È difficile vedere ancora Gearbox come una software house bonacciona, senza macchia, e ricca di talenti esplosivi dopo gli exploit degli ultimi anni. La casa, inizialmente parte integrante di quel “bello dei videogiochi” che tanti critici e utenti ammirano, ha iniziato a perdere colpi rendendosi protagonista di vicende non proprio cristalline e, in generale, non è stata capace di dimostrare nuovamente il suo valore con un nuovo progetto negli ultimi anni. Ciò che le rimane è Borderlands, un marchio che ha cambiato la faccia degli sparatutto in prima persona con la sua formula, e conquistato milioni di giocatori a forza di umorismo riuscito e caos.
Con i Gearbox impegnati in altri progetti, dunque, non era il caso di lasciar vegetare il brand, e 2K ha pensato bene di passare la patata bollente a 2K Australia con Borderlands: The Pre- Sequel. Le premesse per un’ottima continuazione c’erano tutte: una storia concentrata sulla figura di Jack il Bello, il solito fantastilione di armi, e qualche novità interessante inserita in un gameplay già difficile da far barcollare. Il problema era, ovviamente, il paragone diretto.
Hero. More or less
La premessa di The Pre-sequel è probabilmente il punto più attraente dell’intera produzione. L’avventura si pone tra il primo e il secondo capitolo, e spiega nel dettaglio l’ascesa al potere di Jack il Bello, mettendovi nei panni di uno dei suoi sottoposti. Si inizia con Athena, catturata dai cacciatori della cripta originali e impegnata a spiegare cosa l’ha portata ad essere in quella spiacevole situazione, e in seguito si inizia un lungo viaggio infarcito di citazioni ai predecessori, umorismo demenziale, e momenti molto più seriosi di quanto sia lecito aspettarsi. Non è una brutta storia quella di Jack, ma ha svariati punti bui, e in generale la qualità dei dialoghi ci è sembrata sensibilmente più bassa di quella vista nel secondo episodio (escluse una manciata di quest brillanti). Dei netti cali di ritmo qua e là, poi, non aiutano ad apprezzare le vicende.
Ma passiamo alla ciccia, ovvero il sistema di gioco. 2K Australia ha mantenuto meccaniche pressoché identiche a quelle del precedente episodio, puntando tutto sul solito numero smodato di armi dotate di rose di fuoco ed effetti estremamente variabili, e su mappe molto estese navigabili a bordo di veicoli. Ordinaria amministrazione, ma con una differenza: stavolta siamo su una luna, e sulla luna non c’è ossigeno, né una gravita particolarmente elevata. Le due nuove condizioni ambientali portano all’inserimento nel gioco degli Oz Kit, delle bombolone di ossigeno indispensabili per vagare su Elpis e in grado di fungere da simil-jetpack. Gli Oz Kit variano molto l’azione, poiché permettono di effettuare salti doppi, poderose schiacciate a terra che infliggono danni ad area, e obbligano a tenere d’occhio dei geyser sparsi per le mappe che ricaricano le riserve di ossigeno se avvicinati.
Fin qui, tutto benone. I combattimenti sulla luna restano molto divertenti, la rinnovata mobilità aerea esalta a tratti, il numero di fonti d’aria è adeguato per evitare frustrazioni, e sono state persino aggiunte delle piattaforme da salto che migliorano non poco la navigazione di alcuni campi di battaglia (per voi e per i boss, sia chiaro). Quando si vanno a valutare i miglioramenti più concreti, però, casca l’asino.
Partiamo dalle armi, sempre tantissime. Buona parte delle bocche da fuoco sono riciclate dai precedenti capitoli, e il sapore di “già visto” è costante durante tutta l’avventura, con tanto di strumenti viola o leggendari che si ripresentano all’appello. La loro precisione, inoltre, ci è sembrata inferiore, forse a causa di alcuni nemici con hitbox ingannevoli che sembrano acquistare una sorta di breve invulnerabilità durante le schivate. L’IA, dal canto suo, non è migliorata a dovere. Ci si ritrova contro ad avversari con capacità tattiche equiparabili a quelle di una gallina, che fanno poco altro al di fuori di saltellare a destra e a manca, caricarvi o spararvi addosso tutto quello che possiedono. Vale anche per i boss, estremamente meno ispirati e godibili di quelli passati. Non che manchino degli incontri interessanti, ma molte delle sparatorie ci sono sembrate fin troppo “ispirate” da battaglie già viste e combattute fino allo sfinimento.
Moon tripping
L’assenza di perfezionamenti va a colpire la struttura stessa del gioco. Una delle debolezze di Borderlands 2 era la necessità di ripercorrere lunghi tratti della mappa per raggiungere determinati quest giver o altre locazioni, al punto che spesso si usciva e rientrava dal gioco per arrivare più rapidamente al checkpoint d’entrata. The Pre-Sequel addirittura accentua questa mancanza, con stazioni di spostamento rapido ancor più rade, zone di spawn dei veicoli quasi assenti in certe locazioni, e mappe secondarie utili completamente prive di teletrasporto. Una forma di fast travel più evoluta non sarebbe stata così dura da implementare.
Perlomeno, quando il gioco ci mette del suo, è difficile non farselo piacere. Le armi congelanti e laser danno soddisfazioni enormi, la massa di quest è impressionante, e alcuni dei nuovi elementi sono implementati in modo gustoso per dare il giusto pepe agli eventi. Un pochino di bilanciamento extra lo avremmo gradito, eppure è difficile protestare quando da una delle casse spunta un lanciamissili elementale a colpo triplo capace di ridurre qualunque nemico in polvere. Non ci è chiarissimo il motivo per cui buona parte della campagna abbandoni parzialmente le novità introdotte dall’ambientazione lunare in favore di combattimenti classici su una stazione spaziale con gravità artificiale, ma almeno ciò che si perde in meccaniche lo si guadagna in trama, trattandosi della fase più serrata della storia.
Nulla da criticare invece sulle classi, tutte e quattro molto divertenti da usare. Claptrap e le sue assurde abilità rappresentano uno dei punti più alti del gioco, ma le capacità da tank/supporter di Athena, la pioggia di proiettili che Nisha può scatenare, o gli utilissimi droni di Whilelm brillano tutti di luce propria. Ogni classe dispone in più di skill tree calcolati anche attorno al gameplay multigiocatore, che non è cambiato più di tanto, ma resta gustoso. Non aspettatevi comunque un quantitativo di roba da fare post game in gruppo paragonabile allo stato attuale di Borderlands 2, quello è un titolo che è stato ampliato e supportato molto a lungo, per The Pre-Sequel è solo l’inizio. Difficile al momento prevedere fino a che punto svilupperà una sua community e saprà crescere, ma la presenza di valute alternative per l’ottenimento di loot di alta qualità lascia intendere una volontà di ampliare il prodotto da parte di 2K.
Non c’è vegetazione sulla luna. E.. niente. Basta
Insomma, l’analisi del gameplay e della campagna è, pur tenendo conto delle scarse evoluzioni, indubbiamente positiva. Il comparto tecnico tuttavia è difficile da salvare. Tenete a mente che, trattandosi di un titolo old gen, la botta negativa può facilmente risultare molto più scioccante se si fa un paragone con videogame pensati per le macchine attuali, ma il motore di Borderlands inizia davvero a mostrare il fianco. Noi abbiamo provato una versione per console test del gioco, più instabile e tendente al glitch del normale, ma abbiamo trovato più di una quest buggata, cali di frame rate ingiustificabili in certe situazioni, e il solito fastidioso problema delle texture che caricano in ritardo un po’ ovunque. L’aliasing è piuttosto marcato, nonostante lo stile sia quello cartoonesco tipico della serie, e i luoghi sono molto più anonimi, anche a causa della palette spenta di colori della luna di Elpis. La varietà aumenta in seguito, ma non si raggiungono mai le vette del secondo episodio e si tendono a ricordare le mappe più per i loro punti d’interesse principali che per la conformazione del terreno. Buona parte dei bug sono ad ogni modo già stati (stando agli sviluppatori) eliminati nella versione finale del titolo, pertanto dovremmo poter stare tranquilli. Niente da ridire sul sonoro, con doppiaggi di alta qualità pure in italiano, e sulla longevità.
– Il solito fantastilione di armi e quest
– Premessa interessante
– Il sistema di gioco è sempre solido e divertente
– Nuove classi riuscitissime e meccaniche lunari ben implementate
– La difficoltà è ancora bilanciata male
– Ambientazioni e boss fight spesso blande
– Pochi miglioramenti sensibili a livello strutturale
– Dialoghi meno ispirati e divertenti rispetto al passato
2K Australia avrebbe potuto eliminare i difetti di Borderlands 2, e migliorare sensibilmente la già lodevole formula dell’opera di Gearbox grazie alla nuova ambientazione lunare. Borderlands: The Pre-Sequel risulta però uno sforzo riuscito solo a metà, inferiore al suo predecessore in vari campi, e solo parzialmente risollevato dalle nuove meccaniche introdotte e dalla sempre granitica struttura su cui si basa.
Se volete più Borderlands, qui lo troverete, eccome. Ma non aspettatevi un titolo in grado di superare o anche solo raggiungere il secondo capitolo.