Tecnicamente, Apocalypse: Party’s Over si può definire un semplice picchiaduro a scorrimento vecchia scuola, coi difetti più accentuati del genere e davvero pochi pregi degni di nota; nella più stringente realtà dei fatti, si tratta invece di un titolo che basa la sua offerta su un senso dello humor del tutto particolare, dove lo spiccato stile parodistico va a braccetto con una volgarità spicciola fatta di espliciti riferimenti sessuali. Non si tratta insomma di un titolo rivolto ai più piccoli e ai più puritani, è chiaro, ma questo gli sviluppatori brasiliani di Izyplay lo lasciano intendere sin da subito e anche con un certo orgoglio.
La festa è finita, comincia l’apocalisse
Premessa di gioco: il Creatore, attraverso i social, si rende conto di avere un ribasso inaccettabile di popolarità; decide pertanto di rimettere tutti in riga con una bella apocalisse, facendo dunque un reset completo dell’intera umanità. Per portare a compimento il suo scopo decide di affidarsi a tre individui, pescati casualmente dalla folla in delirio. Il primo è Psycho Bobby, una specie di mostro con bocca gigantesca, denti e coltelli affilati; un essere antropomorfo con gli occhi rossi che non si fa troppi problemi a usare mannaie e lame ingombranti. Il secondo è Minister Tommy-Gun, un uomo di colore che spara con la sua pistola in nome di G-Zus, possiede il potere mistico della bibbia e del crocifisso e si esprime con un accento degno dei peggiori ghetti del Bronx. L’ultimo – senza dubbio il personaggio più riuscito tra i tre – è Sticky Dicky, un giovane sovrappeso e infoiato col pene perennemente eretto, sulla cui sommità è infilato un guantone da boxe con cui picchia tutti nemici. Ecco: vi basti già questo per capire cosa è davvero Apocalypse: Party’s Over, anche se ad onor del vero non è tutto, perché tra i nemici troverete dei predicatori con cartelloni e campanacci, jihadisti dalle sembianze tristemente note, donne di facili costumi con sederi alla brasiliana giganteschi che emettono flatulenze infuocate, una parodia del compianto Michael Jackson come boss e dei nerd obesi con barba, codine, minigonna e bacchetta magica semplicemente inqualificabili. E c’è anche Junk Norris, che vi ospiterà in delle arene in cui dovrete far fuori tutti nel minor tempo possibile e vi mostrerà il suo pollice in segno di approvazione quando avrete fatto del vostro meglio. Si tratta di missioni facoltative che spezzano il ritmo tra un livello e l’altro, servono per aumentare un po’ le proprie statistiche e sono tutto sommato una buona variante alla classica formula dei beat’em up a scorrimento. Il punto è che su questa base non c’è costruito nient’altro, perché il ritmo di Apocalypse è lento, di combo ce ne sono poche e nessuna di queste dà reali vantaggi sui nemici, i pattern di attacco degli avversari sono tutti prevedibili e la ripetitività impera indisturbata. Ci sono solo alcuni momenti in cui si ha in effetti qualche variazione sul tema, ma si tratta di elementi di gioco che hanno sempre una rilevanza pressoché nulla.
My ding-ding-dong
Oltre che dalla difficoltà selezionata, l’avanzamento lungo l’avventura è fortemente condizionato dall’ottenimento degli upgrade, senza i quali si subisce un po’ troppo l’iniziativa degli avversari e si è costretti a ricominciare i livelli da capo. In questo senso, si nota qualche sbilanciamento di troppo con la gestione di alcune ondate nemiche e col quantitativo di danni inflitti dai boss. Anche usando con parsimonia gli attacchi speciali e dosando l’uso di accessori come bazooka con peni esplosivi, dildi doppi e simili, c’è il rischio – alla massima difficoltà – di morire con pochi colpi, senza avere mai la possibilità di controbattere in modo opportuno. Potrete infatti solo saltare o muovervi come in un qualunque beat’em up bidimensionale a scorrimento laterale, con in mente una sola preoccupazione: evitare l’assembramento di nemici attorno al protagonista affinché la situazione non precipiti d’improvviso. Sono presenti gli attacchi in volo, è previsto l’uso di power up strambi o a tema erotico, ci si fa anche qualche risata con gli eccessi messi in scena dagli sviluppatori brasiliani, ma al di là di questa immagine sopra le righe, Apocalypse Party’s Over è solo un mediocre – seppur scanzonato e divertente – picchiaduro a scorrimento. É in effetti poco elaborato, le meccaniche sono davvero basilari e non viene mai richiesto al giocatore un buon livello di dedizione. In questo senso, Apocalypse è sin troppo “asciutto”, quasi semplicistico. Eppure sa come farsi seguire fino alla fine, perché in fin dei conti è il sorriso sempre stampato sulle labbra che l’utente si aspetta di avere giocando a un titolo del genere; qualche volgarità esplicita, assieme a quel pizzico di humor nero, una nota blasfema e delle parodie quasi sempre azzeccate riescono a divertire, a offrire qualcosa di diverso per soli 5 euro. Graficamente appare come poco più di un titolo sviluppato in flash e le musiche sono sempre le stesse, mentre il fattore rigiocabilità esiste solo se volete rifare tutto da zero con un altro personaggio, ma francamente il ninfomane che picchia tutti con la sua tracotante virilità mette sin troppo in ombra gli altri due, oggettivamente un gradino sotto in quanto a realizzazione e “personalità”. Le arene dell’amico Norris – Junk Norris – sono un gradito extra, ma non aspettatevi un picchiaduro tecnico e bilanciato alla perfezione, perché Apocalypse: Party’s Over è un gioco nato per scopi completamente diversi.
– Provocatorio e dissacrante
– Strappa sempre un sorriso
– Sticky Dicky
– Struttura di gioco classica e basilare…
– …ma davvero poco elaborata
– Gestione delle ondate e della difficoltà non sempre ottimale
– Sistema di combattimento semplicistico
Il campionario umano rappresentato da Apocalypse: Party’s Over è in sostanza la trasfigurazione grottesca di quella reale, dove non mancano personaggi di dubbio gusto e le assurdità dell’epoca moderna. Si tratta d un picchiaduro a scorrimento piuttosto classico, senza evidenti meriti per quanto riguarda il gameplay o il design; tuttavia, il connubio tra volgarità volutamente banalotte e umorismo esplicito ben si adatta al contesto particolare dell’opera, che non impegna ma strappa sicuramente qualche sorriso.