Perché Sekiro: Shadows Die Twice non se ne va dalla mente di chi ci ha giocato?
A poco più di un anno dall’uscita e in vista della nuova release, indaghiamo il mistero banale ma non scontato: perché Sekiro non se ne va dalle menti di chi ci ha giocato
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: From Software
- Produttore: Activision
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 22 marzo 2019
Sekiro: Shadows Die Twice incarna quello che, specialmente nel cinema, si chiama underdog: qualcuno che, partendo da una posizione molto svantaggiata rispetto agli altri, riesce a trionfare nonostante le avversità. Nonostante infatti le premesse poco incoraggianti, l’avventura del Lupo ha raggiunto il suo meritato successo, prima venendo premiata come gioco dell’anno 2019 e poi sfondando il tetto delle 5 milioni di copie in barba tanto alla mancanza di contenuti aggiuntivi (qualcosa arriverà a ottobre 2020) quanto all’ancora misterioso Elden Ring. Oggi siamo qui per indagare l’ennesimo mistero alla luce del sole: come ci sia riuscito.
Sekiro, la ribellione
Un erede di Tenchu che poi ha preso vita propria, concepito da sviluppatori che avevano raggiunto la prosperità grazie agli action-RPG di ispirazione occidentale, che un bel giorno si sono svegliati e hanno scelto di fare un action. Da qui è nato Sekiro: Shadows Die Twice, un videogioco quasi vecchio stile, ma che in ogni senso è un ritorno alle origini. Prima di lui, solo Demon’s Souls era riuscito con altrettanta efficacia a mettere davanti ai propri limiti ogni videogiocatore. Eppure la forza di entrambi questi videogiochi sta appunto non nel mostrare e basta i limiti, ma nello spronare ad andare oltre essi.
Quello che infatti vale la pena di ribadire è come Sekiro: Shadows Die Twice sia un’aperta ribellione nei confronti non solo della contemporaneità, ma anche di quanto fatto da FromSoftware stessa fino a quel momento, e che l’aveva portata alla prosperità. Niente più scelta delle classi o degli armamenti: classe unica del ninja con solo una spada. Niente più livelli, potenziamento possibile solo attraverso la sconfitta dei nemici di rilievo o con oggetti rari. Punti esperienza utilizzabili per acquisire abilità che comunque richiedono pratica. Nessun percorso obbligato: ogni area è risolvibile in più modi, dal silenzioso all’aggressivo. Solo boss e mini-boss obbligano al combattimento.
Un guerriero agile, armato solamente di una spada e qualche trucchetto e a malapena protetto da una cotta di maglia, che conta solo sulle proprie abilità e astuzie per prevalere. Sembra folle, eppure era esattamente lo sporco mestiere dello shinobi. E in fondo, da un punto di vista virtuale, non è tanto differente da quello che FromSoftware ha fatto nei confronti del suo pubblico con Sekiro: Shadows Die Twice. Una decisione estrema, cui molti potranno rispondere con “è un gioco non un lavoro”. Non che parlino per eresie: ciò che dicono è vero. Ma chi vorrà prendersi il proprio tempo, guardare tra le righe dei combattimenti e scovarne i principi di auto-miglioramento che sono alla base di quest’opera, allora ne potrà capire la potenza silenziosa. Se e quando succederà, possiamo assicurare che non se ne andrà mai dalla loro vita videoludica – perché Lupo è come un vecchio amico, non se la prende se lo trascurate ogni tanto.
Voto Recensione di Sekiro: Shadows Die Twice - Recensione
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