Perché Valheim è diventato famoso?

Valheim è diventato famoso solo per la spinta di Twitch? No, è anche molto ruffiano.

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a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Nel momento in cui scrivo Valheim sta volando stabile verso tre milioni di copie vendute, su Twitch ha più spettatori di Call of Duty: Warzone e in generale rimane stabilmente nella top 10 dei giochi più giocati, arrivando in top 5 di tanto in tanto. Possiamo dire che il survival norreno spuntato dal nulla è tranquillamente il videogioco del momento.

Negli ultimi mesi ne abbiamo visti tanti, di “videogiochi del momento”, e molti di questi sono scemati brevemente per un motivo o per un altro. Rust era frutto di un rinnovato interesse da parte della community dei top streamer di Twitch, i quali finito l’effetto novità lo hanno snobbato. Prima c’è stato Genshin Impact che ora sopravvive solamente con la sua fedelissima nicchia, e l’estate scorsa insieme a Fall Guys anche Valorant che, come ogni gioco ad altissima skill, è ancora molto seguito ma solo da quei giocatori che hanno deciso di dedicarsi seriamente allo shooter di Riot Games.

La formula di Valheim è quella che si è vista un sacco di volte, negli ultimi anni. Un survival in early access, spinto dalla community di Twitch, con una grande apertura verso il multigiocatore online per dargli potenzialmente vita eterna. Da Minecraft in poi, il modello da seguire è stato sempre lo stesso. Ma alla base di tutto questo bel discorso, perché Valheim è diventato famoso?

Perché è adorabilmente ruffiano.

Valheim è un mix di buone scelte?

E non solo è ruffiano, ma nel suo aver accorpato in sé tutto ciò che funziona nelle tendenze videoludiche ed estetiche degli ultimi anni ha fatto centro.

Valheim è un survival open world con il classico incipit del genere: schiaffati in un luogo ameno bisogna arrivare ad un obiettivo e sopravvivere nel frattempo. Stavolta nell’omonimo decimo mondo della mitologia norrena dopo essere stati uccisi (e trasportati nelle grinfie di un corvo gigante che ha sopra scritto Dark Souls grosso come una casa), e l’obiettivo è quello di sconfiggere una serie di avatar delle divinità per dimostrare il nostro valore ed essere riportati in vita. Perché, tra le tante cose, il titolo è anche incentrato sulla mitologia norrena, immaginario ormai onnipresente dovunque e diventato la moda del momento, da Magic ad Assassin’s Creed ovviamente.

A proposito del corvo di Dark Souls, il combattimento strizza fortissimo l’occhio ai soulslike. I nemici che si trovano per la mappa, animali esclusi, sono tendenzialmente sempre molto forti, vanno affrontati con attenzione perché bisogna schivare, parare, e in generale approcciarsi loro con cautela, con tanto di barra della resistenza da tenere in considerazione. I troll durante le prime ore di gioco, ma anche dopo, sono in grado di uccidere il personaggio con un paio di randellate anche in parata. C’è anche un blando sistema di parry con gli scudi, tra l’altro, giusto per non farsi mancare nulla.

Visto che si muore, e all’inizio si muore tanto, i propri averi ed una parte delle abilità acquisite vengono depositati in una tomba, così come una parte della progressione acquisita, finché questa non viene recuperata. In questo caso, però, a differenza delle opere di From Software le tombe rimangono per sempre attive finché non si recuperano, anche se si continua a morire.

La progressione delle abilità del personaggio – quali la capacità di correre, saltare, essere furtivo, le doti di combattimento e tutto ciò che è in grado di fare – viene aumentata con un sistema preso di peso da Skyrim ed Oblivion: più si fa una cosa, più punti si guadagnano e più si diventa bravi. Queste coinvolgono anche la capacità di essere efficaci con le armi, laddove usare un’arma più frequentemente oppure parare con efficacia un colpo aumenterà l’output di danni inflitti e subiti con quello specifico strumento.

Durante l’avventura ci sono anche diverse boss fight legate al proseguimento della storia, i suddetti avatar delle divinità che vanno evocati con il sacrificio di alcuni trofei di varie creature ed animali che popolano Valheim. Come avrete potuto intuire anche questi scontri ricalcano la tensione e l’alto senso di sfida di un soulslike, con i bossi che hanno pattern di attacco che vanno imparati in fretta, pena una morte prematura.

Un survival che sembra un soulslike

Tutto questo si unisce a delle dinamiche survival abbastanza classiche. All’inizio della scorribanda nel decimo mondo sarà necessario procurarsi cibo, ma anche legname ed altre materie prime per crearsi un piccolo rifugio – il quale, se possiede un letto, sarà anche il checkpoint dal quale ripartire in caso di morte.

Il sistema di crafting è abbastanza classico e passa per un sistema crescente di oggetti sempre più utili, ma sempre più esosi di materie prime. All’inizio si potranno costruire asce, randelli e un martello con un po’ di pietra e legna, ma col tempo costruendo fonderie e strumenti di creazione più avanzati si arriva anche a creare armature e strumenti di costruzione più elaborati.

A differenza dei classici survival, Valheim sfrutta la sua componente da gioco di ruolo esplorativo per introdurre con calma tutti gli elementi del gioco. Un corvo messaggero comparirà ogni volta che state per compiere una nuova azione, quando ottenete uno status nuovo, o un nuovo tipo di materiale base, per spiegarvi cosa è possibile fare o non fare in quel momento. Una progressione del tutto fluida che, soprattutto per chi non è troppo avvezzo al genere, può rappresentare un aiuto per superare il proverbiale muro delle prime ore.

Il focus sull’esplorazione rende Valheim meno statico del solito, per il genere. Per evocare gli avatar bisogna infatti scovare gli altari sparsi per il mondo, recuperare alcuni trofei e sacrificarli per poi iniziare il combattimento. Perciò è controproducente focalizzarsi subito sulla costruzione di un’abitazione imponente, perché bisogna muoversi sempre alla ricerca dei suddetti altari.

La necessità di alternare tra alcune abitazioni principali, e tanti piccoli accampamenti che servono giusto come checkpoint rende il ritmo di gioco meno ripetitivo e blando di un normale survival. A questo si aggiunge quel senso di scoperta tipico delle produzioni open world che si basano più sul silenzio che sull’esposizione, con un mondo che ogni tanto presenta piccoli covi di nemici da abbattere o addirittura dungeon più o meno complessi e pericolosi da saccheggiare.

Come detto, Valheim pesca a piene mani dalle tendenze videoludiche migliori, le più convincenti, o semplicemente quelle che funzionano per il grande pubblico. Il pacchetto completo in generale sembra funzionare e convincere, e il tocco di grazia rappresenta l’utilizzo di una grafica low-poly che, per stessa ammissione degli sviluppatori, vuole riesumare l’effetto dell’epoca PSX. Ma gli scenari sono in generale molto evocativi, per via dell’uso di effetti di luce che sono invece moderni e creano un contrasto notevole ed efficace con l’alternarsi di un tramonto, il sole che filtra tra gli altissimi alberi della foresta nera, e le scorribande notturne da fare armati solamente di una fidata torcia per fendere l’oscurità.

Di tutti i progetti che arrivano e vengono fagocitati soprattutto dalla community di Twitch, perché indubbiamente il titolo di Iron Gate e Coffee Stain Publishing (che di fenomeni se ne intende dall’epoca di Goat Simulator) deve una buona parte della sua spinta iniziale alla piattaforma di streaming, Valheim ha almeno le basi per poter essere uno di quei titoli di cui parleremo anche tra qualche tempo senza lasciarlo nel dimenticatoio. Oppure la settimana prossima ci ritroveremo qui a chiederci perché il prossimo “videogioco del momento” sia diventato famoso, chissà.

Avete voglia di andare in giro per il mondo a fare i vichinghi? Bene, potete farlo con Assassin's Creed Valhalla!

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