Recensione

Crossing Souls, recensione dell'adventure che omaggia gli anni '80

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Sarebbe sin troppo facile cadere nell’errore di associare Crossing Souls a un titolo che segue la scia di quello Stranger Things che è stato protagonista, insieme ad altri prodotti per il piccolo e grande schermo, dell’ondata nostalgica che ha riacceso i ricordi di chi è nato tra gli anni ’80 e ’90. Oltretutto, sarebbe sbagliato e fuorviante poiché la prima volta che vidi Crossing Souls fu durante l’E3 del 2015, ossia un anno prima dell’arrivo della serie culto dei fratelli Duffer. Nei tre anni successivi sono cambiate molte cose, parecchie, e il panorama cultural-popolare è mutato dando adito a una certa tendenza modaiola di affiorare con ancora più decisione del previsto, perché che lo si voglia o meno, dall’abbraccio della nostalgia difficilmente ci si può divincolare.
Summer of ’86
Devolver Digital ha dimostrato di saper anticipare certe tendenze, di saperci fare quando si tratta di scegliere e supportare talentuosi sviluppatori indipendenti, e di non sbagliare mai un colpo.Crossing Souls bello m’apparve già in quel principio d’estate a Los Angeles, quando in un grande parcheggio dove il publisher americano aveva organizzato grigliate e allestito dei camper m’infilai in uno di questi per parlare con due ragazzi di Siviglia, i quali mi mostrarono qualche stralcio del loro gioco. Un gioco che desiderava ardentemente – già da allora – non solo riprendere gli stilemi classici dei titoli di quel periodo, ma anche rappresentare al meglio un momento storico ben preciso, lo stesso durante il quale i ragazzi di Fourattic sono cresciuti. 
Ecco dunque che è facile identificare sin da subito quali siano le basi sulle quali viene costruito l’impianto narrativo di Crossing Souls, retaggio di un mondo lontano nel tempo che riaffiora qui in tutta la sua potenza immaginifica, con grande attenzione per i dettagli, una furba predilezione per gli elementi entrati di diritto nell’immaginario collettivo e la consapevolezza che con un materiale così vasto è possibile farci praticamente di tutto. 
Crossing Souls non inventa niente, in fin dei conti, e lo si capisce già dalla caratterizzazione dei protagonisti: un gruppo di giovani amici variegato ma tutto sommato standardizzato e una storia che riprende – nei toni e nelle modalità – le decine di teen movie degli anni ’80, con tutto ciò che ne consegue. Eppure quella di Crossing Souls è una bella storia di amicizia, dove il paranormale si fonde all’ironia e a dei momenti più seriosi, conditi da una quantità industriale di citazioni, riferimenti, accorati omaggi e un’attenzione ai particolari figlia di un amore spasmodico per tutto ciò che la “pop culture” di quegli anni significò e che, tuttora, continua a rimbombare tra le ignare nuove generazioni.
Dimensionalia
All’opera prima di Fourattic piace andare sul sicuro: oltre a non osare mai più del dovuto e dimostrare quanto l’impianto di gioco sia volutamente ancorato al passato, non forza la mano nemmeno dove avrebbe dovuto, ossia sulle possibilità offerte dalle caratteristiche implementate. Basti pensare alle diverse attitudini dei cinque personaggi da controllare, che avrebbero potuto essere più collaborativi al fine di sviluppare meglio certe dinamiche che senz’altro funzionano bene, ma sono anche piuttosto basilari. Non si tratta di un problema, sia chiaro, ma se già la bassa difficoltà tende a farvi godere la storia con grande rilassatezza, una lieve noia che scaturirà di determinate sezioni non aiuterà di certo. 
Poco male, perché in realtà Crossing Souls riesce sempre ad essere vario col suo riuscito mix di esplorazione, dialoghi, combattimenti, puzzle, sezioni platform, altre a scorrimento laterale con la formula del trial and error e le boss fight. 
Interessante è anche la possibiità di poter cambiare in qualunque momento i cinque personaggi, ciascuno con le proprie peculiarità, debolezze e punti di forza: dovrete farl sia quando vi capiterà qualche rompicapo, sia per necessità di copione. Si pensi infatti che gli eroi entreranno in contatto col cosiddetto Duat e si troveranno loro malgrado a fare un continuo andirivieni tra la cittadina californiana e un mondo spettrale sempre ben realizzato, a dimostrazione del fatto che in termini di qualità della pixel art si viaggia sempre su livelli più che buoni per tutte le circa otto ore che impiegherete a portarlo a termine. 
Crossing Souls, oltre a questa indubbia qualità, il buon gusto per il design e una colonna sonora davvero azzeccata e accattivante, regala agli utenti dei particolari che testimoniano l’attenzione del team di sviluppo per dare quell’immancabile effetto nostalgia che è la carta migliore da mostrare. Lo si nota anche da quelle sbavature grafica che sembrano le sbavature dei vecchi VHS, il suono che sbiadisce per qualche attimo, i tocchi di classe che sì, anch’essi, fanno di Crossing Souls un titolo da adorare per i feticisti degli anni ’80 e da apprezzare per tutti coloro che non possono fare a meno dei giochi retrò di qualità.

– Opera di buona personalità, nonostante i tanti (voluti) cliché

– Divertente, vario e ricco di decine di rimandi alla pop culture anni ’80

– Osa poco a livello di gameplay

– Alcuni momenti di gioco sono poco incisivi, quasi blandi

7.5

Crossing Souls è un accorato tributo alla cultura pop degli anni ’80, reso ancora più efficace da sviluppatori che in quegli anni ci sono cresciuti. Ricco di citazioni, un prepotente carico di nostalgia e tutto ciò che – in positivo e negativo – era in auge all’epoca, il titolo di Fourattic ha come unica colpa quella di adagiarsi un po’ troppo sui propri punti di forza più evidenti, glissando su alcune mancanza di level design e sviluppo del gameplay che avrebbero potuto lanciarlo ancora di più tra gli indie imperdibili di questo 2018.

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