Da quando è tornato in lavorazione, dopo essere stato cancellato molti anni fa, Six Days in Fallujah ha subito fatto parlare di sé. Lo sparatutto tattico, infatti, tratterà un evento storico realmente accaduto e si sono da subito generate polemiche in merito a se e come avrebbe rappresentato quanto accaduto durante la battaglia nella città dell'Iraq. Oltretutto, molti hanno destato perplessità sulla possibilità che il gioco fosse finanziato dal Governo USA e realizzato a fini propagandistici, per incoraggiare il reclutamento di nuovi soldati.
Nelle FAQ del sito ufficiale, come vi avevamo riferito, gli sviluppatori avevano spiegato che il gioco non è finanziato dalle autorità statunitensi – e ai microfoni dei colleghi del sito Polygon sono tornati sull'argomento. A parlarne è stato Peter Tamte, a capo del publisher Victura, che ha sottolineato come, nonostante il contesto storico scelto, il gioco non rappresenterà crimini di guerra né l'uso di bombe al fosforo.
Secondo Tamte, infatti, nonostante il gioco scelga di concentrarsi su un evento storico infaustamente noto, il focus non sarà fare un commento politico, ma semplicemente rappresentare come si sia svolta la battaglia dal punto di vista tattico. Una decisione che, l'autore ne è consapevole, potrebbe trovare discordi molte persone. Nelle parole di Tamte:
Per noi, come team, si tratta di aiutare i giocatori a capire la complessità del combattimento urbano. Si tratta delle esperienze di quegli individui che si trovano lì per via delle decisioni politiche: vogliamo mostrare come le scelte compiute dalla politica abbiano un effetto su quello che un Marine deve fare sul campo di battaglia. Ma così come un Marine non può obiettare in merito alle decisioni dei politici, noi non vogliamo provare a dare un commento politico sul fatto che la guerra in sé sia stata o non sia stata una buona o una cattiva idea.
Uno dei grandi interrogativi dei giorni scorsi, che si chiedeva se il gioco avesse scelto questo contesto per dare rappresentazione di quanto accaduto attraverso un medium potente come il videogame, trova così la sua risposta, dal momento che Tamte precisa che non vedremo alcuni dei dettagli che hanno reso orribilmente celebre la presa di Fallujah – costata la vita a cento soldati americani, nella sua seconda battaglia e, secondo i dati della Croce Rossa Internazionale, ad almeno ottocento civili iracheni.
Ma non sarà questo il focus del gioco, che non citerà l'uso delle bombe al fosforo che i soldati statunitensi dichiararono di aver utilizzato per stanare gli insorti dai loro nascondigli – il che non è però consentito dalle regolamentazioni ed è, di fatto, un crimine di guerra. Un argomento sul quale Six Days in Fallujah non avrà niente da dire:
Ho due preoccupazioni riguardo l'uso del fosforo come arma. La prima è che non è parte delle storie che i nostri testimoni ci hanno raccontato, quindi non ho dei fatti concreti e autentici su cui basarne la rappresentazione, ed è una cosa importante. La seconda è che non voglio quel tipo di cose sensazionali che possano distrarre da parte dell'esperienza.
Sarà lo stesso, sottolinea Polygon, per la rappresentazione dei proiettili all'uranio. Pur mancando queste rappresentazioni, Tamte non ha però dubbi:
Non penso che i giocatori rimarranno confusi su quelli che sono i costi della guerra. Non penso che nessuno uscirà dal gioco dicendosi 'abbiamo bisogno di più guerre'. Non è una cosa che i Marine e i soldati vorrebbero come messaggio, e che nemmeno i civili iracheni vorrebbero come messaggio. Penso che le persone debbano capire il costo umano della guerra.
Il gioco, vi ricordiamo, non permetterà di vestire mai i panni di insorti iracheni, ma vi farà giocare come soldati americani (o loro alleati) e come civili iracheni, trovatisi nella tenaglia del combattimento.
Six Days in Fallujah arriverà entro la fine del 2021 su PC e console.
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