Di Destiny si potrebbe dire di tutto. Che sia un gioco innovativo; oppure, che sia un gioco lasciato a metà; o anche, che sia un gioco controverso. Destiny è tutto ciò e molto altro. Vi propongo per questo una similitudine. Il sottoscritto, quando va ad un concerto, pone sempre attenzione all’educazione artistica di quel personaggio che in quel momento si sta esibendo. Qualche parolina nella lingua del paese in cui si sta facendo il concerto, parecchi “grazie” dispensati in abbondanza e, perché no, qualche pezzo improvvisato suonato col cuore. Alcuni artisti, infatti, tendono a dimenticare che la loro posizione è data da una nutrita schiera di persone che li seguono. Essi sono sul palco solo se sotto di loro c’è un pubblico ad applaudirli. Altrimenti sarebbero cantanti da doccia e quello, nel nostro quotidiano, lo siamo un po’ tutti.
Bene, i videogiochi non sono tanto diversi. Le software house poggiano le loro sorti economiche sul pubblico che il titolo lo acquista, che lo gioca fino a carpirne ogni segreto più celato, che ne parla ovunque di possa parlare di videogiochi. E come gli artisti sopracitati, anche i publisher e le software house devono portare rispetto verso quei giocatori che quotidianamente impugnano i pad. Dunque, sta alle software house proporre ai videogiocatori che investono tempo e denaro titoli all’altezza di certe aspettative, a maggior ragione se essi sono produzioni mainstream, a largo bacino di utenza e pressati da forti aspettative di marketing. Quando queste aspettative vengono meno, nulla è perduto, poiché le software house possono sempre intervenire grazie a dei ritocchi fatti in corsa. La nostra è l’era dei dlc, di quel miraggio moderno che si prefigge di poter allungare la vita di un gioco ben oltre la sua reale esistenza e di poterne limare i difetti fino a farli sparire. Per farlo, serve solo buona volontà e una folta community alla base che vuole condividerne il progetto. Però spesso, questa realtà viene ribaltata e di contenuto aggiuntivo c’è veramente poco. A volte, i contenuti proposti a pagamento sono solo dei pezzi originari del gioco, tolti appositamente per poter essere proposti più tardi a pagamento. Nonostante le premesse del mondo di Bungie fossero differenti, questa filosofia di mercato ha colpito anche la creatura più attesa e controversa del 2014: Destiny.
Una spada da spezzare in fretta
Per avere un’idea di cosa voglia dire veramente questo dlc per il mondo di Destiny, bisogna prima fare un po’ di luce sul suo background. Eris Morn è l’unica sopravvissuta all’abisso di Crota, un crepaccio senza fine sulla Luna, dove il temibile Crota, figlio di Oryx, sta preparando un’invasione definitiva alla Terra. Eris è l’unica superstite di un gruppo di coraggiosi e giunge sulla Torre per cercare rinforzi. La si potrà trovare sulla Torre, dunque, e da essa si avrà accesso alle nuove missioni che ci introdurranno la storia di Crota. Le nuove quest presenti nella storia principale saranno solo tre, e solo una volta terminate ci daranno diritto agli altri contenuti del dlc. Nella fattispecie, una volta terminati i compiti, Eris ci darà delle taglie speciali da completare che sbloccheranno, rispettivamente, due nuovi assalti che potranno essere pescati in una nuova playlist specifica e un nuovo interessante raid, La Fine di Crota. Le missioni che ci verranno poste di fronte avranno una difficoltà sensibilmente più elevata di quelle fatte finora, obbligando i giocatori a livellare ex novo il proprio personaggio. In aiuto di ciò, sono stati inseriti nel dlc molti nuovi elementi dell’equipaggiamento. Oltre a nuove armi, nuovi emblemi e nuovi shader, sono state introdotte delle nuove armature per tutte le classi che arrivano ad un livello massimo di luce pari a 36. Così facendo, Bungie ha deciso di innalzare il level cap portandolo a 32.
Considerando che tutte le missioni proposte ed il nuovo raid si attestano tra il livello 28 e 30 di sfida, la difficoltà appare subito tangibile, soprattutto per i giocatori che non avevano raggiunto il livello massimo. A rendere le acque ancora più agitate, un nuovo, notevole raid è stato messo a disposizione fin da subito di tutti i giocatori che hanno acquistato L’Oscurità nel Profondo. Parliamo proprio de La Fine di Crota, raid da affrontare in squadre da sei, molto articolato, lungo e che offre un livello di sfida davvero notevole.
Per quello che riguarda la componente pvp, invece, sono state aggiunte tre nuove mappe, e cioè Pantheon, Il Calderone e Impatto Celeste. Le prime, più piccole, favoriranno lo scontro ravvicinato e saranno un vero fiore all’occhiello per gli amanti dei fucili a pompa. Ambientate nel Giardino Nero e nell’Aveare, propongono un secco slancio in verticalità che favorirà scontri tattici nonostante la ristrettezza architettonica di alcuni punti. Impatto Celeste, invece, è una mappa terrestre di dimensioni più generose che favorirà gli scontri di pazienza tra cecchini e la guerra motorizzata con mezzi pesanti. Le modalità, dal canto loro, non sono state sfiorate nemmeno, al contrario di quanto si pensava. Ci sono i soliti Rissa, Deathmatch, Controllo e via dicendo, che verranno arricchiti nelle prossime settimane con eventi come Lo Stendardo di Ferro.
Dopo avervi elencato i contenuti del dlc è bene interrogarsi sull’effettiva longevità degli stessi. Volendo essere di manica larga, le nuove missioni della storia, con relative taglie e backtracking annesso (doloroso sì, ma quanto mai necessario), arrivano ad offrire non più di tre ore di gioco. Forse quattro se si ha voglia di investire del tempo a cercare di terminare le missioni al massimo livello disponibile. Completamente differente è il discorso che possiamo fare per il nuovo raid , La Fine di Crota. Complesso e difficile, certamente impossibile se si è un paio di livelli sotto al level cap, può offrire filo da torcere anche alle squadre più agguerrite. Il che è un bene, considerando l’attuale curva di difficoltà delle missioni proposte in Destiny. Una gustosa aggiunta che però, parliamoci chiaro, da solo non riesce assolutamente a giustificare il prezzo dell’intero pacchetto del DLC. E pensare che da come Bungie aveva presentato Destiny e i dlc ad esso annessi, avrebbe dovuto offrire un’esperienza di gioco ancora più complessa e duratura.
Tu quoque, Bungie, fili mii!
La nostra è l’era dei dlc, semplice. Oggetti di gioco tolti dal materiale originale, raffazzonati alla bene e meglio ed infine venduti solo successivamente in pacchetti dalla dubbia utilità. Visti i costi di sviluppo di determinati videogiochi, la maggior parte delle software house ha imboccato prepotentemente questa direzione al fine di massimizzare i ricavi una volta che la progettazione di un videogioco è finita. In pratica, si guadagna due volte sulla vendita dello stesso prodotto. E’ una politica largamente utilizzata, dove l’ago della bilancia, anche se strano a dirlo, sono i videogiocatori stessi. La domanda tra offerta e richiesta si è moltiplicata esponenzialmente negli ultimi anni e le sorti di un videogioco sono in mano alla community che le ha in mano. Destiny, nel nostro caso, non fa alcuna eccezione.
Presentato come un MMO dai confini praticamente infiniti, in fase di lancio Destiny è stato sponsorizzato proprio per la sua vastità. Una vastità spiazzante che sarebbe arrivata dopo tramite lo sforzo protratto in tandem da sviluppatori e videogiocatori. Premesse bellissime, considerando la qualità generale dei titoli Bungie. Dunque come non riporre liete speranze sul tanto decantato L’Oscurità dal Profondo, primo contenuto aggiuntivo di una lunga serie? Ed è qui che la perfetta macchina messa in piedi da Activision si inceppa in modo quasi troppo goffo, tradendo le aspettative di chi su questo titolo ci puntava parecchio.
A dirla tutta, non è neanche sulla durevolezza del contenuto offerto che Bungie ha sbagliato. La durata effimera, conti alla mano, si pone solo come la punta di un iceberg molto più grosso. Il vero problema è il concetto stesso sul quale esso viene implementato all’interno del titolo. Una volta installato (e l’installazione è obbligatoria per tutti), la presenza del dlc blocca alcuni contenuti presenti già nel gioco base. In pratica, chi non è possessore del dlc non potrà più accedere periodicamente ad alcune modalità. Non si potranno più effettuare Assalti Settimanali e Cala la Notte, all’origine usufruibili anche solo nel gioco base, quando riguarderanno i contenuti dell’espansione, dunque svariati utenti perderanno settimane prima di potersi ributtare in uno di questi assalti. Una fastidiosa menomazione al gioco primario verso chi al momento non è intenzionato a comprare il dlc. L’inserimento di nuovo equipaggiamento dai vendor (che rende praticamente obsoleta gran parte della ricerca di oggetti nel titolo base) e la già nota cronica mancanza di varietà nel prodotto di Bungie poi praticamente forzano la mano dei giocatori, sempre più avidi di nuove cose da fare.
E questo trascende la natura stessa della parola dlc: da contenuto aggiuntivo a contenuto necessario ed obbligatorio per poter continuare a giocare degnamente. Un mero mezzuccio per obbligare tutti a comprarlo e ad allungare forzatamente l’esperienza ludica. Attuando questa feroce politica, inevitabilmente Bungiè è andata a guastare è il rapporto stesso tra casa di sviluppo e giocatore. Quello stesso giocatore sul quale Bungie avrebbe dovuto gettare le fondamenta per ampliare il proprio titolo, una base necessaria se si vuole edificare quello che si era promesso di edificare: una pietra miliare nell’immaginario videoludico.
Al momento siamo lontani anni luce da questo obiettivo, e in più non sappiamo se il gioco si aprirà mai in tutta la sua complessità come era stato progettato e, soprattutto, promesso. Nonostante la pregevolezza di alcuni contenuti presenti nel dlc (basti pensare all’accurato design di armi ed armature), l’offerta presentata è troppo scarna per poter pensare che il ciclo di vita di Destiny possa allungarsi più di tanto, neppure con un ulteriore dlc in cantiere previsto per la primavera, considerando lo spessore dell’attuale. Un repentino cambio di direzione nelle sorti di questo titolo serve adesso più che mai. La community di Destiny questo gioco lo ama ancora, ed è bene che Bungie si sforzi al massimo affinché la sua opera si schiuda dal duro bozzolo in cui è confinata, costruitogli intorno dai suoi stessi sviluppatori.
– Qualità e quantità nei nuovi equipaggiamenti
– Il nuovo raid è impegnativo ed appagante
– Longevità ai minimi storici
– Alcune missioni sono riciclate da alcune già esistenti
– Dlc praticamente obbligatorio per continuare a godersi il gioco
Mettendoci la mano sul cuore ed essendo sinceri, il dlc presentato da Bungie si è dimostrato ben al di sotto di ogni aspettativa. Destiny sembrava concepito per essere un universo in continua espansione, dai tratti illimitati e dalle potenzialità sconfinate, pronto a rimanere sul mercato per almeno dieci anni. Ad oggi invece, a tre mesi dall’uscita, ci troviamo tra le mani sempre lo stesso gioco, vittima della ripetitività, impreziosito da qualcosina di marginale, tenuto in vita solamente da una solida community di appassionati che credono nel progetto. L’unica cosa che è cambiata profondamente è il nostro portafoglio, adesso decisamente più leggero. Il tempo scorre veloce e i videogiocatori che hanno investito molto in questo titolo vogliono vederlo finalmente fare un balzo di qualità in fretta. E’ ora di edificare progetti importanti sulle ottime fondamenta di Destiny e bisogna farlo subito. Bungie, se c’è un momento per reagire quel momento è adesso. Adesso o mai più.