La cancellazione dell'online di The Last of Us ha creato scossoni in Sony

Secondo quanto svelato dal giornalista Jason Schreier, la cancellazione dell'online di The Last of Us non è stata proprio indolore.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Da tempo, Sony sta cercando di inseguire il successo live service e, se qualche gioco è riuscito nell'intento più di altri (come Helldivers II, finché è durato), indubbiamente per PlayStation l'ideale sarebbe riuscire a traslare in un gioco persistente i suoi grandi successi in single player – che rappresentano motivo di vanto per i PlayStation Studios.

Come dimostrato dalla cancellazione dell'online di The Last of Us, tuttavia, la cosa è tutt'altro che banale e non si può trasformare un gioco narrativo in un gioco persistente con uno schiocco di dita.

E sebbene Sony abbia cancellato il gioco prima di continuare a spenderci soldi inutilmente, intestardendosi a portarlo avanti per farlo uscire col rischio flop (come è stato il caso di Suicide Squad, per capirci), il deragliamento del progetto online di The Last of Us ha comunque avuto delle conseguenze.

A rivelarlo è il giornalista Jason Schreier, penna di Bloomberg celebre per le sue anticipazioni dal dietro le quinte dell'industria, che ha svelato nel corso del podcast Friends per Second (thanks, Eurogamer) che «sono cadute delle teste in Sony» dopo i problemi all'online di TLOU e la sua cancellazione.

«La lista di giochi che sono stati virati da studi per il single player al tentativo di realizzare dei live service, ma poi sono stati delle debacle, è molto molto lunga» ha raccontato Schreier durante l'intervista. «Penso di aver curato i postmortem di molti di questi. Il ciclo è: uno studio single player di grande successo viene dirottato alla realizzazione di un live service. Passa sette anni a realizzare un gioco live service che non vuole nessuno. Il gioco live service esce ed è un fallimento».

Anche qui, purtroppo, la sovrapponibilità con il caso Suicide Squad e Rocksteady è totale.

E sebbene la cancellazione più o meno tempestiva di The Last of Us abbia evitato che Sony continuasse a buttare soldi in un pozzo senza fondo che non si sarebbe mai tradotto in un successo, la cosa ha comunque avuto un suo impatto, spiega Schreier:

«Voglio dire, il gioco Factions di Naughty Dog era in sviluppo da qualcosa come quattro anni, con un team di centinaia di persone.

Sono proporzioni costose, per un progetto che ha mancato il suo bersaglio. Il fatto che un progetto così venga cancellato non è privo di scie di sangue.

Ci sono delle teste che sono cadute in Sony, come risultato di quello che è successo».

Insomma, anche i numeri dei recenti test di Concord (e le paure di Schreier per Marathon) ci confermano che ci sono live service che, sì, hanno milioni di giocatori al giorno, ma la tua proposta deve essere capace di strappare quei giocatori a quei titoli, ai quali si dedicano da anni quotidianamente.

Non è pensabile che tutti i giocatori di The Last of Us diventino automaticamente giocatori di lungo corso dell'online di The Last of Us, soprattutto se la saga è celebre per il suo mordente e il live service a tema rischia di non averne alcuno.

Come dicevamo in uno SpazioGames Originals di qualche tempo fa, i live service non sono insomma la miniera d'oro che i publisher speravano, ma piuttosto un pozzo ingannevole dove molti hanno lanciato con poca cautela i loro soldi, pensando che replicare risultati come quelli di Call of DutyFortnite fose praticabile.

La risposta del mercato, peraltro saturo di proposte fotocopie indistinguibili, è piuttosto chiara: i live service di successo sono l'eccezione, non la regola. E, prima di diventare un successo nel contesto odierno, richiedono anni e anni di investimenti e aggiustamenti.

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