Presentato come un puzzle/horror in prima persona di grande atmosfera, la particolarità di Astray è data quasi esclusivamente dalla sua insolita ambientazione: il grande museo del soprannaturale del professor Walker, un grosso edificio ancora incompleto che nasce da qualche parte al centro dell’Inghilterra rurale di inizio ‘900. Rupert Walker, curatore del museo, passa gran parte del suo tempo all’interno della struttura, lavorando alacremente prima di arrivare al giorno dell’inaugurazione. Tuttavia, da quando entra in contatto con un misterioso artefatto di natura sconosciuta, Walker ne sviluppa una pericolosa ossessione che lo porta ad allontanarsi progressivamente dai suoi affetti. I lunghi silenzi dell’uomo si prolungano fino a quando non sparisce misteriosamente, facendo perdere completamente le sue tracce. Toccherà al nipote addentrarsi all’interno di un museo basato su culture inusuali, leggende e temi soprannaturali; in un posto che sembra abbandonato, immerso in un’atmosfera surreale, sinistra, cupa; in un edificio che probabilmente nasconde qualcos’altro al di sotto della facciata immacolata e austera.
Echi dal passato
L’inizio di Astray dà al giocatore la fallace sensazione di essere davvero al centro di un survival horror in piena regola, soprattutto grazie alla grande aura di mistero che si avverte fin dai primi istanti. Ciononostante, basta arrivare nella hall ed esplorare un paio di zone per capire che non è di certo la sensazione di paura e minacciosità ad arrivare per prima, e questo soprattutto per via di un evidente sbilanciamento verso i rompicapo e i puzzle ambientali, che rubano la scena a qualsiasi ambizione di mettere ansia e inquietudine a chi si trova a girovagare per i grandi saloni del museo.
Dalla strana quiete di un mattino sonnolento e brumoso, al primo pertugio utile per potersi infilare di soppiatto nella struttura, non passano nemmeno un paio di minuti; allo stesso modo, basta poco per capire che l’avanzamento lungo i saloni tematici del palazzo è legato indissolubilmente alla risoluzione di alcuni enigmi, molti dei quali pretestuosi e slegati dalla logica di gioco e dalla trama. Bisogna però ammettere che il problema si presenta solo nelle sezioni di raccordo, mentre l’ideazione di quelli necessari allo sblocco delle grandi aree è invece assolutamente in linea con ciò che accade dentro al museo. Basti pensare all’ala dedicata ad Atlantide o alla zona allestita in pieno stile egizio, dove bisogna decifrare dei geroglifici per aprirsi un varco all’interno di una falsa piramide. Fin qui, di orrore, nemmeno l’ombra, e non basta qualche sterile artifizio davvero innocuo per mettere in agitazione l’utente, che per gran parte dell’avventura si sentirà pressoché tranquillo e mai veramente minacciato da mostri o entità sovrannaturali. Astray, insomma, non sa fino in fondo cosa vuole essere, vittima com’è di una dicotomia dove nessuna delle due metà riesce a coinvolgere pienamente. Quando sentirete per la prima volta dei versi non umani provenire dalle profondità di una sala dove stregoneria e culto dei morti la fanno da padrone, sarete quasi consolati dal fatto che qualcosa di concreto in effetti esista; ma basta farsi sopraffare anche una sola volta dal nemico per perdere quel minimo senso di tensione che si era venuto a creare prima della scoperta.
Gli affanni della cultura moderna
Il primo incontro con una delle creature vi farà comprendere che è quasi impossibile riuscire a sfuggirgli: vi sarà addosso in un attimo e con un paio di tocchi (perché di questo si tratta) sarete già fuori gioco. Non avrete nessuna arma a disposizione, ma solo una torcia a cui non servono le batterie: basterà infatti spegnerla per un po’ di tempo per far ricaricare abbastanza velocemente le tacche in sovrimpressione. L’unica soluzione è la fuga, soprattutto in virtù del fatto che non esiste un’impalcatura stealth né un level design atto a incoraggiare una conduzione di gioco simile agli ultimi survival horror usciti sul mercato. Incrociare un nemico non mette paura, ma imbarazzo, e lungo l’arco dell’avventura acquisirete la consapevolezza che si tratta solo di modelli poligonali messi lì giusto per dare un po’di fastidio e niente più.
Tutti coloro che decideranno di giocare ad Astray con un controller, inoltre, dovranno fare i conti con un movimento della telecamera davvero troppo sensibile e sguaiato, pertanto avvertirete quasi all’istante un grande fastidio tutte le volte che proverete a riposizionare l’inquadratura dove vorreste. Le opzioni sono ridotte all’osso e non c’è la possibilità di arginare questo problema, quindi dovrete – in sostanza – farci il callo e passarci sopra.
L’appeal di Astray è dato dalla particolare ambientazione e dalla storia, che viene indirettamente narrata attraverso la presenza di alcune note lasciate dal professor Walker. Per il resto, senza girare troppo attorno alla questione, Astray è solo un discreto puzzle game in prima persona che non riesce mai a terrorizzare; il che è un vero peccato, se considerate che l’idea di ambientare il gioco all’interno di un così particolare museo poteva offrire spunti sicuramente degni di nota. Ci si sposta invece da un compartimento stagno all’altro, in ambienti decontestualizzati, con l’atrio del museo che funge da punto nevralgico. Da segnalare, infine, l’assenza della localizzazione in italiano, dettaglio di certo non trascurabile per chi vuole appassionarsi a uno dei pochi aspetti positivi dell’opera di Aegon Games.
HARDWARE
MINIMUM: OS: Windows 7 SP1 Processor: 2.3GHz or faster Memory: 4 GB RAM Graphics: DX 11 with Feature Level 11 DirectX: Version 11 Hard Drive: 5 GB available space
RECOMMENDED: OS: Windows 7 SP1 Processor: 3.0GHz Memory: 8 GB RAM Graphics: NVIDIA GeForce 470 GTX or AMD Radeon 6870 HD series card DirectX: Version 11 Hard Drive: 5 GB available space
– Buona atmosfera
– Ambientazione dal gran potenziale…
… Piuttosto sprecato
– Controllare la telecamera è un problema
– Il fattore paura, praticamente, non esiste
6.0
Astray prova a essere un affascinante puzzle game che si mescola all’horror, ma riesce a fare discretamente solo metà del compito. Anche tecnicamente non è di certo eccelso: i modelli dei mostri sono grezzi e non incutono timore, mentre la modellazione delle strutture è sin troppo semplice, ridotta a fare il minimo indispensabile. Se cercate un survival horror, dovreste guardare altrove; se invece vi basta una buona avventura basata su qualche rompicapo elementare, siete i benvenuti.