In Other Waters, l'uomo come IA, il virtuale come umano - Recensione
Abbiamo affrontato il nostro viaggio in In Other Waters, peculiare esperienza indie che vuole farvi immergere in universi alieni per scoprire qualcosa su un mondo ben più vicino: il nostro.
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a cura di Stefania Sperandio
Editor-in-chief
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Jump Over The Age
- Produttore: Fellow Traveler
- Piattaforme: PC , SWITCH
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 3 aprile 2020
Gareth Damian Martin ha un’idea. Ed è un’idea peculiare: raccontare un mondo alieno e lasciarlo all’immaginazione. Anzi, non un mondo: un oceano, profondità acquatiche che sono proverbialmente incarnazione del mistero e, spesso in molti noi, di un certo riverente disagio. «Hai visto quanto è profonda l’acqua lì? Chissà cosa si nasconderà là sotto…», ma in un pianeta alieno – dove non si sa nemmeno chi o cosa sia ostile, ammesso che qualcosa di ostile ci sia. Questo, in breve, è In Other Waters.
In acque estranee
Così, Gareth Damian Martin porta su Kickstarter la sua idea, ottenendo il favore degli incuriositi appassionati. La campagna di raccolta fondi raccoglie oltre 27mila sterline (ne richiedeva 22mila) da quasi un migliaio di persone, facendo in modo che In Other Waters si trasformi in realtà.
Ora che il gioco è disponibile anche su Nintendo Switch, che sappiamo essere terreno fertile per le piccole produzioni indipendenti, abbiamo voluto cogliere l’occasione per partire alla volta delle sue profondità, trovandoci a misurarci con un progetto che, sicuramente non manca di personalità.
La prima cosa che balza all’occhio è la direzione artistica, che è espressione dell’intero concetto che permea il gioco. Mentre solitamente si vestono i panni del protagonista, in questo caso noi ci limitiamo a essere un’intelligenza artificiale che accompagna l’eroina della storia. L’esploratrice e dottoressa Ellery Vas conta su di noi, installati nella sua tuta da esplorazione, per setacciare ogni anfratto di questi misteriosi oceani, alla ricerca della scomparsa Minae Nomura. Perché riesca nel suo intento, però, è a noi che deve affidarsi.
Per questo, il gioco è interamente incentrato sull’interfaccia dell’intelligenza artificiale, ossia noi. La schermata principale è rappresentata da un sonar, che sarà anche l’unica visione che avremo del mondo che ci circonda. Ai lati e sotto la finestra principale sul mondo di In Other Waters, troviamo altri strumenti che si potranno sbloccare e utilizzare via via, per interagire con gli ambienti, sfoderare risorse e via dicendo, a seconda degli ostacoli ambientali che potremmo trovarci di fronte.
L’intero gameplay si appoggia proprio sull’esplorazione. Gli strumenti a disposizione del giocatore consentono di attivare il sonar per captare i punti di interesse prossimi e, attivandone un altro, di impostare la destinazione che si vuole raggiungere. Da quel momento, per qualche secondo, Ellery camminerà fino a raggiungere la destinazione, per poi chiamarci a ripetere il procedimento: scansiona, individua il punto da raggiungere, indicato appositamente dall’interfaccia, attiva lo strumento per selezionarlo, selezionalo, raggiungilo. Questo è, in breve, il flusso dell’intera esperienza di gioco di In Other Waters, con poche pause quando si raggiunge l’obiettivo, si chiede l’estrazione e si torna alla propria base per prepararsi a ripartire.
Nel percorso alla volta dell’ignoto si potranno però incontrare diverse biforcazioni, oltre a ostacoli e creature tutte da scoprire e analizzare, che andranno ad arricchire la nostra conoscenza dell’oceano alieno che stiamo esplorando. Si potranno anche campionare alcuni esseri, utilizzabili poi per superare degli ostacoli – immaginateli come se fossero delle granate da lanciare per aprirvi la via, trascinandole contro gli ostacoli. I nostri viaggi dovranno inoltre tenere conto delle capacità limitate di ossigeno e batteria della tuta: esaurite dopo un certo numero di movimenti, ci spingerebbero a venire trascinati di nuovo al punto iniziale, se non avessimo ancora raggiunto la nostra meta.
Appare abbastanza nitidamente, anche tra le nostre righe, che di sicuro non sia il gameplay il punto forte di In Other Waters, che offre un’esperienza di certo rilassante, ma che pecca di alcune ingenuità di design che è impossibile non sottolineare.
Rilassante fino a un certo punto
Ricordiamo, chiaramente, che parliamo di una produzione indipendente firmata da un team estremamente limitato, quando mettiamo in evidenza alcune delle mancanze che rendono In Other Waters più difficile da deglutire di quanto avrebbe potuto essere.
Una, su tutte, è proprio come il flusso del suo gameplay si adatta a Nintendo Switch. Se la meccanica che richiedeva di passare dallo scanner allo spostamento poteva essere agile con il punta e clicca del mouse, su PC, su Switch affidarla ai tasti è quantomeno scomodo – anche se va apprezzato lo sforzo nell’integrazione dei controlli su touchscreen, comunque non sempre precisissimi.
Se, insomma, già di suo Ellery si sposta abbastanza lentamente, avere un modo poco agile per giostrarsi tra uno strumento e l’altro della sua tuta, in quanto sue IA, rende le cose più macchinose di quanto dovrebbero e potrebbero essere. La questione non si accentua particolarmente quando si avanza verso la giusta direzione, ma rischia di scoraggiare quando, ad esempio, si intravede una biforcazione dove si potrebbe scoprire qualche nuova specie da analizzare e magari da campionare – e verso la quale si rischia di rinunciare ad andare perché si pensa a quanto tempo ci vorrà per spostarsi di punto in punto e tornare indietro.
A questo proposito, lato design, sarebbe stato anche importante rendere il gioco meno dispersivo nella sua impostazione – perché vi capiterà, spesso, di non essere sulla strada giusta, o semplicemente di non aver immediatamente compreso cosa fare, con il risultato che ci vorrà un bel po’ a vagare fino all’area a cui dovevate dedicare le vostre attenzioni fin dall’inizio. Parlavamo di ingenuità di design ed essenzialmente di questo si tratta, perché sarebbero bastate indicazioni appena più precise, in alcuni casi, o la possibilità di velocizzare lo spostamento di Ellery, per rendere l’esperienza sì rilassante, ma non eccessivamente flemmatica come di tanto in tanto è.
Anche l’occhio vuole la sua parte
Realizzare un intero videogioco che passi per l’interfaccia di un’intelligenza artificiale che si accompagna alla protagonista è di sicuro un’idea peculiare – che è stata realizzata con scelte stilistiche che lo sono altrettanto. La palette di colori dal fortissimo contrasto, a tratti complementari, scelta dagli sviluppatori di In Other Waters conferisce al mondo che visitate un aspetto davvero alieno, completamento fuori dall’ordinario, e la realizzazione sprizza originalità da ogni singolo respiro.
Di contro, anche in questo caso, ci sono però delle cose migliorabili. A fronte di un’interfaccia unica e molto ispirata, troviamo degli inciampi nell’andare a metterci mano in quanto approccio all’interattività: l’impostazione dei menù nell’interfaccia è tutt’altro che intuitiva e se in alcuni momenti la difficoltà non è capire come superare l’ostacolo, ma destreggiarsi tra icone molto piccole (e molto simili) per ricordare quale strumento faccia quello che vi serve, significa che si poteva fare qualcosa di più, curando un po’ meglio questi dettagli.
Considerando poi che l’unica interazione possibile tra voi e la vostra umana passa per le frasi che quest’ultima pronuncerà, rivolgendosi a voi con domande a cui potete rispondere affermativamente o negativament, o per descrivervi/analizzare quanto state vedendo, era legittimo aspettarsi uno sforzo in più per le dimensioni dei testi nell’interfaccia di gioco. Scritto in un inglese che potrebbe spaventare i meno agili (le descrizioni sono molto dettagliate), il gioco si propone con testi davvero molto piccoli (generalmente in giallo su verde acqua) e che, oltretutto, vanno avanti da soli dopo che sono trascorsi alcuni secondi. Una soluzione che non crea problemi in modalità TV, ma che vi farà andare insieme gli occhi dopo un po’ in modalità portatile.
Il genio di In Other Waters
Nonostante si conceda il lusso di un gameplay estremamente basilare e quello di un’interfaccia unica, affascinante ma a tratti ostile, c’è qualcosa che In Other Waters fa in modo davvero apprezzabile e intelligente – e quella cosa è stimolare la vostra immaginazione.
Di fronte alla vostra Switch, vi renderete conto che l’oceano alieno non esiste. Esistono solo linee topografiche e puntini che rappresentano creature che non potete vedere, se non nella vostra mente, basandovi sulle descrizioni minuziose di Ellery Van. In Other Waters è come un grande libro accompagnato da immagini minimali, in cui sono le descrizioni a fare in modo che le immagini si formino nella vostra mente. Potete immaginare come volete, queste profondità lontane dalla Terra, il gioco ve ne concede la piena libertà e anzi ha un approccio tale da invogliarvi a farlo.
Dopotutto, i dettagli non mancano: tra gole, correnti impetuose, creature che sembrano richiamare luminosi celenterati, il team Jump Over the Age ha creato un universo ricchissimo e vibrante, in cui a ogni singolo essere vivente si affianca una descrizione dettagliata – proprio come succede quando vi immergete in un fantasy di un grande autore che ha messo cura nella realizzazione di ogni singolo dettaglio del suo universo.
Ad aprire un ulteriore mandata nella serratura dell’escapismo è anche il comparto sonoro del gioco, di grandissima qualità e capace sempre di evocare un’atmosfera adatta alla situazione, anche in base alle scoperte che state facendo nel corso del vostro viaggio.
Menzione d’onore, senza voler fare spoiler, anche per la scrittura del gioco, che pur con i suoi ritmi e andando al di là della pura costruzione dell’universo ludico, nelle sue circa quattro-cinque ore riesce a parlare degli oceani di mondi lontani, immaginari, remoti, inaccessibili – per lasciarci a riflettere di quelli che sono invece vicini, reali, prossimi, accessibili, e che proprio per questo sono costretti a subire le angherie di una belligerante specie bipede che si è autoproclamata al di sopra delle altre.
+ Stimola l'immaginazione, è come leggere un libro
+ Comparto sonoro di grande atmosfera
- Si poteva fare meglio nelle meccaniche di esplorazione
- Testi microscopici in modalità portatile
7.0
In Other Waters è un videogioco estremamente di personalità. Lo dimostra sovvertendo l’ordine delle cose e relegando il giocatore umano a diventare IA a supporto di un umano immaginario, lo dimostra puntando su un gameplay minimale (a dir poco) che investe tutto sul raccontare e il descrivere un universo che assume forma soprattutto nella nostra mente; lo dimostra con un’interfaccia che punta sull’unicità, a costo di sacrificare molto nel lato della user experience, con la godibilità dell’interazione che si ritrova a tratti immolata sull’altare di una visione d’insieme che però funziona.
L’atmosfera di In Other Waters è unica, la sensazione di stare giocando a un libro fatto di testi descrittivi che delineano forme altrimenti anonime e puntini che si agitano è costante, così come quel vago senso di smarrimento instillato dal dubbio sulla direzione da prendere, da quello in merito a come muoversi su Nintendo Switch, da quello legato alla lentezza dietro ogni singolo gesto, non sempre riconducibile alla cifra stilistica. Il quadro globale è così quello di un videogioco coraggioso che fa le cose a modo suo e ha qualcosa da dire, anche se poteva limare dei peccati originali grossolani.
Voto Recensione di In Other Waters - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Universo di gioco ricchissimo
-
Stimola l'immaginazione, è come leggere un libro
-
Comparto sonoro di grande atmosfera
Contro
-
Non ideale da giocare su Switch
-
Si poteva fare meglio nelle meccaniche di esplorazione
-
Testi microscopici in modalità portatile
Commento
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