Kingdom Hearts, la Via dell’Alba #2 | Riku
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Square Enix
- Produttore: Square Enix
- Distributore: Halifax
- Piattaforme: PS4 , XONE
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 29 gennaio 2019
Bentornati alla Via dell’Alba, la retrospettiva su Kingdom Hearts in attesa del terzo capitolo. Piuttosto che adottare una via “tradizionale”, scegliendo di andare in ordine di pubblicazione oppure ricostruendo cronologicamente una trama divenuta con gli anni incredibilmente grande, per questi articoli abbiamo deciso di concentrarci sui personaggi. È infatti attraverso di loro che si compie quello che è considerato il “miracolo” di Kingdom Hearts: il suo naturale combinare mondi lontani quali sono la Disney e la Square. Dove nell’esordio abbiamo parlato di Sora, Custode dei Mondi e filo conduttore, oggi parleremo del suo doppio complementare: Riku.
Fuori dalla paura
Almeno nominalmente, le origini di Riku sono le stesse di Sora. Viene concepito come personaggio originale che possa integrarsi sia con il contesto Disney che con quello Square, e gli viene dato il blu come colore dominante in quanto complementare con il rosso di Sora. Egli ha il ruolo cinematografico classico, quello del “migliore amico”, e nei fatti rimarrà per molto tempo il motore portante del viaggio del Custode del Keyblade. Ma le analogie finiscono qui, e iniziano i contrasti. Dove Sora in giapponese significa “cielo”, Riku nella stessa lingua (tradotto un po’ alla buona) significa “terra”. Egli è quindi non solo complementare ma opposto a Sora, e a differenza di quest’ultimo ci viene presentato con un’ambizione bruciante. Un’ambizione che si riflette nei suoi freddi occhi e nella sua calma inquietante e senza scrupoli: celebre è l’immagine di lui che dice “Io non ho paura dell’Oscurità” tendendo la mano a Sora in maniera così simile a un diavolo tentatore.
Egli è consumato dal desiderio di uscire dal guscio delle isole che ormai nell’età della crescita lo sta imprigionando, e pur di conoscere ciò che c’è “oltre” non esita ad affidarsi all’Oscurità. Tale è il suo ruolo per tutto il primo Kingdom Hearts: un araldo posseduto dal buio, che si lascia andare a un perverso rituale in cui cattura principesse e usa per i propri scopi la luce contenuta nei loro cuori. Non è difficile immaginare che l’Oscurità si sia insediata in lui appoggiandosi alla radice di strisciante invidia che provava nei confronti di Sora, reo di essere stato scelto dal Keyblade. Il suo desiderio è tanto e tale che arriverà a produrre una replica contorta del Keyblade stesso, e solo dopo essere stato buttato via da colui che l’aveva usato (Ansem) si renderà conto dell’errore che ha commesso. Il momento più simbolico di questo è quando deciderà di sacrificarsi chiudendo dall’interno la porta per il Regno dell’Oscurità. Tale sarà il primo passo verso la sua redenzione insieme al suo primo pensiero non egoista, la sua ultima battuta in Kingdom Hearts: “Prenditi cura di lei”.
La terza via
Nonostante tutto, lo spettro di Ansem continuerà a perseguitare il ragazzo dai capelli d’argento per anni. Eppure Riku è più che un antagonista forzato: attraverso di lui si riscatta tutta la saga di Kingom Hearts. La creatura di Nomura, almeno per quanto riguarda il primo episodio, aveva una trama particolarmente “orientale”. Vi erano Luce e Oscurità, ed erano due “fronti” opposti e separati. L’Oscurità era un’entità onnipresente con l’ossessione di inghiottire anche la parte di Luce dell’universo, e tutti coloro che avevano deciso anche solo di comprenderla (o peggio usarla) si condannavano a una distruzione inevitabile. E non è difficile vedere in questa concezione un richiamo a Lato Chiaro e Lato Oscuro della Forza di Star Wars, di cui Tetsuya Nomura si è sempre dichiarato fan.
Ma per quanto fascinoso, un simile ragionamento di fondo era anche limitato e limitante. Avrebbe potuto funzionare se ci si fosse limitati a un videogioco solo, ma quando il successo arrivò nell’ormai lontano 2002 era evidente che non sarebbe più bastato. L’unica possibilità era strapparsi via l’assolutismo: visto quanto vi avevano puntato, sarebbe occorso un’intera sceneggiatura per farlo. Così nacque Kingdom Hearts: Chain of Memories (2005), in Europa arrivato solo nella sua versione Game Boy Advance e che solo recentemente (grazie alla raccolta 1.5 HD Remix) anche sulle console maggiori. Un capitolo di raccordo in tutti i sensi, in cui il viaggio per mondi già visti e un sistema a carte serviva solo a introdurre i personaggi chiave del successivo Kingdom Hearts II, i subdoli incappucciati dell’Organizzazione XIII e la dolcissima Naminé.
Ma malgrado sia poco conosciuto, è proprio in Chain of Memories che assistiamo al vero cambio di rotta della serie. Riku è così essenziale per Sora che per rendere convincente l’inganno nel Castello dell’Oblio il Nessuno Vexen ne crea una copia carbone, che si batte credendo di stare contendendosi l’amore di Naminé. Nella ancor più misconosciuta modalità Reverse-Rebirth (giocabile dopo aver completato la storyline principale con Sora) si assume il controllo nientemeno che di Riku, che dopo essere stato strappato via dall’Oscurità si risveglia nei sotterranei del Castello dell’Oblio. Nel suo viaggio per uscirne egli fa i conti coi propri ricordi e con i suoi errori, dall’essersi asservito a Malefica fino al farsi possedere da Ansem. In questo viaggio lo accompagna nientemeno che Re Topolino, che ne ha visto il pentimento e ha deciso di aiutarlo. Ciò che il Re girovago ha capito (e che hanno capito anche gli autori stessi) è che l’Oscurità è parte di Riku, e che non va per forza distrutta ma incanalata attraverso la propria forza di volontà. Riku infatti utilizza il potere dell’Oscurità anche dopo essersi pentito, ma con una consapevolezza differente, avendo capito che questa è un mezzo e non un fine. Il finale della Reverse-Rebirth suggella questo concetto: Riku e il Re escono dal castello. Quando il misterioso DiZ chiede a Riku di scegliere tra la via della Luce e quella dell’Oscurità egli opta per un terzo sentiero, esattamente nel mezzo. E quando DiZ la battezza “via del Crepuscolo” Riku lo smentisce subito, chiamandola con il suo vero nome: “Via dell’Alba”.
Un crudele inganno, un crudele mezzo
Riku continuerà a agire dietro le quinte anche in Kingdom Hearts II (2006), anche se lo vedremo autenticamente solo nel finale. Quando compare è molto cambiato: il nero è scomparso dai suoi vestiti e i suoi capelli sono lunghi e scomposti, segno del lungo anno passato nel buio a fare i conti con sé stesso. Simbolicamente egli ha assunto l’aspetto di Ansem, ad indicare il suo periodo di penitenza, e in cotale guisa andrà a prendere Kairi perché possa salvare sia lui che Sora. Finirà fortunatamente bene, dimostrandosi essenziale nella battaglia contro Xemnas e tornando a casa.
Volendo Kingdom Hearts sarebbe potuto finire così, eppure non è successo. La storia si riaprì quattro anni dopo con Kingdom Hearts: Birth By Sleep. Ma qui Riku, ancora bambino, non è presente se non in minima parte: a fare le sue veci c’è Terra. Un personaggio costruito volutamente per essere correlato a Riku, prima per il nome e poi per il designarlo suo “erede”, giustificando così il suo futuro ruolo come portatore di Keyblade. Ma dove Riku aveva dalla sua la scelta consapevole di abbandonarsi all’Oscurità, Terra diviene presto bersaglio di un atroce inganno. Frustrato dal fallimento per non essere divenuto Maestro, finisce col fidarsi del cattivo consiglio del Maestro Xehanort, che come un freddo burattinaio lo porterà ad azioni sempre più efferate. L’obiettivo del Maestro Xehanort è avere un nuovo vascello per sopravvivere all’Oscurità e continuare la sua ricerca, e l’ha trovato proprio in Terra. Il giovane non si accorgerà di questo se non quando sarà troppo tardi, e la sua resistenza sarà inutile nel suo eroismo. Alla fine il subdolo Maestro entrerà nel suo corpo dando vita a Terra-Xehanort, che verrà catapultato da Aqua fuori dal regno dell’Oscurità e lasciato al Giardino Radioso privo di ogni memoria a parte il nome “Xehanort”.
E ci voleva Shiki per capirlo?
Gli anni passano, facendoci avvicinare a oggi. Con Birth By Sleep qualcosa si è ripreso, e l’edizione Final Mix di KH II introduce un personaggio apparentemente insensato: la Volontà Residua. Un’armatura vuota dalla potenza esagerata, che Sora affronta grazie a un passaggio temporale aperto dalla Prima Pietra del Castello Disney. Malgrado ai tempi apparisse come un personaggio fine a sé stesso, era stato inserito per evidenziare come qualcosa di Terra fosse sopravvissuto allo sfacelo provocato dal Maestro. Ne era nei fatti rimasta la rabbia e la frustrazione per essere stato ingannato, che ne avevano gonfiato la potenza fino a livelli folli. Un qualcosa ancora una volta simile a Riku, che però quest’ultimo avevamo imparato a dominare. Quando Riku viene convocato insieme a Sora da Yen Sid per divenire Maestro, si ritrova separato ancora una volta dal suo amico all’interno dei mondi dormienti. In tale viaggio ha la possibilità di continuare a riflettere su sé stesso, apparendo finalmente come un giovane uomo. Proprio tale equilibrio raggiunto lo porterà a essere nominato Maestro da Yen Sid. Se ci pensiamo è un titolo che aveva sempre sognato, ma la sua competitività fine a sé stessa (dettata solo dalla voglia di sorpassare Sora) è svanita, sostituita da un proprio codice d’onore.
L’occasione più esplicita che viene mostrata è però all’inizio del tutto, quando alla Città di Mezzo salva la giovane Shiki (personaggio-cameo da The World Ends With You): quando la rossa gli dimostra gratitudine e una sottile attrazione (lo provoca chiamandolo “cavaliere dalla scintillante armatura”) lui si dimostra impacciato, facendola desistere immediatamente. Per quanto appaia solamente come un siparietto comico, dimostra come Riku non abbia mai pensato seriamente a quel lato della sua vita. Nella parte iniziale del primo Kingdom Hearts lo vediamo mettere in palio con Sora il dividere un paopu (frutto che legherebbe i destini di coloro che lo mangiano insieme) con Kairi, ma successivamente si dimenticherà di tale promessa. Se Sora avrebbe poi iniziato a sognare gli occhi di Kairi e arrossire, nei fatti non abbiamo mai visto Riku fare lo stesso. Questo ha dato origine negli anni a numerose speculazioni, non ultima quella che le donne potrebbero non interessargli affatto.
Ma al di fuori di questa goliardia, c’è un’ulteriore speculazione sul suo destino. L’epilogo segreto di Kingdom Hearts 3D si conclude con Riku che, fresco di nomina, parte per recuperare una persona per conto di Yen Sid. Solo nell’ultima inquadratura si scopre che questa persona è Kairi. Un cerchio che già così si chiude, ed è già lecito pensare che in Kingdom Hearts III lei non sarà passiva. Ma allo stesso tempo non possiamo ancora comprendere quale sarà il fato ultimo di Riku. L’incertezza è dovuta al fatto che lui ha raggiunto per primo lo status di Maestro, che più o meno esplicitamente è diventato uno degli obiettivi principe della saga. Inoltre, su Kingdom Hearts III tutti i suoi affetti sono in gioco: migliore amico, migliore amica, missione come Maestro. Tutto getta un’ombra piuttosto pesante sul suo fato: potrebbe arrivare a sacrificarsi.
In questa seconda puntata abbiamo parlato di uno dei personaggi più importanti della saga di Kingdom Hearts. Di tutti Riku è quello che ha avuto l’evoluzione maggiore, passando da comprimario irretito a redento Maestro di Keyblade. Ma non è l’unico cambiamento che lo ha visto partecipante: attraverso di lui si è consumata l’evoluzione della saga stessa, passata da un dualismo bianco-nero a un più riconoscibile grigio. L’Oscurità non è qualcosa di assoluto e invincibile, ma una forza metaforica che può essere controllata. A fare la differenza non è lo strumento, ma la mano che lo impugna e lo usa. E in virtù di questo è proprio lui a giungere per primo alla nomina di Maestro, con tutto ciò che questo comporta e che comporterà nel capitolo conclusivo della saga. Rimanete con noi per la prossima puntata, dedicata alla Principessa col Keyblade!