Recensione

Destiny

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a cura di Pregianza

Hey, dov’è la recensione di Destiny?”. “Oh, ma la review di Destiny?”.”Allora sta recensione?”. È da circa una settimana che queste sono le tre domande fatte con più frequenza sulle nostre pagine e la risposta è sempre la stessa: “la review arriva quando è pronta”. Perché Destiny non è uno shooter normale, fondamentalmente si tratta di una curiosa variante del MMO, una mescolanza di generi che prende a piene mani elementi dai gdr massivi e non può pertanto venir analizzata in un paio di giorni. Tenete a mente che la parola “MMORPG” non la si è praticamente mai sentita durante la campagna pubblicitaria del gioco. La recensione di Destiny sulle nostre pagine dopotutto è così richiesta anche per il marketing senza precedenti che ha accompagnato il marchio, una grandinata di spot, slogan e argute trovate pubblicitarie che hanno aumentato a dismisura il livello di attesa del pubblico pagante. Dire in giro che, alla fin fine, si tratta di un titolo appartenente a un genere in declino avrebbe fatto calare non poco le aspettative per il prodotto finale. 
Una strategia impossibile da criticare. Destiny ha venduto già milioni di copie e ha restituito ad Activision tutti i soldi investiti in tempo record. Un esempio di marketing brillante, nonostante le spese mostruose della casa madre. Fatto sta che, da queste parti, dell’hype pre-lancio e degli spot ce n’è sempre fregato meno di zero. Siamo esseri umani, per carità, e quindi non siamo immuni all’esaltazione, ma abbiamo sentito troppe volte annunci in pompa magna per credere ancora ciecamente alle promesse fatte prima dell’uscita. Con Destiny vale lo stesso principio: lo abbiamo recensito ignorando le esultanze e le presentazioni pompose, schivando il fanatismo e scansando l’odio ingiustificato. In questa settimana di gioco quasi ininterrotto Destiny è stato per noi solo un videogame da valutare come tanti altri, e ora la nostra recensione è finita. Il risultato finale? Molti probabilmente non se l’aspettavano.
Gameplay
Iniziamo a spiegare perché riteniamo Destiny un MMO sperimentale. Il gioco di Bungie vi mette nei panni di un Guardiano, un combattente dotato di poteri mistici conferiti da un planetoide noto come il Viaggiatore, che ha permesso alla popolazione terrestre di evolversi ed espandersi nello spazio, per poi divenire l’ultima ancora di salvezza per l’umanità a seguito dell’attacco di una malvagia forza chiamata “l’Oscurità”. Inizialmente si può scegliere tra una manciata di razze e classi, tre e tre per l’esattezza, dopodiché ci si dedica per buona parte dell’avventura allo sviluppo della propria specializzazione. Vi sono rami di abilità (solo due per classe, ma piuttosto diversificati), loot da gdr, missioni affrontabili in gruppo, boss di fine dungeon e quest di vario tipo. La differenza principale risiede nel fatto che il titolo non offre una gigantesca mappa aperta divisa in regioni, ma delle macrozone contenenti istanze multiple sparse in quattro pianeti (anzi, tre pianeti e un satellite). Strutturalmente, pertanto, è innegabile la vicinanza del gioco al genere dominato da World of Warcraft: Destiny è chiaramente pensato attorno alla collaborazione e al multiplayer cooperativo, ci sono missioni giornaliere, fazioni, eventi pubblici alla Guild Wars 2, ricompense ottenibili dalle istanze avanzate e un sistema di livellaggio di skill, armi e personaggi. Non manca neppure il PvP, nel caso aveste qualche dubbio, anche se ci addentreremo poi in quella matassa. Adesso è il caso di descrivere il tratto distintivo dell’opera di Bungie, ciò che lo divide più o meno profondamente dalla massa dei titoli massivi: il gameplay.
Destiny sarà anche strutturalmente un MMO, ma è pur sempre uno shooter in prima persona, e vanta un gameplay piuttosto vicino a quello degli Halo. Scudo ricaricabile, hitbox dei proiettili piuttosto estese, un attacco in corpo a corpo poderoso e una lodevole mobilità del proprio alter ego sono firme riconoscibili dello studio responsabile, ma qui finiscono le similitudini con le avventure di Master Chief. Destiny presenta infatti un autoaim più marcato, che permette di inquadrare rapidamente i nemici anche se non si è abituati a giocare shooter su console, manovre più uniche e legate alle singole classi, e abilità con tempi di recupero variabili pensate per essere gestite in modo oculato. In generale tutte le classi dispongono di un doppio salto di qualche tipo, di una granata energetica e di una devastante tecnica speciale, ma una volta raggiunto il livello 15 si sbloccano rami più adatti al lavoro di squadra, con abilità sinergiche dotate di bonus passivi ad area, scudi difensivi o altre chicche che facilitano la gestione di larghi gruppi di nemici. 
È un gameplay estremamente solido, più accessibile di quello di un gdr o di un MMO classico, ma capace di appassionare fin da subito. Il fatto è che il suo potenziale non viene sfruttato al 100%. Da una parte gli sviluppatori di Bungie sono riusciti ad applicarlo degnamente alla nuova formula, offrendo avversari discretamente diversificati di pianeta in pianeta, che vengono eliminati più facilmente da armi specifiche o non permettono di utilizzare determinate tattiche, ma dall’altra hanno sopravvalutato la differenziazione delle unità nemiche, riproponendo all’eccesso certi compiti. Facciamo un esempio più chiaro: i Vex, aggressive macchine senzienti che popolano Venere e Marte, non possono venir eliminati facilmente con dei colpi alla testa, poiché una volta perduto il grugno entrano in una sorta di modalità berserk e attaccano all’impazzata. Dal canto loro i giganteschi Cabal del pianeta rosso sono vulnerabili agli headshot, ma girano spesso in corazza o con degli scudi impenetrabili, e costringono pertanto il giocatore ad aggirarli, a fare uso di armi pesanti come fucili da cecchino o cannoni al plasma, o semplicemente a stordirli con degli accurati colpi alle gambe. Tutto molto bello, ma alla centesima ondata di bestioni incavolati perde di verve, e sappiate che quando abbiamo detto “centesima” ci siamo andati leggeri…
PvE
Non c’è molto da girarci attorno, il PvE di Destiny viene lentamente consumato dal mostro della ripetitività. Una grossa delusione, perché considerando la solidità delle sparatorie Bungie aveva la chance di smorzare la noia tipica del livellaggio negli mmo, offrendo situazioni imprevedibili, variazioni sul tema interessanti o una narrativa più avvincente. Ci si ritrova invece costantemente a ripartire sempre dallo stesso punto in ogni macrozona, con un cubetto volante doppiato da Peter Dinklage (in una delle sue peggiori interpretazioni) al fianco che indica la via, finché non si trova un grosso gruppo di nemici da fare a pezzi, intervallato da qualche élite più difficile da ammazzare. 
Ordinaria amministrazione per gli shooter, ne siamo tristemente consapevoli, ma vista l’estensione del gioco e le risorse investite si poteva fare certamente di meglio. In tutta la campagna principale abbiamo trovato sì e no tre missioni singolari, più precisamente un combattimento armati di spada e due a bordo di veicoli, che sono anche quelle che ci hanno maggiormente divertito, poiché in grado di spezzare la monotonia. Ora, non volevamo certo un ribaltamento totale delle meccaniche del titolo, avremmo solo gradito un po’ di originalità nelle situazioni, specialmente nelle istanze di gruppo. Perché riproporre masse di nemici sempre più agguerrite senza modifiche sostanziali anche lì? Perché chiudere ogni istanza con boss che non sono altro che spugne per proiettili circondate da add che si rimpolpano dopo un tot di tempo? Era così difficile aggiungere elementi da evitare, sensori da attivare per limitare l’arrivo dei rinforzi, fasi multiple da affrontare a bordo di veicoli o con armi specifiche, e via così? Per quale motivo ridurre ogni scontro in gruppo a un semplice “ripulisci gli add, colpisci il boss, copriti finché lo scudo non si ricarica”? Davvero non riusciamo a comprenderlo. 
La cosa più sconsolante è che tutto questo riesce a tratti anche a divertire. Il feeling delle armi, nonostante il loro numero sia tutt’altro che superlativo, è viscerale ed esaltante, e anche i semplicistici combattimenti contro i boss guadagnano molto dalla collaborazione con altri due compagni. Solo che una volta raggiunto il level cap, a venti, il gioco non si apre, le istanze non si fanno più complesse, e gli scontri non divengono più tattici. Si limitano ad apparire delle playlist d’assalto divise per livello, dove si riesplorano mappe viste e straviste con nemici potenziati. A salvare la baracca dovrebbero pensarci i raid da sei giocatori, teoricamente congegnati per mettere a dura prova chiunque e testare la coordinazione tra amici. Al momento però sono inesistenti. Il primo verrà introdotto tra qualche giorno su Venere, e anche se dovesse risultare un netto miglioramento rispetto alle istanze, dubitiamo che possa valere come “endgame”. 
Ci si riduce alla fin fine a un vuoto grinding una volta completata la campagna, a una raccolta di marchi in PvP e PvE atta a ottenere equipaggiamento leggendario dall’hub principale e a spezzare la barriera del ventesimo livello. La Luce, una caratteristica aggiuntiva degli oggetti più potenti, permette di salire ulteriormente di livello e di affrontare missioni sempre più impegnative, ma la strada è sempre quella, le strategie costantemente le stesse, e dopo qualche giorno il tedio prende il sopravvento. Più di quanto offrano buona parte degli fps in circolazione, ma siamo ben lontani dalla qualità necessaria a rendere un gioco realmente indimenticabile. 
PvP
La luce in fondo al tunnel dovrebbe essere teoricamente il PvP. Maestri del First Person Shooter, gli sviluppatori di Bungie avevano le carte in regola per ravvivare la formula con frenetici scontri competitivi bilanciati in modo sopraffino e adrenalinici al punto giusto. Ecco, qualcosa dev’essersi spezzato durante il planning, perché il multiplayer competitivo di Destiny lascia molto a desiderare. La frenesia c’è, non vogliatecene, ma è incoerente e mal supportata da un bilanciamento fatto a casaccio. 
In pratica in partita vige la legge del “se ti vedo prima sei morto”: tutto crepa ad una velocità sorprendente se si considera la presenza di scudi energetici autorigeneranti sui personaggi, e sono molte le armi a cui basta un colpo a bruciapelo per mandare un avversario all’altro mondo. Unite a tutto questo abilità ad area capaci di eliminare chiunque vi si pari davanti in un istante, e otterrete un PvP esageratamente caotico, che diverte più per la raffica di morti a cui si assiste che non per il modo in cui viene gestito. Il paradosso sta nel fatto che, durante le partite, il danno delle armi viene ribilanciato, annullando i vantaggi derivanti dal livello dell’equipaggiamento utilizzato durante le partite. Le passive tuttavia influenzano almeno in parte i match, e può capitare di trovarsi davanti build in grado di abusare delle proprie abilità senza troppi problemi. 
La situazione dev’essere balzata all’occhio degli sviluppatori dopo i primi giorni, perché la patch iniziale ha già corretto leggermente il tiro aumentando i punti vita dei giocatori in partita, e ritoccando certi valori. L’intervento ha giovato al competitivo, specialmente se lo si affronta una volta raggiunto il cap, eppure siamo ancora lontani dai classici del genere. Fa davvero strano pensare che a creare questo PvP sia stata la stessa casa a cui si devono gli Halo. Una copia spiccicata degli scontri tra Spartan non avrebbe avuto senso, ma scontri veloci da sparatutto arcade pensati più furbescamente non ci avrebbero certo disgustato. 
Il problema più grave, peraltro, non è il gameplay, che può comunque divertire. La botta più devastante alla produzione la dà il lag. Se i server per il PvE sono al sicuro in un bunker di Las Vegas, allora quelli del PvP sono probabilmente abbandonati in una fogna a cielo aperto. Non scherziamo, la latenza a tratti è insopportabile con connessioni non eccezionali, e non mancano le kill contemporanee perché il titolo registra in ritardo i danni fatti. Siamo stati inoltre buttati fuori più volte dalle partite a causa di singhiozzi nella linea, sia usando connessioni wi-fi che un cavo ethernet. Una volta cacciati non c’è nemmeno modo di riprendere la partita da dove la si era lasciata, e questa è una mancanza che vale anche per le istanze con gruppi random, seppur gli sbalzi del server siano risultati molto più radi in quel caso. Ennesima situazione in cui si poteva fare di più.
Poco da protestare almeno per quanto riguarda le modalità. Ci sono i classici del genere: Deathmatch, Controllo, e una variante del King of the Hill appena aggiunta di nome Recupero. In questo caso, non dubitiamo di vedere numerose altre modalità e sorprese con il passare dei mesi, con le già promesse battaglie dell’Iron Banner, ma speriamo anche di vedere dei sensibili miglioramenti al bilanciamento.
Per ora, oltretutto, il PvP è uno dei modi più rapidi per ottenere equipaggiamento leggendario, visto che a parità di tempo consumato si ottengono molti meno marchi dell’avanguardia dalle istanze avanzate. 
Comparto tecnico e aspettative future
Nessuna critica per quanto riguarda il comparto tecnico del gioco. Ok, il motore non è da bava sul pavimento, ma fa degnamente il suo lavoro, anche grazie a un bel sistema di illuminazione e a texture di ottima qualità. A far brillare il tutto ci pensa l’art direction, davvero eccezionale. Le distese desertiche della Luna e di Marte nascondono magnifici labirinti sotterranei, le luci soffuse dei cristalli nascosti nelle viscere della terra catturano l’attenzione e portano quasi a rallentare il passo verso l’obiettivo più vicino, mentre le rovine ricoperte da ruggine e vegetazione di Venere sono un costante monito per chiunque le percorra sottovalutando la pericolosità dei Vex. Vi sono luoghi splendidi in questo gioco, colpi d’occhio memorabili, e la bellezza delle locazioni visitate infastidisce ancor di più quando ci si rende conto della vacuità delle missioni. Persino l’equipaggiamento delle tre classi disponibili ha stile da vendere. Non c’è una classe più alla moda delle altre, ognuna delle scelte ha un look notevole, che spinge il giocatore a trovare costantemente nuovi pezzi di armatura. 
D’eccezione pure il sonoro, con musiche che donano ancor più atmosfera al titolo e un doppiaggio di altissima qualità, anche in italiano.
Sulla longevità c’è infine da fare un discorso a parte. La campagna principale si completa in circa 14 ore, contando il tempo necessario ad arrivare almeno al diciottesimo livello. Il titolo può però, per ovvie ragioni, occupare un giocatore per mesi, visto il sistema di loot correlato ai livelli spiegato in precedenza, le istanze avanzate, e i previsti ampliamenti futuri. Ci è piaciuta la scelta di inserire nelle armi rare dei rami di sviluppo dedicati, che si sbloccano a forza di guadagnare esperienza come quelli primari delle classi, nonostante si tratti principalmente di vantaggi passivi molto semplici, così come abbiamo discretamente apprezzato le sorprese nascoste, come gli equipaggiamenti basati sulle fazioni, i vendor segreti e le migliorie estetiche acquistabili. 
Perché Destiny possa realmente costruirsi una solida community di appassionati, ad ogni modo, i contenuti ora presenti non bastano di certo. Servono raid complessi per invogliare i giocatori più esperti a rimanere, un PvP più bilanciato e con più modalità per gli amanti del competitivo, e una vera spinta all’esplorazione dei pianeti, magari con un loot system più soddisfacente, combattimenti spaziali, più armi, o istanze prive di situazioni ripetitive. Insomma, Destiny ci sembra una resistente piazzola su cui costruire una grande città, un gioco che può (e deve) diventare grande, ma che per ora è ancora lontano dall’obiettivo. 
Forza Bungie, c’è ancora tempo.

– Shooting solido e gran feeling delle armi

– Art direction eccezionale

– Può tenere impegnati per moltissime ore

– Nuovi contenuti e aggiornamenti in arrivo

– PvP sbilanciato e caotico

– Istanze e missioni ripetitive, anche una volta raggiunto il level cap

– Elementi gdr semplicistici

– Feature social da MMO piuttosto limitate

7.5

Destiny non è una rivoluzione, non è un capolavoro e al momento non è nemmeno un prodotto completo. È un insieme di fondamenta, piuttosto solido e ricco di potenziale in verità, sul quale i Bungie nei prossimi mesi potrebbero costruire meraviglie. Noi però dobbiamo valutare il prodotto per quello che è al momento, non in base a magnifiche previsioni campate per aria, e ora Destiny è un titolo ripetitivo, con un pvp deludente, e in grado di divertire solo per l’assodata efficacia dello shooting e degli elementi gdr che lo compongono. Dobbiamo dirlo, da Bungie ci aspettavamo un progetto più coraggioso e appassionante, non solo un “buon gioco” incapace di spezzare le catene dei generi a cui si rifà. Chissà, tra qualche tempo potrebbe trasformarsi, uscire dal suo bozzolo e dare realmente vita al suo splendido universo, ma per ora rappresenta solo una cosa: un esempio di marketing fatto come si deve.

Voto Recensione di Destiny - Recensione


7.5

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