Death Note, la recensione del live action di Netflix
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a cura di TheIappi
Netflix decide di farsi carico dell’approdo del manga giapponese ideato e scritto da Tsugumi Ōba e disegnato da Takeshi Obata sul grande schermo, originariamente affare di Warner Bros. Sicuramente una grossa responsabilità vista la popolarità dell’opera, già titolare peraltro di un anime, quattro lungometraggi live action, un dorama, un musical, due light novel e vari videogiochi. Insomma: una bella gatta da pelare. C’è una premessa da fare: sin dai primi minuti, o se vogliamo essere precisi fin dal primo teaser pubblicato, le sensazioni erano di una pellicola lontana da quella che abbiamo letto nei dodici volumi tankōbon o guardato attraverso l’anime andato in onda nel 2008 su MTV. Le parole del regista Adam Wingard avevano sottolineato chiaramente questo aspetto in tempi recenti, spiegando come il cambio di setting si portava con sé tutta una serie di variazioni strutturali volte a contestualizzare nei luoghi e nel tempo l’opera. L’obbiettivo, dichiarato apertamente, era quello di staccarsi dall’opera originale, sia sul piano del plot che su quello dei personaggi principali, a suo dire, cambiati leggermente. Su questo aspetto torneremo più avanti; ora mettiamo l’opera originale da parte e viaggiamo fino a Seattle, Washington, teatro delle vicende di questo Death Note firmato Netflix.
Il diario della morteLight Turner è un liceale, un alunno molto intelligente e acuto. Durante un noioso pomeriggio di scuola, il ragazzo vede cadere dal cielo qualcosa; incuriosito lo raccoglie e decide di prenderlo con sé. “Death Note”, recita la copertina. Sembra un quaderno normale, ma in realtà è tutto fuorché qualcosa di normale. Ben presto infatti Light conosce Ryuk, il dio della morte proprietario del quaderno, o meglio ex proprietario. Già, perché sarà proprio lo Shinigami a spiegare al ragazzo che nel momento in cui il libro tocca il suolo della terra, appartiene ai terrestri. Il Death Note è dotato di poteri soprannaturali: dona al proprietario la facoltà di uccidere qualsiasi uomo, donna, bambino di cui si conosca il volto ( al fine di evitare morti accidentali di omonimi) e il nome, semplicemente scrivendolo sulla pagina. Ovviamente ci sono delle regole, regole che saranno di primaria importanza nello svolgersi della vicenda. Il ragazzo, dopo qualche remora iniziale, decide di dare forma ad un progetto, un sogno: la creazione di un mondo perfetto, senza criminali, senza ingiustizie, dove la giustizia di Kira – questo il nome con cui verrà chiamato Light dalla gente comune – sarebbe stata l’unica sovrana, e Kira l’unico Dio. Le numerose vittime che Light si lascia alle spalle non passano però inosservate, attirando l’attenzione dell’investigatore privato Elle ( L ), famoso per aver consegnato alla giustizia numerosi criminali. La sfida tra Kira e Elle sarà il fulcro della vicenda, composta da strategie e momenti di azione, anche attraverso l’utilizzo di elementi tipici dei film action come inseguimenti ed esplosioni.
Da importanti tematiche derivano importanti responsabilitàI colpi di scena, le tematiche morali di spessore, i personaggi importanti, una controparte scritta di grande successo che fa della suspance una delle sue carte vincenti. Le premesse erano ottime, ma purtroppo la pellicola non si avvicina minimamente al livello del manga e dell’anime. Il film scorre abbastanza piatto fino alla fine, le vicende si alternano senza grossi colpi di scena, a sprazzi risulta interessante, nulla di più. Il finale forse è l’unico momento in cui la produzione soprende lo spettatore, l’unico momento in cui si intravede po’ dei tratti distintivi di Death Note, ma ovviamente non basta. Il film è logorato da una superficialità diffusa che condanna la pellicola a un risultato davvero sottotono: questo Death Note è un film anonimo, dotato di grandi potenzialità non sfruttate a dovere, non valorizza a sufficienza temi e scelte morali che invece sono di primaria importanza nel coinvolgimento emotivo dello spettatore. La conseguenza è una parziale apatia alla vicenda e alla trama, che tocca lo spettatore solo in un paio di occasioni: uccidere un uomo, ancora di più vista la giovane età del protagonista, non può passare in sordina. Deve avere delle conseguenze. La condizione mentale disturbata di Light invece si intravede raramente, la sua follia onnipotente non esplode con veemenza come accade nell’opera originale, risultando alla fine della pellicola assolutamente non definita. Insomma: né carne né pesce.
Ah, ma è Death Note?Il confine che circoscrive l’espressione “allontanarsi dalla produzione originale” c’è, esiste. Non deve essere superato, altrimenti parliamo di opere diverse. Death Note è il manga da cui è tratta la vicenda, ma di quella storia nell’adattamento cinematografico di Wingard c’è ben poco. E sia chiaro, non parlo di whitewashing, non parlo di setting. Come detto in precedenza, il processo di americanizzazione è necessario se si decide di cambiare regione per garantire una contestualizzazione della vicenda ottimale. Mi riferisco a tutto il resto, menzione particolare rivolta ai personaggi. Il Light “originario” è un ragazzo disturbato ma dotato di un mente fredda e calcolatrice, assalito da un delirio sanguinolento e onirico. Una figura caratterizzata in modo incredibile, dotata di una personalità crudele e subdola ma terribilmente convincente, che porta lo spettatore bruciare nelle viscere, dilaniato dai dubbi morali: è veramente sbagliato quello che sta facendo? E’ giusto uccidere chi ha stuprato, massacrato e ucciso? La controparte cinematografica non ha nulla della figura che ha fatto la fortuna del manga degli anni 2000, è un ragazzo che non capisce fino a che punto vuole spingersi, che lancia il sasso e poi più volte nasconde la mano. Allo stesso modo la controparte, Elle, viene completamente distrutta, rendendolo responsabile di azioni a tratti violente e poco riflessive, nonostante una caratterizzazione estetica ( posture e movenze ) ben riprodotte. Lo scontro tra i due protagonisti in origine era una partita tra due menti geniali, fatta di attesa nervosa, ogni mossa era studiata nei minimi dettagli, un lungo scontro di nervi e sudore freddo che ci ha fatto stare con il fiato sospeso per pagine e pagine. Ansia, tensione, incredulità. Questo è l’aspetto che contraddistingue Death Note dalle altre produzioni, non il setting, non il colore della pelle di Elle, non il whitewashing. Ma le sensazioni. Un thriller psicologico che riesce a tenerti sulle spine nonostante l’incedere privo di azione. E, sfortunatamente, sono proprio quelle che mancano. Menzione particolare per Ryuk, l’unica figura gestita in modo simile rispetto alla controparte cartacea e doppiato in modo davvero magistrale da Willem Dafoe.
Per i neofiti storia originale
– personaggi non approfonditi
– trama piatta, si salva il finale
– assenti i tratti distintivi che caratterizzano l’opera originale
5.5
Il passaggio a Netflix, titolare nel suo catalogo di prodotti validi e apprezzati, aveva fatto ben sperare i fan di tutto il mondo, rimasti scottati dalle recenti produzioni Warner Bros. Speranze purtroppo che non sono state rispettate. Il prodotto si discosta totalmente dalla controparte scritta, e questo di per sé non sarebbe per forza un male, se non fosse che i personaggi vengono stravolti in modo importante, e non cambiati leggermente, in nome di un adattamento al setting che onestamente non si giustifica. La diretta conseguenza è la mancanza di quell’alchimia tra le parti, che non restituisce quelle emozioni che anime e manga regalano. Per i neofiti invece, si tratta di un film come un altro, dotato di un espediente narrativo interessante ma che non viene sfruttato a dovere. Un film senza infamia ne gloria, che non verrà né ricordato né, probabilmente, consigliato agli amici.
Voto Recensione di Death Note, la recensione del live action di Netflix - Recensione
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