Chi l’avrebbe mai detto che, in un afoso giorno di fine giugno, Square Enix avrebbe distribuito, in modalità stealth (leggasi: non lo sapeva nessuno) un JRPG per Playstation Vita, che, pur non portandone il nome, condivide immaginario e temi ricorrenti con nientemeno che la serie di Final Fantasy?
Si tratta di Adventures of Mana, remake di un titolo del 1991 uscito originariamente su GameBoy, che diede il via alla saga di Seiken Densetsu (Secret of Mana in occidente), una delle più amate, ascesa alla gloria internazionale soprattutto durante il ciclo vitale del Super Nintendo.
Dopo l’uscita del titolo su iOS e Android, arriva in Italia anche la versione per la piccola di casa Sony, che in Giappone è stata resa disponibile in contemporanea con le due mobile.
Che siate pronti o meno, ci aspetta un tuffo nel passato.
Il gladiatore… meno Russell Crowe
Il flebile canovaccio narrativo ricalca in toto quello di un quarto di secolo fa, e mette il giocatore nei panni di uno schiavo, un gladiatore costretto a combattere quotidianamente nell’arena di un castello di un oscuro signore.
Tutto ciò che egli ottiene per le sue vittorie contro dei mostri ferocissimi è un tozzo di pane (oltre, ovviamente, alla salvezza della propria pellaccia): una vita grama, sempre uguale, interrotta peraltro da un evento luttuoso.
Uno dei compagni di battaglie del nostro eroe, che di default è chiamato Sumo, perisce in seguito alle ferite riportate durante un combattimento, e, sul punto di morte, gli rivela che l’Albero di Mana, fonte di vita e di saggezza, corre un grave pericolo.
Come da tradizione per le ultime parole di un morente, il nostro alter ego prende in carico la richiesta di trovare un tale Bogard, uno dei pochi cavalieri dell’ordine di Gemma rimasti.
E così, dopo aver sopportato la schiavitù senza obiettare per chissà quanto, il nostro alza la testa e approfitta per fuggire dalle segrete del castello, al di fuori del quale, però, si imbatte casualmente nel suo malvagio signore (tremendamente somigliante al protagonista di Final Fantasy IV, Cain), finendo con l’origliarne la conversazione con il suo consigliere.
Inutile dire che i piani sono dei più loschi, e che, quindi, urge fermarne l’attuazione: per sconfiggere l’oscuro signore serviranno una decina di ore trascorse tra enigmi invero abbastanza basilari, migliaia di combattimenti in tempo reale e una buona dose di esplorazione, tutti ingredienti provenienti direttamente dal titolo originario, riproposti senza alcuna variazione sul tema, con tutto ciò che ne consegue.
Se le prime ore di gioco si rivelano piacevoli, figlie della nostalgia e di un gameplay semplice e approcciabile, già all’alba delle cinque ore di gioco la monotonia e la ripetitività cominciano a farsi sentire, portando a galla anche (se non soprattutto) gli aspetti della produzione invecchiati peggio.
Ma andiamo con ordine.
Avventura a quadri
Imbracciata la spada d’ordinanza, che potrà comunque essere sostituita da un buon numero di armi differenti nel corso dell’avventura, da un falcetto a un martello, passando per lance e asce, Sumo (e il giocatore con lui) dovrà dedicarsi all’esplorazione di una zona boschiva, all’interno della quale farà un incontro fondamentale per il prosieguo della trama: inquadrato con visuale dall’alto, con l’attacco mappato al tasto X in tempo reale, Adventures of Mana tradisce immediatamente le proprie velleità da simil-Zelda, configurandosi più come un action adventure con elementi ruolistici che come un gioco di ruolo puro.
Come per l’originale, la mappa di gioco è suddivisa in quadrati (letteralmente), all’ingresso dei quali il motore si prende qualche istante per caricare la vegetazione e i nemici presenti: questi ultimi, in teoria visibili e quindi evitabili, compaiono spesso dal nulla con un paio di secondi di ritardo, causando la perdita di punti vita al contatto con il giocatore.
Già dopo una manciata di minuti, allora, si comprende come la cosa migliore da fare, mentre si vaga per le lande di Glaive, è di aspettare immobili appena si entra in un nuovo “quadro” per evitare sgradite sorprese: non proprio un’operazione intuitiva e divertente all’epoca, figurarsi oggi.
I nemici, peraltro, esattamente come i compagni di viaggio che condivideranno un pezzo di strada con il nostro eroe, sono incorporei, finendo col materializzarsi nei punti più impensabili, che ovviamente Sumo non può raggiungere: fortunatamente, il livello di difficoltà generale è stato notevolmente ammorbidito rispetto all’originale, altrimenti la frustrazione avrebbe castrato ogni velleità del prodotto.
Di quando in quando, mentre si affettano nemici, compare un avviso a schermo che ci comunica l’avvenuto aumento di livello del protagonista, concedendoci di scegliere quale dei quattro metodi di crescita preferiamo per la distribuzione del punto abilità ottenuto.
La via del guerriero garantisce un buff a forza ed efficacia degli attacchi, quella del mago alla potenza degli incantesimi e ai punti magia, quella del monaco a difesa e punti vita totali e, infine, quella del saggio sulla difesa magica e sulla velocità di riempimento della barra degli attacchi, visualizzata nella parte bassa dello schermo, di colore rosso.
Quest’ultima regola non solo la quantità di attacchi consecutivi che è possibile portare, ma anche la loro potenza: evitando di pigiare il tasto di attacco per qualche secondo, la si vedrà riempirsi, così da poter sfoderare, in seguito, un attacco potente che infligge molti più danni ai nemici.
Come detto, la semplicità dell’esperienza di gioco, rinfrescante nel breve periodo, finisce però con lo stancare presto, anche a causa di scelte di design alquanto discutibili: su tutte, non si capisce perché l’interfaccia di gioco non sia stata adattata a Playstation Vita, con il paradosso di avere il piccolo schermo intasato di icone e scelte rapide e almeno tre pulsanti fisici completamente inutilizzati.
Secondariamente, le routine di intelligenza (demenza?) artificiale dei comprimari e dei nemici, ad eccezione dei boss, risultano davvero troppo semplicistiche per l’utenza console, abituata a standard qualitativi superiori rispetto a quella, molto meno esigente, di smartphone e tablet: troppo spesso i compagni non saranno di alcun aiuto durante i combattimenti, o si incastreranno nello scenario, mentre nemici goffi non si accorgeranno della nostra presenza finché la nostra arma non li avrà trapassati da parte a parte.
Un peccato davvero, perché, nei frangenti in cui funziona, Adventures of Mana è capace di regalare un paio di boss fight divertenti e una manciata di enigmi insospettabilmente ingegnosi (occhio al ghiaccio!)
Alti e bassi
Il comparto tecnico, dal canto suo, vive di contrasti: tra i pro, ci sono sicuramente un buon design tridimensionale dei personaggi (avremmo preferito sprite in 2D, ma tant’è…), richiami continui alla saga di Final Fantasy (qualcuno ha detto Chocobo?) e, soprattutto, una colona sonora incantevole, a firma del veterano Kenji Ito, che i meno giovani ricorderanno per lo splendido lavoro svolto con titoli del calibro di Devil Survivor 2, Sword of Mana e la trilogia dei Romancing SaGa.
Tra i contro, invece, detto dei frequenti rallentamenti, vanno citati fondali scarni che si ripetono con eccessiva frequenza, un bestiario un po’ striminzito e qualche bug di troppo: uno ci ha costretto a riavviare il gioco perché era saltata la colonna sonora, e un altro perché, all’ingresso in una grotta, lo schermo nero non ha lasciato spazio al prosieguo del gioco.
Sporadici? Sì. Fastidiosi? Altrettanto.
Il consiglio vivissimo, che optiate per la versione moderna o per quella classica, è di godervi la colonna sonora con un paio di auricolari di qualità, perché, al di là dei gusti personali e della qualità complessiva del prodotto, merita.
– Colonna sonora incantevole
– Remake rispettoso dell’originale…
– Interfaccia non adattata a PSVita
– …forse anche troppo
– Frequenti cali di framerate
– I.A. deficitaria
Adventures of Mana non è un brutto gioco e piacerà a coloro i quali hanno giocato l’originale o, pur essendoselo perso, sono capaci di apprezzare dinamiche e ritmi di gioco assai diversi da quelli che caratterizzano il mercato odierno.
Cionondimeno, la qualità finale del prodotto non è quella che ci saremmo potuti aspettare, soprattutto a causa di scelte di design di difficile comprensione e di una certa pigrizia nel porting (di fatto 1:1) da dispositivi iOS e Android a Vita.
Se a questo si aggiungono una forte ripetitività di fondo e frequenti cali di framerate, ecco che il sapore della pietanza ne risente.
Al primo calo di prezzo, comunque, potreste farci un pensierino, anche solo per non perdervi la straordinaria colonna sonora.