliere, di cui far prezioso bottino da piazzare poi sul mercato al miglior offerente, per acquistare infine i rottami ferrosi che si traducono i colpi da sparare, il già citato cibo o, ancora, i kit per riparare il mezzo. I relitti non nascondono solo risorse da far fruttare economicamente, ma anche mappe e cartine indispensabili per proseguire nel viaggio e che aiutano non poco a districarsi nelle oscurità delle acque. Infine, il mondo sommerso di Diluvion non è proprio un posticino tranquillo anzi, assomiglia piuttosto ad un far west di H2O, ed i combattimenti fra sottomarini sono all’ordine del giorno e anche quando si è attraccati ad una base non si deve abbassare la guardia per un secondo, perché c’è sempre qualche pirata che vuole mettere le mani sulle risorse proprio come voi.
Argh
Insomma, in Diluvion vi sono molte cose da fare, soprattutto esplorare e combattere: ma come si fanno? Purtroppo, non benissimo. La gestione dei movimenti in un ambiente totalmente aperto nelle tre dimensioni e la conseguente implementazione di un adeguato sistema di comandi, che non finisca per creare strani incroci di dita sul pad o sulla tastiera, non sono mai delle questioni semplici da risolvere. Diluvion adotta delle soluzioni sulla carta funzionali, ma che alla prova dei fatti si rivelano in certe circostanze dure da digerire. Quando si naviga fra le placide correnti, il comando del sottomarino non è un’operazione che crea grossi grattacapi, la somma fra l’impostazione della giusta profondità, della direzione da prendere, della potenza dei motori, dell’eventuale retromarcia e del sistema di puntamento è un’equazione che, dopo un po’ di pratica, viene risolta senza troppi dilemmi. Quando ci si trova nel bel mezzo di concitati duelli a suon di siluri, l’operazione diventa ben più complicata e se non si ha il sangue più che freddo, spesso e (mal)volentieri si finisce col prodursi in involontarie piroette sott’acqua ed in manovre dall’esito funesto, con il sommergibile che assume i tratti in una pallina del flipper, sballottolata qua e là contro scogli o, peggio ancora, mine. In questo senso, la telecamera non migliora di molto la governabilità del mezzo: già di per sé, la scelta di utilizzare la visuale in terza e non in una più comoda prima persona – come il caro vecchio Archimedean Dinasty – aggrava i già difficili movimenti, e soprattutto produce dei grandi bui o delle misteriose sparizioni quando si è nei pressi di pareti rocciose o di imponenti barriere, visto che la telecamera si “incastra” dietro queste conformazioni e non si vede più nulla. Anche il sistema di puntamento fa sorgere altri dilemmi: perché il sottomarino è sempre posizionato nel lato sinistro dello schermo e non ha il mirino davanti a sé, ma sempre spostato di fianco? Non lo sappiamo, ma sappiamo per certo che questo non è di grande aiuto nei duelli o nelle manovre negli spazi più angusti. Questo è davvero un peccato, perché nel viaggio fra gli abissi di Diluvion non mancano certo i combattimenti ispirati, non solo dei semplici uno contro una fra sottomarini, ma anche duelli dai toni più epici contro altri tipi di creature lunghe come un transatlantico. Letteralmente.
Barriere coralline
Nelle fasi action emergono i veri limiti di Diluvion, un’opera che viceversa si esalta nei momenti più liberi dove, grazie ad un sapiente mix di luci, suoni e colori, la scoperta di luoghi sempre nuovi e misteriosi diventa un’esperienza davvero coinvolgente, in un’atmosfera sospesa e ovattata. I ragazzi di Arachnid Games sono stati bravi ad andare oltre i limiti tecnici imposti da Unity, il motore di gioco che muove Diluvion: visti da vicino, i pesci sembrano davvero essere stati ritagliati da Empirio e venir fuori un cartoncino colorato, ma quando ci si trova nel mezzo di branchi composti da infinito numero di creature con branchie, mentre tutto lo schermo viene invaso da colori scintillanti, che vanno dai toni più caldi fino ad un azzurro-verde acceso, le texture in bassa definizione ed i modelli poligonali tutti uguali a sé stessi passano in secondo, se non in terzo piano. Diluvion punta molto sull’atmosfera e la scommessa è vincente, grazie alla sapiente unione fra il buio delle profondità, da cui emergono poco alla volta le maestose vegetazioni marine che si spostano al nostro passaggio, mentre in lontananza si vedono dei pesci danzare attorno ai fari luminosi di uno dei tanti mercati sparsi in mezzo alle correnti, che spesso si oppongono o, al contrario, spingono il sottomarino in direzioni sempre differenti. Nella sua semplicità, anche la grafica in 2D che contraddistingue gli spazi chiusi è ben costruita, anche se salta subito all’occhio una eccessiva ripetizione dei modelli sfruttati per creare gli uomini e le donne che vivono ormai nel mondo totalmente sommerso dalle acque. Una nota di merito va infine fatta al design dei sottomarini ma, più in generale, di tutte le strutture che popolano il mondo di Diluvion e che paiono tradurre in immagini le parole di Jules Verne e del suo già citato Ventimila leghe sotto i mari. Due appunti finali per concludere la disamina di Diluvion: nel gioco non è prevista la modalità multiplayer e tutti i testi sono scritti e doppiati solo in inglese, mentre non vi è alcuna traccia dell’italiano.
HARDWARE
Requisiti minimi:– Sistema operativo: Windows 7, 10– Processore: Intel i5 (or equivalent)– Memoria: 4 GB di RAM– Scheda video: GeForce GT 300 series (or equivalent)– DirectX: Versione 10– Memoria: 4 GB di spazio disponibile
– Un intero mondo sommerso da scoprire
– Tante cose da fare
– Un ottimo lavoro a livello artistico
– L’esplorazione avviene in modo libero…
– Combattimenti spesso confusi per via dei comandi
– La telecamera poteva esser gestita meglio
– … Forse anche troppo libero
7.5
Diluvion esplora territori fin ora toccati solo da poche produzioni in ambito videoludico ed è proprio la ricostruzione dell’ambiente sottomarino, da scoprire in modo (quasi) totalmente libero, uno dei suoi principali pregi, grazie ad un sapiente gioco di luci, suoni e colori capaci di immergere, o meglio sommergere, il giocatore in uno scenario costellato di vecchi ammassi di ferraglia incastrati fra le rocce, basi sospese fra le onde e sottomarini steampunk. Purtroppo, proprio nei momenti incalzanti, dove i duelli si fanno più serrati, affiorano le problematiche legate al sistema di comando e alla telecamera, che si rivelano più insidiosi dei nemici veri e propri.