La community di Bloodborne ci aveva sperato: il recente copyright strike di Sony contro la mod che permette di giocare a 60 FPS non era forse il segnale di un imminente aggiornamento ufficiale? Una patch next-gen, magari?
Nulla di tutto ciò. La verità è molto più banale. Lance McDonald, il modder che ha creato la celebre patch, ha chiarito che la rimozione non è stata un attacco diretto al suo lavoro, ma un’azione legale legata all’uso del nome Bloodborne.
In pratica, Sony ha invocato il DMCA solo perché il titolo della pagina includeva il nome del gioco (che trovate su Amazon), e non perché la patch stessa violasse il copyright. Un cavillo burocratico più che un colpo di scure.
«Il DMCA non era contro la patch», ha spiegato McDonald sul suo Discord, come riportato anche da PlayStation Lifestyle.
«Hanno usato il DMCA per togliere la pagina perché la pagina usava la parola 'Bloodborne' di cui possiedono il marchio. Non possono legalmente DMCA la patch perché è un codice al 100% e la patch non dice nemmeno per quale gioco è stata creata».
McDonald ha inoltre dichiarato che non riporterà la mod online per evitare ulteriori scontri legali con Sony.
E chi può biasimarlo? Quando sei un singolo sviluppatore indipendente e dall’altra parte c’è un colosso con un team legale mastodontico, conviene evitare la guerra.
Se Sony mettesse la stessa energia che usa per proteggere il marchio nel dare ai giocatori ciò che chiedono da anni, forse oggi Bloodborne girerebbe a 60 FPS senza bisogno di mod.
Invece, ci tocca vedere il gioco bloccato nel passato, con la fanbase che si aggrappa a ogni mossa di Sony sperando in un miracolo.
Come quello visto di recente in un tweet di PlayStation Germania, che ha riportato il nome di Bloodborne alla ribalta, con una frase si è rivelata l'ennesimo fumo negli occhi.
Ma diciamolo chiaramente: se dopo dieci anni Bloodborne non ha ricevuto nemmeno un porting su PS5, il messaggio è chiaro. La speranza è l’ultima a morire, ma anche la pazienza ha un limite.