Quella di Six Days in Fallujah è ormai una questione che sta facendo parlare tutti gli appassionati del mondo dei videogiochi. Il titolo recentemente riesumato, che diversi anni fa era stato di fatto defenestrato da Konami, vuole infatti raccontare gli eventi della seconda battaglia di Fallujah avvenuta davvero nel 2004, ma lo farà raccontandola dal punto di vista degli statunitensi e con gli autori che affermano di non aver avuto conferma, nelle loro testimonianze, dell'uso di armi al fosforo contro i civili.
Uso che, invece, era stato prima negato e poi confermato dagli stessi Stati Uniti (fonte BBC, anche se parlano di utilizzo contro combattenti nemici e non civili) e che era stato oggetto di un premiato documentario d'inchiesta di RaiNews24 firmato da Sigfrido Ranucci, intitolato Fallujah. La Strage Nascosta. Notabile anche l'indagine di George Monbiot per The Guardian, che trattava anche l'uso di bombe a vuoto. In Regno Unito (alcune forze britanniche vennero coinvolte nello scontro) la questione fece particolarmente discutere, perché non ci sono condizioni n cui è ammesso l'uso di armi al fosforo contro persone, siano nemici o civili.
Secondo la OPCW (Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons) è possibile utilizzare bombe al fosforo per creare diversivi come fumo o per illuminare, ma l'utilizzo come arma chimica – per via della sua tossicità – è un crimine di guerra.
Alla luce di ciò – le dichiarazioni degli sviluppatori, anche contraddittorie, che hanno parlato di un gioco che non vuole essere politico ma che tratta un crimine di guerra dal punto di vista di chi lo ha perpetrato – lo sviluppatore Rami Ismail da diverse settimane sta trattando l'argomento, sottolineando quanto sia importante avere il punto di vista di una persona di origine araba e asiatica sull'intera vicenda.
Così, quando in questi giorni Phil Spencer, a capo di Xbox, aveva preso posizione contro i crimini discriminatori nei confronti degli asiatici a cui stiamo assistendo negli Stati Uniti, Ismail lo ha invitato a fare di più e passare ai fatti. In un cinguettio in cui ha citato Spencer, Ismail scrive:
Spero che questo significhi che il gioco statunitense che vuole incassare dollari statunitensi cancellando intenzionalmente dei crimini reali statunitensi e la violenza statunitense contro una città asiatica piena di persone asiatiche innocenti che vivevano in Asia possa avere delle difficoltà a uscire su una piattaforma statunitense che afferma di supportare gli asiatici.
I hope that means the US game that aims to make US dollars by intentionally erasing real-life US war crimes & US violence against an Asian city full of innocent Asian people living in Asia will have a hard time releasing on the US platform that says they support Asians. https://t.co/0mbuMJRgQC
— Rami Ismail / رامي (@tha_rami) March 28, 2021
Quella di Ismail è insomma una vera e propria chiamata ai fatti da parte di Ismail: vedremo se, nelle prossime ore, Spencer si pronuncerà in merito.
In queste settimane non sono mancate le notizie controverse relative a Six Days in Fallujah: gli sviluppatori, ad esempio, avevano dichiarato di non rappresentare i crimini di guerra perché non volevano includere «cose sensazionali che distraggano» dall'esperienza di gameplay. Esperienza di gameplay che avrà una struttura procedurale per, sempre secondo gli autori, ricreare le incertezze vissute dai soldati statunitensi durante ogni assalto.
Oltretutto, Alanah Pearce aveva dichiarato di essere stata invitata a non parlare delle controversie legate al gioco, per evitare la possibile revoca della sua green card. Si tratterebbe di un fatto particolarmente rilevante, per un videogioco che afferma di non essere finanziato da enti governativi per fini di propaganda pro-militaristica.
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