Prince of Persia, la Sabbia e la Fiamma – Parte 1: le origini - Speciale
A dieci anni dall’ultima discussa iterazione, ripercorriamo la storia del Prince of Persia, l’acrobata per necessità più famoso della storia dei videogiochi.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Aggiornamento 11 settembre 2020: in occasione dell'annuncio del remake di Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo, riproponiamo la nostra retrospettiva dedicata alla saga Ubisoft, a partire dal primo episodio.
È stato responsabile di un nuovo modo di intendere il platform, fino a essere “padre spirituale” di uno dei franchise videoludici più longevi e redditizi di tutti i tempi. Una “paternità” che però sarebbe stata anche la sua rovina: stiamo parlando di Prince of Persia, il platform mediorientale che a fine anni Ottanta rivoluzionò il videogioco nel suo piccolo e oltre. Trent’anni dopo, in questo speciale in tre parti ne vogliamo raccontare la storia, dalle origini “a rotoscopio” fino al suo triste destino a fine anni Duemila.
Prince of Persia: 60 minuti per morire
Il primo Prince of Persia è una di quelle cose improvvisate e creative che potevano uscir fuori solo negli anni Ottanta. In quegli anni un giovane di nome Jordan Mechner si è appena laureato a Yale, ma ha portato avanti una parallela carriera come sviluppatore più o meno freelance.
Già ai tempi concentrato più sulla componente acrobatica ed esplorativa piuttosto che sui combattimenti, il gioco introduceva anche una curiosa componente “contrapposta”, rappresentata dalla presenza di un “Principe Oscuro”, generato dal passaggio del protagonista attraverso un particolare specchio. Eppure, anche a causa dell’ambientazione forse poco avvezza al pubblico nordamericano dell’epoca, inizialmente il gioco fu un fallimento commerciale. Curiosamente, fu con la pubblicazione in Europa e Giappone che il successo finalmente arrise all’opera di Mechner.
Il ritorno di Jaffar
L’onda del successo extra-statunitense corrispose, com’era solito negli anni Ottanta, a una marea di porting e riscritture per buona parte delle macchine da gioco dell’epoca. Per tutta la prima metà degli anni Novanta il mercato videoludico fu invaso da versioni di Prince of Persia che spesso non solo convertivano ma direttamente ne rielaboravano livelli, sfida e ambienti. Molte volte si approfittò della potenza grafica per letteralmente rifarlo da zero (come accadde su Super Nintendo), altre volte vennero aggiunti livelli e ostacoli da superare. Anche i fan fecero la loro parte, sfruttando l’editor dei livelli (banalmente, il tool usato da Mechner stesso per lo sviluppo). La grafica rielaborata servì poi a ridefinire l’estetica del Principe, donandogli quell’aspetto un po’ da “Aladino col turbante” che poi lo stesso Mechner avrebbe riutilizzato nel sequel.
Seguendo la classica formula del bigger and better di ogni sequel, Prince of Persia 2: Shadow and the Flame subisce però la svolta di concentrarsi più sui combattimenti che sulle piattaforme; la critica tuttavia ne sottolinea una componente più “cruenta” che si dipana nel gioco, dalle acrobazie più difficili a duelli più impegnativi. La già citata scelta del “più grande e migliore” però funziona alla perfezione, e questa seconda avventura del Principe è nuovamente un successo di vendite per l’epoca.
Salti in faccia: Prince of Persia 3D
Ma per quanto ben realizzata, la seconda metà degli anni Novanta è l’epoca del 3D e il mercato videoludico è così affamato di terza dimensione che lo scorrimento orizzontale (non importa quanto immaginifico) non riesce più a tenere il passo. Come molte altre proprietà intellettuali dell’epoca, ai tempi l’unica speranza di sopravvivenza è appunto quella di affidarsi ai poligoni, e Prince of Persia non è un’eccezione.
Il gioco prova in tutti i modi a imporsi, anche grazie a un impatto visivo abbastanza rispettabile (tra cui un filmato introduttivo in CG cartoonesco, con un Principe ribelle e una ballerina dalle forme esplosive), ma la mancata ottimizzazione del codice si trasforma presto in requisiti di sistema esosi, controlli zoppicanti e una generale poca dimestichezza con il game design a tre dimensioni, cosa che portò molti a pensare che questo Prince of Persia 3D avesse “scopiazzato” un po’ troppo Tomb Raider, ai tempi sulla cresta dell’onda con il quarto capitolo (The Last Revelation).
In un ultimo tentativo di non lasciar affogare del tutto il Principe venne pubblicata una patch che risolse alcuni dei problemi del codice. Infine la Mattel Interactive (che aveva rilevato Red Orb) azzarda una sua conversione su Dreamcast nel 2000, sottotitolandola Arabian Nights. Una scommessa alla fin fine persa, visto che la console SEGA cade presto sotto i colpi di PlayStation 2.
In questa prima parte della retrospettiva su Prince of Persia ne abbiamo ripercorso la cosiddetta “trilogia classica”. Gli esordi negli anni Ottanta sono stati pionieristici, da un Principe al rotoscopio all’ambientazione non particolarmente utilizzata nella videoludica, a cui come al solito sono seguiti numerose conversioni più o meno ambiziose o riuscite. Il classico seguito bigger and better ha tenuto il passo ricercando un’atmosfera se vogliamo anche più “dark”. Forse le circostanze peggiori sono avvenute con la difficile migrazione al 3D, che per quanto imposta dall’epoca storica era forse un passo troppo lungo per la gamba del Principe. Ma da questo timido esordio nascerà poi una nuova prosperità, con la Trilogia delle Sabbie uscita proprio su quella PlayStation 2 ai tempi ancora irraggiungibile. Rimanete con noi per la prossima puntata!
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