Perché i videogiochi sono violenti? Perché così vendono, per l'autore di Fallout

Tim Cain, co-creatore di Fallout, ha ragionato sul perché i videogiochi propongono conflitti e violenza, ricordando che i giocatori votano con i soldi.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Perché i videogiochi di solito ci fanno giocare dei combattimenti e perché spesso propongono contenuti che mettono in scena la violenza? Per un motivo molto banale: perché vendono.

Si potrebbe riassumere così la disamina che Tim Cain, co-creatore di Fallout, ha pubblicato nei giorni scorsi sul suo canale YouTube (thanks, Eurogamer), in cui ha ragionato del perché così spesso i contenuti dei videogiochi siano basati sul conflitto e la sua messa in scena, anche esplicitamente violenta.

«Se vogliamo farla breve» ha ragionato il veterano dell'industria, «è che le compagnie creano videogiochi – e, in generale, prodotti – che le persone vogliono comprare. E questo è quanto.

Significa che i giochi che vendono di più – e non parlo di quelli recensiti meglio, solo di quelli che vendono di più – detteranno la linea per i giochi futuri».

Se, quindi, le persone portano al successo i giochi basati costantemente sul combattere, sul prevalere o con contenuti violenti, è normale che altri produttori seguano quella scia nella speranza di replicarne il successo, spiega Cain.

«È una cosa ovvia. Se hai una compagnia che sta cercando di fare soldi, e c'è una tipologia di gioco che vende milioni di copie, mentre un'altra ne vende centomila, quale perseguirai se entrambe richiedono esattamente lo stesso tempo e gli stessi soldi per essere create? Ecco perché dico alle persone che votano con i loro soldi» ha aggiunto Cain.

Se tutti compriamo determinati giochi, vedremo sempre di più determinati giochi. Se li compreremo meno, spiega Cain, le compagnie dovranno proporre anche qualcosa di diverso.

«I giochi action tendono a vendere molto bene e, da questo punto di vista, gli action RPG tendono a vendere di più dei giochi di ruolo classici, anche se entrambi sono violenti» ha continuato il veterano dell'industria videoludica.

Con un appunto: i giochi basati sui combattimenti e sulla violenza sono anche molto più facili da promuovere al pubblico, perché si possono presentare con grande immediatezza.

«È anche più semplice promuovere quella tipologia di giochi», ha ragionato Cain. «Quando guardi un trailer e vedi persone che fanno effettivamente cose – saltano, si arrampicano, sparano, fanno a pugni – è una cosa tipo 'whoa! Guarda tutte le cose che puoi fare in questo gioco!'. Mentre altre cose sono difficili da mostrare.

Come facciamo a mostrare che questo gioco ha una bellissima storia? Come mostriamo che ha dei dialoghi fantastici? Come lo fai in un trailer dove magari hai 15 o 30 secondi? Ti ritrovi a dover ridurre quella bellissima narrativa, tutta elaborata e con un grande arco, a un assaggio. E, indovinate? Questo accade perché le persone non guardano più di qualche secondo di qualcosa».

Le parole di Cain mi ricordano le riflessioni di qualche anno fa di Bruce Straley, dove l'ex Naughty Dog sottolineava come spesso i videogiochi puntassero al conflitto come meccanica base di gameplay perché capace di dare soddisfazione (e vendibilità) immediata, con anche i comparti narrativi costretti a un inizio "a cannone", per via della soglia di attenzione del giocatore molto facile da perdere.

Ad anni di distanza, la cosa non è cambiata e, anzi, nell'industria AAA è probabilmente peggiorata: i giochi costano sempre di più da produrre e abbiamo visto anche nel 2024 che molti publisher cercano di inseguire modelli di successo visti da altri e di replicarli, con risultati in alcuni casi disastrosi sia per le opere che per chi ci ha lavorato.

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