Era il 1993 quando per la prima volta le fauci dell’Inferno si sono spalancate, vomitando sugli schermi dei nostri PC una pixellosa orda di progenie demoniaca. DOOM è stato il capostipite spirituale di un genere, imponendosi come punto di riferimento per tutti gli FPS delle generazioni successive. In molti hanno provato ad eguagliarlo, un sacco di ottimi titoli si sono avvicendati, ma quasi nessuno ha raggiunto il suo iconico status di vera e propria propria leggenda. Un secondo capitolo all’altezza, un terzo che con il suo cambio di rotta ha attirato su di sè le ire del popolo del web e una bella mod ad alto indice di truculenza, poi più nulla. Dalla presentazione avvenuta l’anno scorso all’E3 in molti (compreso il sottoscritto) erano trepidanti; farsi carico di un nome così importante è un bel rischio e il risultato sarebbe potuto essere un tremendo fallimento. Signore e signori, è con estrema gioia che vi diciamo quanto segue: i ragazzi di Id Software ce l’hanno fatta: DOOM è tornato! Più gore, veloce e cattivo che mai. Siete pronti per la mattanza?
Violenza!
Per chi vi scrive DOOM è stato uno dei pilasti videoludici dell’infanzia. Quante ore ci ho passato, sia sul vecchio 486 che sulla cara PlayStation. Quello che temevo, così come la maggior parte dei fan di vecchia data, è che questo nuovo capitolo venisse eccessivamente semplificato per poter andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni. É successo? In parte si. Mi ha dato così fastidio? Devo dire di no. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla trama. La narrativa non è mai stato il punto forte di questo gioco e la sua più recente incarnazione non fa eccezione. Ci svegliamo su di un letto di pietra, circondato da cumuli di candele accese su un pavimento lordo di sangue e costellato da simboli satanici. Nemmeno il tempo di uno sbadiglio e veniamo aggrediti da scheletri con ancora appeso addosso qualche lembo di pelle. Con la pistola che abbiamo in mano facciamo fuoco convulsamente senza porci troppe domande in merito. Le ossa si si rompono di schianto sotto i rapidi colpi al plasma della nostra arma e dopo aver fatto piazza pulita ci inoltriamo con circospezione nella stanza adiacente. Eccola lì, incastrata in un’alcova nel muro, splendente e massiccia, ci troviamo al cospetto dell’armatura Praetor. É proprio lei, molto più bella di quanto la ricordassimo sulla vecchia copertina sbiadita del gioco originale. La ammiriamo per qualche secondo in nostalgica adorazione, prima di indossarla e barattare la gioia degli occhi con la sua imprescindibile funzionalità protettiva. Siamo pronti ora: un futuristico cavaliere ricoperto di un acciaio inossidabile come la sua tempra, deciso a fronteggiare da solo l’intero esercito di demoni che si stà riversando senza sosta nel mastodontico complesso marziano. Senza stare a dilungarmi troppo sulla trama, invero molto semplice, quello che dovete sapere è che su Marte si stà sperimentando l’uso di un nuovo tipo di energia che deriva appunto dai più torridi gironi infernali. Il portale che collega il pianeta rosso al regno demoniaco è fuori controllo e spetta a noi chiuderlo per sempre. Ovviamente dimenticatevi le buone maniere e i procedimenti scientifici, quello che faremo sarà ammazzare qualunque cosa si muova, a costo di andare a piantare un proiettile in testa a Satana in persona.
Vecchia gloria, nuovo godimento
Come dicevo prima questo nuovo DOOM aggiunge parecchia carne al fuoco rispetto al capostipite della saga, ma strizza anche l’occhio a tutti coloro che hanno amato i vecchi capitoli. Tornano le chiavi d’accesso colorate da recuperare per poter accedere ad aree precedentemente bloccate, così come parecchi demoni della vecchia guardia e molte delle bocche da fuoco che abbiamo imparato ad amare. Vediamo però cosa c’è di nuovo. Innanzitutto il titolo introduce un sistema di finisher: una volta danneggiato abbastanza un nemico esso comincia a barcollare, basta avvicinarsi e colpirlo con l’attacco fisico per dare il via ad una breve quanto truculenta esecuzione, che porrà fine all’esistenza dell’aberrazione in un tripudio di sangue, regalandoci inoltre un po’ di salute. Similmente, dopo essere entrati in possesso della motosega (mamma mia quante soddisfazioni!), possiamo smembrare i nemici con la sua inclemente lama seghettata, godendo di una macabra doccia di sangue e guadagnando parecchie munizioni. Passando alle armi standard, tutti gli strumenti di morte di cui entreremo in possesso hanno una modalità di fuoco primaria e due secondarie, sbloccabili attraverso il recupero dello schema relativo da uno dei droni che si trovano sparsi nei livelli. Una volta acquisiti possiamo passare da una modifica all’altra, alterando pesantemente la funzionalità del ferro in questione. Completando le sfide proposte in ogni livello e macellando i nostri nemici senza pietà si guadagnano punti da spendere nelle varie modifiche, rendendo ancora più mortale il nostro devastante equipaggiamento. Novità che abbiamo trovato fastidiosamente utile è la ruota delle armi, richiamabile con la pressione di un tasto questa fa rallentare il tempo mentre scegliamo lo strumento di distruzione più consono alla situazione. Sicuramente non piacerà ai puristi (che possono comunque avvalersi dei tasti numerici) ma dobbiamo ammettere che la trovata risulta comoda soprattutto nei combattimenti più concitati -cioè tutti NDR-. L’azione degli scontri risulta talmente frenetica che anche la ricarica è stata eliminata, costringendoci a passare a soluzioni alternative non appena terminati i colpi disponibili. Altra novità è rappresentata dalla possibilità di migliorare l’armatura Praetor, prelevando i token dai cadaveri di alcuni soldati possiamo infatti accedere a svariati bonus passivi, utili per portare avanti il nostro massacro in maniera ancora più efficiente. Affiancati a tutti questi elementi pseudo GDR, ogni tanto si può incappare in alcuni monoliti che danno accesso alle sfide runiche: delle prove a tempo che una volta completate conferiscono altri bonus passivi. Tutti gli elementi recuperabili come i droni, i cadaveri dei soldati, i power up, i monoliti e i collezionabili sono chiaramente segnalati sulla mappa che è possibile esplorare liberamente a patto di avere gli accessi necessari. Questa in effetti è una semplificazione eccessiva che ci ha fatto storcere un po’ il naso, anche se sapere in che punto si trova un oggetto non sempre significa potervi accedere liberamente. Detto questo, gli amanti del collezionismo avranno il loro bel da fare per passare al setaccio le enormi aree di gioco al fine di recuperare tutto il recuperabile.
Ti strappo il cuore e te lo ficco in gola!
Il titolo vi sembra eccessivo? Fidatevi, non lo è! Quello in cui DOOM eccede è sicuramente il grado di violenza proposto. I video postati dai vegani su facebook, in cui si vedono crudeltà di ogni genere perpetrate su bovini e simili, al confronto sembrano una puntata dei teletubbies! Sul serio, il livello di efferatezza delle finisher, le piogge di sangue e il tripudio di budella che volano in giro come stelle filanti ad una macabra festa non ha eguali. Il tasso di violenza è tale che perfino recuperare gli schemi delle armi dai droni è una scusa buona per menare pugni pesanti come martellate. Il silente protagonista non va per il sottile con nessuna delle cose con cui può interagire, alzando l’asticella del machismo gratuito oltre il livello di qualsiasi altra produzione. Ogni demone che incontriamo sulla nostra strada è realizzato magnificamente e la maggior parte di loro sono gli stessi che abbiamo imparato a temere nei primi capitoli. Splendidi nella loro grottesca empietà, essi focalizzano la nostra furia durante scontri rapidissimi in cui non abbiamo nemmeno un attimo per prendere fiato. Il frenetico ritmo delle battaglie è scandito da una colonna sonora pesante, che si rifà a sonorità industial e djent. Anche le ambientazioni, seppur in alcuni frangenti un po’ ripetitive, offrono un colpo d’occhio incredibile, facendoci respirare l’acre odore delle esalazioni infernali ad ogni singolo passo. A proposito di ambientazioni abbiamo notato una forte verticalità delle mappe, sfruttata dagli sviluppatori per porre il giocatore di fronte a sezioni praticamente platform. Queste intervallano bene un gameplay che altrimenti sarebbe stato veramente troppo serrato e contribuiscono a variare, seppur brevemente, l’esperienza di gioco.
Arene infernali
Ad affiancare la truculenta campagna abbiamo un comparto multiplayer affine agli shooter arena anni novanta, come Unreal Tournament o Quake Arena. Un gameplay che di tattico ha ben poco e che punta tutto sull’azione frenetica e la prontezza dei riflessi. Ad una pletora di modalità non troppo originali è abbinato un bilanciamento un po’ ballerino, soprattutto a causa della runa che consente di trasformarsi in demone. Una volta spawnata infatti tutti i presenti tenteranno di aggiudicarsela al fine di trasformarsi in un potente demone in grado da solo di spaccare un bel po’ di teste. Se siete interessati ad avere specifiche più dettagliate sul comparto multiplayer vi consigliamo di leggere la nostra recensione console, in cui l’argomento viene trattato più approfonditamente. Ad aumentare la longevità del titolo, già molto elevata grazie alla campagna piena di collezionabili e al comparto multigiocatore, abbiamo la funzione SnapMap. Questa non è altro che un imponente editor delle mappe, che ci consente di creare arene di nostro gusto. Vi sono parecchie stanze già precostruite, assemblabili tra loro e personalizzabili sia in termini estetici che di contenuti. Il tool risulta molto più gestibile con mouse e tastiera rispetto che con il pad e siamo certi che gli utenti più virtuosi riusciranno sfruttarlo a dovere, aumentando la mole di contenuti del titolo in maniera vertiginosa. Rimanendo in tema di confronti, segnaliamo che la versione PC non è in alcun modo piagata dai lunghi caricamenti riscontrati su console e che abbiamo avuto modo di godere della cruenta esperienza di gioco ad una risoluzione di 1080p ancorata a dei granitici 60 frame per secondo. Il motore non ha mostrato alcuna incertezza, nemmeno nelle situazioni più concitate, e non siamo inciampati in alcun fastidioso bug, scomodo marchio di fabbrica del producer americano. Dulcis in fundo notifichiamo a tutti coloro che non hanno familiarità con la lingua inglese che la produzione è interamente doppiata in italiano, dettaglio di poco conto in realtà, in quanto in DOOM c’è poco spazio per le parole, le fucilate in faccia sono già abbastanza eloquenti.
Di seguito la configurazione utilizzata per la nostra prova:
Processore: Intel i7- 4790K 8 core 4GHz
Scheda video: Nvidia GeForce GTX 980
Ram: 16GB
HARDWARE
MINIMI: Sistema operativo: Windows 7/8.1/10 (versioni a 64-bit) Processore: Intel Core i5-2400/AMD FX-8320 o superiore Memoria: 8 GB di RAM Scheda video: NVIDIA GTX 670 2 GB/AMD Radeon HD 7870 2 GB o superiore Memoria: 55 GB di spazio disponibile
CONSIGLIATI: Sistema operativo: Windows 7/8.1/10 (versioni a 64-bit) Processore: Intel Core i7-3770/AMD FX-8350 o superiore Memoria: 8 GB di RAM Scheda video: NVIDIA GTX 970 4 GB/AMD Radeon R9 290 4 GB o superiore Memoria: 55 GB di spazio disponibile
– Una vera carneficina!
– Grafica e art direction superbi
– Veloce, adrenalinico e spietato
– Un sacco di vecchie conoscenze infernali tornano in gran lustro
– Qualche semplificazione di troppo
– Comparto multiplayer non all’altezza della campagna
DOOM è esattamente ciò che tutti noi volevamo: un FPS iper-adrenalinico e brutale, capace di galvanizzare il giocatore grazie alla furia del suo feroce protagonista. Il titolo onora le proprie origini e le impreziosisce con delle aggiunte che semplificano sì la vita, ma contribuiscono a svecchiare una struttura che al giorno d’oggi non sarebbe stata apprezzata da tutti. Alla campagna longeva e zeppa di collezionabili si affianca un multiplayer sbilanciato ma tutto sommato passabile, che ricorderà ai giocatori di vecchia data i bei tempi di Unreal Tournament. Sicuramente il titolo incarna a pieno lo spirito di questo aneddoto: la violenza è la soluzione a tutti i tuoi problemi, se non è così è solo perché non ne hai usata abbastanza.