Sebbene non sia l’unica, Berserk, manga tanto longevo quanto amato a firma di Kentaro Miura, è una di quelle proprietà intellettuali che, inspiegabilmente, non hanno mai potuto godere di videogiochi dedicati (soprattutto non di qualità), con la sola esclusione di un action game uscito per Dreamcast una quindicina d’anni or sono, che comunque non poteva essere etichettato come un capolavoro.
Le ragioni per le quali la storia di Gatsu, Griffith, Caska e tutti gli altri non sia stata sufficientemente riprodotta in forma videoludica sono abbastanza imperscrutabili ma Tecmo Koei e i ragazzi di Omega Force, reduci dal buon lavoro svolto su un’altra licenza ingombrante come quella di Attack on Titan, hanno deciso che fosse l’ora di tirare fuori dall’ombra il franchise, adattandolo a diventare un (rullo di tamburi) musou, genere tanto osannato in Giappone quanto indigesto alle platee occidentali.
Dopo la nostra prova di un paio di settimane fa, eccovi il giudizio finale su questo violento hack’n’slash.
Due archi, due protagonisti
Come già accaduto in altre occasioni, quando Omega Force ha tra le mani una licenza di un certo peso non si prende la responsabilità di impelagarsi in storyline inedite e in location e personaggi che non siano quelli già conosciuti dai fan.
Scelta sensata, senza dubbio, perché, spesso, gli appassionati, pur conoscendo a menadito le trame dei loro manga o anime preferiti, non vedono l’ora di riviverne gli eventi principali in prima persona, aumentando il livello di coinvolgimento grazie al medium videoludico. Berserk and the Band of the Hawk ricalca quindi molto fedelmente quanto visto in due degli archi narrativi più conosciuti ed amati, ovvero il secondo, chiamato Golden Arc e già oggetto dei due lungometraggi visti al cinema, ed il quarto, intitolato Falcon of the Millennium Arc.
Gli appassionati del lavoro originale di Miura sapranno che il primo corrisponde, grossomodo, ai volumi che vanno dal terzo al quattordicesimo, e racconta l’ingresso di Gatsu nella banda dei Falchi, capeggiata da Griffith, un guerriero dai capelli di platino e dalle intenzioni imperscrutabili.
La prima parte della campagna del titolo Tecmo Koei è incentrata su questa sezione della storia, con alcune missioni che ricalcano eventi già visti ed altre che, all’interno di una cornice narrativa nota, propongono battaglie e situazioni che, a memoria, non ricordiamo di aver visto nel manga.
Il secondo arco narrativo, pur meno noto alle masse, non è da meno, e anzi si dimostra il più cupo e sanguinolento dei due: a questo punto della storia, Gatsu e Griffith, gettate le maschere, sono uno contro l’altro, anche se il primo deve vedersela anche con l’imperatore Ganishka, mentre l’altro, sempre più concentrato sul suo progetto di conquistare il mondo intero, continua lungo la sua strada insanguinata.
L’inclusione dello stesso cast di doppiatori dell’anime, che danno vita a performance molto convincenti, e la buona resa dei personaggi principali, gli unici a convincere davvero dal punto di vista della modellazione poligonale (more on this later…), contribuiscono ad immergere i neofiti nelle atmosfere dell’opera, e si rivelano musica per le orecchie dei fan di vecchia data, che ritroveranno volti e luoghi noti ed amati, in un deja vu che, per una volta, è benvenuto.
Chi, invece, sperava in qualche guizzo inedito, come accaduto per alcune delle missioni end game del prodotto dedicato ad Attack on Titan, rimarrà probabilmente un po’ deluso.
Ricetta base con più viscere
Non sarebbe del tutto sbagliato, anche se per certi versi limitativo, etichettare Berserk and The Band of the Hawk come “un altro musou”, così da fotografare immediatamente determinate caratteristiche archetipiche di questa tipologia di giochi che sono anche qui presenti, con variazioni minime sul tema.
L’ossatura della campagna principale è composta da un susseguirsi di missioni in cui le meccaniche di gioco sono quelle a cui decenni di Dynasty Warriors ci hanno abituati: il giocatore controlla Gatsu o uno degli altri protagonisti (è possibile sbloccarne diversi, tra cui Casca, Rickert e lo stesso Griffith) e a colpi di combo oltremodo basilari, che constano perlopiù di un’alternanza tra attacchi rapidi (meno violenti) e lenti (devastanti), si fa strada tra migliaia di nemici sfortunatamente animati da un’intelligenza artificiale davvero basilare.
All’arma principale, che varia di personaggio in personaggio, sarà possibile affiancare, con il progredire della storia, una secondaria da scegliere tra varie, tra armi da lancio o da sparo, e, di mappa in mappa, gli obiettivi varieranno dallo sterminare tutti i soldati nemici presenti al distruggere determinate postazioni, passando per la conquista sistematica delle basi nemiche e dalla scorta ad uno o più alleati da condurre indenni ad un punto di fuga.
Le dinamiche, i ritmi, il livello di difficoltà sono tutti perfettamente in linea con la tradizione dei giochi sviluppati da Omega Force, nel bene e nel male: la soddisfazione di falciare migliaia di soldati avversari, spargendone le interiora ai quattro venti, è istantanea e viscerale, ma ha durata breve, e la ripetitività e la scarsa profondità del sistema di combattimento portano presto alla noia.
L’unico lampo di luce è rappresentato dall’implementazione di piccole meccaniche tipiche dei giochi di ruolo, come il passaggio di livello, al quale sarà possibile potenziare una delle cinque statistiche di base dei personaggi (Forza, Difesa, Vitalità e Tecnica, con quest’ultima che influisce sulla durata e i danni inflitti in modalità Frenzy), e la possibilità di raccattare materiali utili a migliorare l’equipaggiamento, sebbene tutto questo avvenga in maniera molto automatica.
La succitata modalità Frenzy rappresenta l’apice della violenza e della distruzione che il giocatore può portare a schermo: a furia di falciare nemici a destra e a manca, il giocatore caricherà una barra al riempimento della quale sarà possibile entrare in uno stato di trance violenta, durante la quale è possibile infliggere molti più danni del normale e, nel contempo, subirne molti di meno.
In più, ogni nemico macellato in questo stato rilascerà anime perdute, che andranno a loro volta a riempire una seconda barra, che garantirà l’accesso al Death Blow, un colpo che sposta gli equilibri di ogni scontro, anche contro boss e mini boss.
Questi ultimi appaiono con le stesse modalità viste nei titoli delle due saghe Warriors: prima di palesarsi sul campo di battaglia, richiedono che determinate condizioni vengano soddisfatte (come la conquista di una data base o lo sterminio di tutti i luogotenenti sparsi per la mappa), e godono di barre della vita estremamente generose e di una resistenza ai colpi maggiore, ma, a parte questo, si rivelano abbastanza deludenti nei loro pattern di attacco, non richiedendo mai più della forza bruta per essere sconfitti.
Cambia poco la carte in tavola la modalità Eclipse, in cui affrontare fino a cento piani ricolmi di nemici, proposti in ondate sostanzialmente differenti rispetto a quelle della campagna principale.
Queste sfide si sbloccheranno progredendo lungo la storyline principale, in quattro tranche da venticinque piani ognuna, a loro volta divise in cinque gruppi da cinque piani, al termine di ognuno dei quali sarà possibile accedere ad un negozio per fare rifornimento e accettare sfide collaterali per accumulare ulteriore esperienza.
Se siete amanti dei musou, insomma, troverete tutti i capisaldi del genere al loro posto, ma, allo stesso tempo, latiteranno le novità: chissà come sarebbe venuto un prodotto dedicato a Berserk se si fosse scelto di approfondire le meccaniche da gioco di ruolo, o di snellire e diversificare il sistema di combattimento…
Cel shading rosso sangue
Il comparto visivo di Berserk and the Band of the Hawk vive di qualche alto e di molti bassi, poggiandosi più che altro su alcune cutscene di sicuro impatto e sulla buona caratterizzazione dei personaggi principali per coprire magagne come uno scarso livello di dettaglio, numerose compenetrazioni tra poligoni e una conta poligonale appena sufficiente per una console nel pieno della sua maturità come PS4 (versione da noi recensita).
Tra le note positive vanno sicuramente citate la stabilità del framerate, migliorata rispetto alla media degli ultimi musou classici apparsi sull’ammiraglia Sony, e quindi lodevole anche sul modello base di PS4, e la qualità di alcuni dei filmati di intermezzo realizzati con il motore del gioco, che, complice anche un ottimo doppiaggio in lingua originale, contribuiscono a creare pathos e a richiamare le atmosfere del manga.
L’inclusione di numerose scene tratte direttamente dai due lungometraggi visti al cinema qualche anno fa può avere un duplice effetto, a seconda di come la si guardi: se, da un lato, queste sono splendidamente realizzate, e immergono il giocatore nell’universo di gioco, dall’altro si potrebbe obiettare che il team di sviluppo avrebbe potuto affidare allo studio responsabile la realizzazione di filmati inediti, che avrebbero impreziosito l’opera e mandato in sollucchero i fan.
Il colpo d’occhio generale ci ha ricordato molto il tie-in dedicato ad Arslan: The Warrior of Legend, che abbiamo recensito su queste pagine esattamente un anno fa: come in quell’occasione, il filtro in cel-shading accarezza l’occhio e aiuta Berserk a fare una prima impressione generalmente buona, ma, con il progredire delle missioni, si notano la pochezza delle ambientazioni e la bassa risoluzione di moltissime texture, appiccicate su migliaia di nemici tutti uguali, tanto nelle apparenze quanto nelle animazioni.
Come spesso accade per titoli cross platform (e cross gen, in questo caso, visto che in patria il gioco è stato pubblicato anche su PS3), il consiglio è di giocarlo sulla piattaforma meno performante, che in questo caso è PsVita, anche se, non avendo testato direttamente quella versione, non possiamo offrire rassicurazioni in merito al framerate e alle ulteriori limitazioni tecniche.
– C’è molto fanservice
– Buona quantità di contenuti
– Timidi elementi ruolistici…
– Meccaniche di gioco viste decine di volte
– IA non pervenuta
– …ma insufficienti a variare la formula
– Ancora troppo button mashing
Dispiace che i ragazzi di Omega Force non si siano sforzati, come avvenuto invece in altre occasioni, per trarre da una licenza tanto amata e longeva un prodotto che differisse dal consueto musou e dalle trite meccaniche di gioco ormai riproposte da anni.
Berserk and the Band of the Hawk è una versione più sanguinolenta e con una narrativa più avvincente di un qualsiasi Dynasty Warriors recente, e, come tale, lo si potrebbe consigliare a tutti gli appassionati del genere e agli avidi lettori del manga di Miura.
Eppure, visti i risultati raggiunti in altre occasioni, come per i prodotti dedicati ad Attack on Titan e a Dragon Quest, si fatica a premiare lo scarso coraggio mostrato con questo titolo.
Nessuno ci toglie dalla testa che, costruendo attorno a questi personaggi e a questo setting un gameplay più diversificato e raffinato, insomma, si sarebbe potuto tirare fuori dal cilindro un ottimo prodotto.
Così com’è, invece, l’ultima fatica Tecmo Koei va ad ingrossare le fila dei musou disponibili, senza aggiungere nulla: se vi piace il genere, potreste trarne una ventina di ore di divertimento, ma se non avete mai digerito questa tipologia di giochi, di certo questo non vi farà cambiare idea.