Dopo l’ottimo Brothers: A Tale of Two Sons, il regista Josef Fares cambia registro e ritorna allo stile cinematografico che gli è più congeniale: con A Way Out, l’eccentrico autore libanese si concentra su una narrazione più realistica e meno fantasiosa, mettendo in scena la storia di due personaggi che, per uno strano gioco del destino, si ritrovano insieme a condividere il carcere e un’avventura decisamente sopra le righe, senza mai stare lontani l’uno dall’altro.
Il dinamico duo
Sebbene si sappia già da molto tempo, è giusto ribadirlo: A Way Out va giocato obbligatoriamente con un amico, in locale o in cooperativa online, e non esiste alcun modo per far agire l’intelligenza artificiale al posto di quella umana. D’altra parte, l’obiettivo dichiarato è quello di riportare l’esperienza co-op in un periodo storico dove è stata messa da parte quasi del tutto, costruendo una struttura di gioco accattivante e funzionale alle esigenze di sviluppatori e giocatori.
Ecco dunque che sin da subito l’opera si apre presentando Leo e Vincent, faccia a faccia a bordo di un ultraleggero mentre ricordano i loro esordi. In un continuo flashback che dura tra le sei e le otto ore prima di arrivare allo spiazzante atto finale e ai titoli di coda (scegliendo uno tra i due finali previsti), i due si ritroveranno per la prima metà e tentare la fuga dal carcere, per poi imbarcarsi in una caccia all’uomo che apre delle parentesi avventurose che lasciamo a voi il piacere di scoprire.
Leo è il classico scapestrato e impulsivo, uno a cui piace menare le mani e risolvere le faccende senza pensare minimamente alle conseguenze. Le fattezze e l’attitudine lasciano intendere senza ombra di dubbio che si tratti proprio dell’alter ego del regista Josef Fares, il quale è molto distante dal suo compagno di sventure, decisamente più riflessivo, calmo e maturo.
Entrambi condividono una storia torbida in cui sono coinvolte, in maniera differente, le proprie famiglie, assieme a una brutta faccenda con un uomo losco.
È interessante inoltre il modo in cui il gioco si muove con grazia all’interno del racconto, coi tempi compassati di un film dilatato in cui bisogna intervenire attivamente per passare alle vicende successive.
L’impostazione con split screen lascia la totale indipendenza ai due giocatori, che soprattutto all’inizio si spostano in scenari diversi e fa sì che gli utenti possano seguire l’incipit da due punti di vista non affini. Se non si vuole perdere nemmeno un dettaglio, però, è necessario attendere che uno dei due finisca di parlare con gli NPC, altrimenti si rischia di accavallare più voci, con risultati piuttosto confusionari. Durante gli snodi narrativi fondamentali ciò non succede, perché lo schermo condiviso subisce un graduale ridimensionamento fino a trasformarsi in un’unica schermata che si concentra sul filmato.
Sebbene i toni siano piuttosto leggeri all’inizio, nella parte finale si nota un cambio di registro, ed è da sottolineare anche quanto la seconda metà di gioco, e in particolare l’atto conclusivo, siano votati decisamente più all’azione, con scelte registiche apprezzabili.
Fares è però molto furbo e sa come titillare le emozioni dei videogiocatori, motivo per cui non mancano numerosi riferimenti a delle scene storiche portate su schermo da alcuni illustri franchise. È vero anche che A Way Out, dal punto di vista squisitamente narrativo, non propone nulla di nuovo; semmai, è il modo in cui gestisce la storia a essere innovativo, ossia tenendo in piedi due storie che ora s’intersecano, ora viaggiano su due linee parallele.
Una Via di Fuga
A Way Out, nella sua smania di voler essere un videogioco story driven molto vicino al linguaggio del cinema di qualche decennio fa, perde un po’ di vista le esigenze primarie dei videogiocatori. Il gioco è infatti ostentatamente guidato, lineare, poco dinamico e molto schematico, al punto che la prima metà ambientata nel carcere sembra quasi un grande tutorial.
È certamente un gran peccato, perché assistere a scene in cui bisogna premere uno, massimo due tasti per soddisfare i semplicissimi quick time event, dà un effetti blande motivazioni per intervenire sentendosi davvero partecipi e responsabili del loro destino. La semplicità è disarmante, spiazzante, e tutto sembra solo un modo per inserire a forza l’interattività in un contesto dove è la storia a farla da padrona. Va un po’ meglio quando bisogna operare in tandem per riuscire a farla franca nelle situazioni più ingarbugliate, ma una buona metà del titolo è moscia, tediosa e sin troppo lenta.
A Way Out prende un po’ il volo quando Leo e Vincent si ritrovano nel vivo dell’avventura, ossia nel momento in cui vengono allestite delle riuscite scene di fuga, inseguimenti e conflitti a fuoco. Viverle avendo accanto un amico è a tratti esaltante per chi è stato lontano dal mondo dei videogiochi per qualche anno, mentre per tutti gli altri, sarà come assistere a qualcosa di già visto ma in scala ridotta.
Inutile citare come esempio la grandiosa scarrozzata di Uncharted 4, al cui confronto quella di A Way Out sembra quasi uno scherzo – sebbene mantenga sempre un buon tagli registico. Non bisogna tuttavia dimenticare che si tratta di un progetto con un budget assai ridotto, rispetto a certi mostri sacri, pertanto il lavoro degli sviluppatori è più che buono. Ciò nonostante, la sensazione di giocare a un bell’action in miniatura rimane.
Graficamente A Way Out si difende bene, eppure è impossibile non notare come il livello di dettaglio sia molto più basso in split screen, rispetto a quando la scena è una soltanto. Hazelight Studios questo lo sa bene, ed è per questo che alcuni virtuosismi registici avvengono quando ci sono le condizioni migliori, così come è da elogiare il buon uso dei primi piani e dei momenti di pathos quando l’azione cede il passo ai passaggi cruciali.
Subito dopo aver completato A Way Out avrete un senso di soddisfazione che deriva soprattutto dal colpo di coda finale, ma a distanza di poche ore, non potrete fare a meno di pensare a quanto blando sia stato il resto e, in definitiva, quanto in più si sarebbe potuto fare per aumentare il valore di un’opera buona ma non di certo eccelsa.
– Un ritorno finalmente convincente per una co-op sempre solida
– Storia semplice ma ben scritta, narrata coi ritmi di un film dilatato
– Un paio di scene ben strutturate valgono il prezzo del biglietto
– Lineare, troppo guidato e semplice
– La prima parte è sin troppo blanda e tediosa
– Lo split-screen regge l’impianto grafico, ma la differenza con le scene a schermo intero è evidente
A Way Out è un action in cooperativa ben confezionato, che sa sfruttare la volontà di riportare in auge una modalità quasi caduta nel dimenticatoio. La sua pecca più grande è senza dubbio rappresentata dall’eccessiva semplicità e dal suo essere troppo guidato, ma alcune scene ben orchestrate, assieme al doppio finale imprevisto, risollevano le sorti di un titolo che fa un po’ di fatica a restare impresso nella memoria.