Nel 2013 Adam Orth – sviluppatore noto per le non proprio brillantissime dichiarazioni che hanno accompagnato l’annuncio dell’integrazione del DRM su Xbox One – decide di fondare, insieme ad Omar Aziz, un nuovo studio che potesse in qualche modo dare vita ad un’esperienza in prima persona diversa dal solito, e che nello specifico, non facesse uso della “violenza” in quanto tale: nasce così Three One Zero. Ed in effetti, il primo titolo di questo nuovo studio cerca di proporre davvero qualcosa d’insolito, tanto che già qualche tempo prima dell’uscita del gioco su PC, si è voluto definire ADR1FT come un primo esempio di FPX (First Person Experience), quasi a voler sottolineare (oppure a voler mettere le mani avanti ?) che il titolo avrebbe puntato su specifici elementi extra-gameplay, ponendosi più come un racconto interattivo che come un classico videogioco in prima persona. È un survival game che fa del proprio elemento cardine l’affascinante setting; non per nulla, il titolo è stato lodato su PC perché abbastanza convincente come esperienza in VR. Dopo alcuni mesi, ADR1FT approda finalmente su PS4, ma quella che ci siamo trovati di fronte è sì un’esperienza, ma non esattamente indimenticabile.
La Bellezza dello SpazioFin dai primi momenti di gioco, vi renderete conto che il vero punto di forza del titolo Three One Zero è costituito dall’ottimo comparto audiovisivo, coadiuvato da un impatto grafico niente male. Considerando quanto piccolo sia il team di sviluppo, il lavoro complessivo risulta svolto egregiamente: osservare la Terra dallo spazio, mentre vi muoverete tra detriti spaziali, è (almeno inizialmente) semplicemente meraviglioso. Con l’ausilio di un setting tanto affascinante, ADR1FT presenta dei momenti visivi notevoli; il gioco tenta di “parlare” al giocatore attraverso quello che presenta su schermo e in parte ci riesce. Artisticamente siamo su buonissimi livelli per gli esterni mentre il design degli interni presenta diversi cali qualitativi, dovuti a una certa ridondanza estetica, che porterà spesso a chiedervi se in quella determinata zona ci siate già passati. Tuttavia, per quanto riguarda il lato tecnico, va sottolineato come il gioco su PS4 compia qualche passo indietro rispetto alla già non perfetta versione PC: tra caricamenti delle texture in ritardo, un fastidioso stuttering e qualche problema di frame rate, speriamo vivamente sia in lavorazione qualche patch post-D1 in grado di poter risolvere, almeno parzialmente, alcuni di questi problemi. Come vedremo, però, il viaggio spaziale proposto da ADR1FT non è poi molto convincente, così come il modello di storytelling in salsa sci-fi. Al di là di una così bella atmosfera, c’è davvero ben poco, e una cosa così interessante come l’esplorazione spaziale diviene invece un continuo muoversi – in apparente libertà – tra noia e fastidio.
L’Importanza dell’OssigenoIn seguito a un tutorial in grado di far apparire il gameplay quantomeno solido, il gioco vi metterà immediatamente nei panni di un’astronauta, “fluttuante” e in grave pericolo; ADR1FT si pone come un walking simulator fin dall’inizio ed il fluttuare, appunto, non cambia tale modello di base in alcun modo. Anzi, pur avendo apprezzato in parte il voler rendere maggiormente realistico il movimento del personaggio, questo risulta, con il passare delle ore, assai frustrante, in quanto davvero poco preciso e quasi impacciato. L’unico reale elemento di gameplay è costituito dalla costante ricerca di taniche piene di ossigeno, utili per non soffocare. A causa della propria tuta danneggiata (che potrà essere potenziata circa a metà gioco), dopo un lasso di tempo abbastanza limitato il personaggio comincerà a dare segni di cedimento e, se la situazione dovesse peggiorare, la visuale tenderà a mostrarsi in bianco e nero, costringendovi dunque ad analizzare l’ambiente circostante alla ricerca di tali taniche. Sostanzialmente, ADR1FT propone, da un punto di vista ludico, esclusivamente questo, senza mai tentare di effettuare una variazione di qualsiasi tipo: delle meccaniche survival di una semplicità disarmante (tanto da risultare esageratamente banali) e dei movimenti poco convincenti che vi porteranno dal punto A al punto B. Sia chiaro, non si tratta di avere un qualsiasi tipo di pregiudizio ed essere dunque contrari a un gameplay semplice per partito preso; ma di cercare, piuttosto, di evidenziare un’intera commistione di elementi scarsamente integrati tra loro, che fanno parte di un’avventura molto scarna, che non riesce mai a convincere neanche nel ritmo proposto. Non vi è mai un reale cambio di passo che possa condurre a un miglioramento generale, e questa continua ricerca di “bombole” porterà alla noia molto presto. L’esperienza ludica proposta è grossolana e poco rifinita, più adatta a una tech demo che a un prodotto completo. Non mettiamo in dubbio che il gioco possa risultare leggermente più godibile con l’ausilio della VR, guadagnando qualcosina in più in termini di realismo, ma la verità è che, pad in mano, ADR1FT ci ha lasciato ben poco. Nota di demerito anche per l’HUD, da rivedere, con la presenza di una mappa che teoricamente dovrebbe aiutare e guidare il giocatore, e che risulta invece approssimativa e poco chiara; per questo motivo, purtroppo, diverse volte perderete il senso dell’orientamento.
Cosa ne è stato del mio equipaggio ?
Nel gioco prenderete il controllo di Alex Oshima, unica superstite di un incidente avvenuto nel 2037 in una stazione spaziale, andata totalmente distrutta; purtroppo, però, l’astronauta si ritrova senza memoria e con la propria tuta che presenta problemi di perdita dell’ossigeno. L’obbiettivo della vostra avventura è quello di sopravvivere e di tornare a casa, niente di più e niente di meno. Avrete la possibilità di cercare di comprendere la causa del catastrofico evento, che ha portato alla morte del resto del vostro equipaggio, attraverso audio log e documenti; il problema fondamentale è che proprio questo stile narrativo adottato non ci ha convinti per nulla. Sostanzialmente, nonostante l’affascinante premessa narrativa che riguarda l’evento portante di ADR1FT, conoscere la storia di personaggi già morti che nella nostra avventura non solo non vedremo mai, ma non avranno alcun impatto (neanche emotivamente) sul nostro personaggio, rende impossibile interessarsi a un qualsiasi tipo di background narrativo. Quello che tenta di fare il prodotto Three One Zero, cioè raccontare una storia con tecniche particolari e non convenzionali, lo abbiamo già visto fare, in modo assai migliore, da altre produzioni ben più convincenti. Parliamo di scelte narrative discutibili; il relegare un’intera storia al semplice raccoglimento di collezionabili, in un gioco dotato di un ritmo scandito così male, ci è sembrata una scelta semplicemente inadatta. Da sottolineare inoltre che in specifici settori in cui l’ossigeno scarseggia e con i movimenti del personaggio che non vi aiuteranno per nulla, non vi è alcun incentivo all’esplorazione e all’eventuale ricerca dei collezionabili. Più passerà il tempo, con il problema della ripetitività di fondo di questa simulazione di passeggiata spaziale a divenire abbastanza “pesante”, più l’interesse nel conoscere la sorte dell’equipaggio della Northstar IV calerà drasticamente. Se pensate poi che possa esserci un evento fuori dal canone dell’avventura, che vada a rimescolare le carte in tavola, è giusto dirvi fin da subito che no, non c’è assolutamente nulla. Proprio per questo, a conti fatti, le quattro ore circa che servono a completare il titolo ci sono sembrate pure eccessive, semplicemente perché coperte superficialmente.
– Graficamente buono
– Atmosfera affascinante
– Meccaniche survival grossolane
– La noia sopraggiunge molto presto
– Ritmo di gioco scandito malissimo
– Stile narrativo discutibile
Il lavoro svolto da Three One Zero convince soltanto in minima parte: ad un comparto tecnico di buon livello e ad un evocativo setting si affianca infatti un’intera parte ludica prossima allo zero. A nostro avviso, non basta l’aver voluto definire Adr1ft come un primo esempio di FPX per giustificare un lavoro sostanzialmente nullo sul gameplay, con meccaniche survival grezze e poco rifinite: se si cerca di guardare oltre la mera superficie c’è davvero troppo poco per riuscire a definire sufficiente tale produzione. Consigliamo pertanto Adr1ft esclusivamente a chi necessita di un’esperienza prettamente visiva.