Nonostante la giovane età del medium videoludico, ci sono giochi che sono passati alla storia per le più svariate ragioni, dal comparto tecnico al gameplay, passando per la trama o, semplicemente, per la somma delle parti.
Ikaruga, sparatutto verticale sviluppato da Treasure nel 2001 e distribuito in sala giochi su cabinati Naomi di Sega, è uno di questi: sarà per l’idea di base, che lo distingue ancora oggi da centinaia di congeneri, sarà per il bilanciamento della difficoltà, sarà per quella natura un po’ underground che condivide con gli altri prodotti della software house nipponica, ma questo è uno di quei giochi che sono stati tramandati ai posteri con le stigmate del capolavoro.
L’inatteso (ma quantomai gradito) sbarco su Switch ci ha procurato un’eccitazione ai limiti del sessuale, e dopo averci passato qualche notte di fuoco siamo pronti a raccontarvi perché dovete farlo vostro.
Genesi di un capolavoro
Invece del polpettone fantascientifico che dovrebbe fare da sfondo alle vicende, e che mette il giocatore nei panni di Shinra, unico sopravvissuto della resistenza che si oppone al cattivone di turno, tale Horai, ci soffermeremo per qualche riga a fornire cenni storici sulla creazione del gioco e sul suo destino, assai meno glorioso di quanto la sua qualità intrinseca avrebbe meritato.
Nato quasi come progetto secondario, versione rimaneggiata del precedente (e altrettanto eccellente) Radiant Silvergun, per Ikaruga il team di sviluppo prese spunto dall’idea alla base di Silhouette Mirage, altro prodotto interno pubblicato su Playstation, che constava di nemici dalla polarità differente.
Il grande successo, (più di critica che di pubblico, purtroppo) di Alien Soldier e Gunstar Heroes, usciti tra il 1995 ed il 1996 rispettivamente su Mega Drive e Saturn, sembrava essere un chiaro segnale della direzione intrapresa dal mercato, che sembrava più propenso ad accogliere degli sparatutto in stile Contra piuttosto che i classici shoot’em up spaziali che andavano tanto di moda qualche anno prima.
Ed è per questo che il team di sviluppo (composto da soli tre membri), come rivelato in numerose interviste successive al lancio da Hiroshi Iuchi in persona, lavorò ad Ikaruga quasi con spensieratezza, senza eccessive aspettative e con lo spirito di chi si sta dedicando ad uno spin off sui generis piuttosto che ad uno dei lavori più importanti della sua carriera.
Il risultato, nondimeno, fu straordinario: nelle sale giochi giapponesi Ikaruga si diffuse come l’influenza spagnola nel secolo scorso, generando un seguito di fan incredibile che portò alla naturale conversione per Dreamcast.
Naturale perché l’hardware alla base della sfortunata console Sega era una diretta emanazione della scheda Naomi, e perché i giapponesi hanno sempre adorato prodotti dalla difficoltà punitiva: nella sua forma più pura, senza selezionare livelli di difficoltà aggiunti in seguito, il prodotto Treasure era (e lo è oggi ancora di più, dopo un decennio di giochi che quasi si completano da soli) uno dei videogiochi più difficili mai realizzati.
Dalla storia alle bestemmie
L’idea cui facevamo riferimento in apertura di recensione è tanto semplice quanto geniale, oggi come allora: i nemici e i loro colpi, esattamente come la nostra aeronave, possono essere di due colori (bianco e nero, manco a dirlo) e, come in un diabolico circuito elettrico, gli opposti si danneggiano mentre i simili si annullano.
In altre parole, quando la nostra nave è bianca è in grado di assorbire i proiettili del medesimo colore senza subire alcun danno, riempiendo anzi un apposito indicatore utile a scatenare l’inferno su schermo qualche istante dopo.
I colpi bianchi infliggono danno alle navi nere e viceversa, e, considerando che tramite la tempestiva pressione di un singolo tasto è possibile cambiare la polarità della nostra nave, ecco che, aldilà delle consuete, frenetiche dinamiche da bullet hell, Ikaruga aggiunge uno strato di strategia mica male, che richiede velocità di pensiero oltre che di dita.
Tutto qui. Davvero.
Ci rendiamo conto che nell’anno domini 2018 questa idea possa sembrare assai meno rivoluzionaria di quanto non fosse diciassette anni or sono, ma bastano dieci minuti pad alla mano per rendersi conto di quanto bene sia invecchiato lo sparatutto Treasure e, nel caso siate abbastanza “vecchi” da averlo giocato ai tempi della sua prima uscita (che in Europa avvenne due anni dopo su GameCube), per far scorrere potenti brividi, e altrettanto potenti improperi, già a partire dal primo dei cinque livelli disponibili.
Al livello di difficoltà standard, che poi è anche l’unico che consente l’accesso alle leaderboard online, abbiamo impiegato tantissimi tentativi anche solo per raggiungere il terzo livello, e, al momento di scrivere questa recensione, pur avendo completato il titolo ad un livello di difficoltà inferiore, non siamo ancora riusciti a fare altrettanto alla difficoltà originale, a causa della sfida ai limiti delle possibilità umane offerta dal maledettissimo quinto stage.
Proprio come allora, insomma, come se il tempo si fosse fermato.
Ma, badate bene, non è la nostalgia a scrivere queste righe in vece nostra, perché pochi titoli nel genere hanno raggiunto, anche a distanza di quasi vent’anni, la pulizia, la precisione e la bastardaggine di Ikaruga, che rimane uno dei tre migliori sparatutto di tutti i tempi, se non il migliore in assoluto.
Inanellare catene di tre o più nemici della stessa polarità è una sfida nella sfida, per completare la quale perderete innumerevoli vite (nonché la possibilità di entrare in paradiso una volta trapassati),; nel contempo, i più stoici potranno ancora giocare sulla difensiva, facendosi scudo dei colpi nemici quasi all’infinito così da lasciar sbrogliare le situazioni più ingarbugliate ai raggi a ricerca del colpo speciale: nonostante la semplicità della struttura di gioco, gli approcci possibili sono innumerevoli e, proprio come i prodotti di un certo Hidetaka Miyazaki, ogni sconfitta spingerà a riprovare più furiosamente e con maggiore concentrazione di prima.
Per non parlare della modalità Prototype, pomo della discordia tra membri del team di sviluppo, e infine inclusa in questa versione Switch: attivandola, i proiettili della nostra astronave non sono illimitati, e l’unico modo per non rimanere inermi dinanzi alle orde nemiche è assorbire i colpi nemici, padroneggiando al meglio il cambio di polarità.
Buona fortuna.
Switch uber alles
Con il senno di poi, Switch era sin dal suo annuncio la piattaforma perfetta per ospitare il capolavoro Treasure, per sua stessa natura: mai la modalità TATE, cioè quella che consente di ruotare lo schermo di novanta gradi per ricreare il feeling del cabinato originale, era stata così a suo agio perché mai era stata riprodotta su una macchina portatile, capace di essere spostata con grande semplicità.
Con lo scrolling verticale ripristinato, e magari con un amico che impugna il secondo Joy Con per dare vita a doppi sanguinosissimi, Ikaruga splende in tutta la sua bellezza, guadagnandosi il titolo di arcade perfect.
Se a questo si aggiungono una serie di miglioramenti della cosiddetta quality of life, che spaziano dalla possibilità di abbassare la difficoltà a quella di avere continue infiniti (al prezzo delle leaderboard, lo ricordiamo), passando per la modifica delle dimensioni del font e del posizionamento e della grandezza dell’hud, ecco che siamo dinanzi alla migliore versione possibile di uno dei migliori titoli di genere di sempre.
Nonostante la relativa brevità, il prezzo di lancio di poco inferiore a quindici euro ci sembra assolutamente proporzionato dalla qualità dell’offerta ludica: non fate i tirchi e dategli una possibilità.
Vi assicuriamo che non ve ne pentirete, a differenza dei vostri vicini di casa.
Uno dei tre migliori shooter di sempre
Ancora una partita e poi smetto
Modalità TATE in tutto il suo splendore
Arcade Perfect
Livello di difficoltà bastardo
Potrebbe causare scomuniche
La pubblicazione di Ikaruga nella sua migliore versione arricchisce enormemente tanto la libreria di Switch quanto l’intera scena videoludica europea, che si era dovuta fin qui accontentare di due soli precedenti uscite, su GameCube e Xbox Live Arcade, entrambe fisicamente inadatte a replicare le emozioni della modalità TATE.
Pochi giochi sfruttano altrettanto bene la natura ibrida di Switch, dalla facilità di ruotare lo schermo a quella di ospitare un amico nella propria partita, così da farsi aiutare a sopravvivere tra le orde di proiettili che quei geniacci della Treasure ci mandano contro da inizio secolo.
Un acquisto assolutamente imprescindibile per tutti gli amanti delle sale giochi e degli sparatutto, ma estenderemmo l’obbligo anche a tutti i possessori di Switch (tranne che ai giovanissimi, per l’elevato livello di difficoltà) perché la qualità complessiva del prodotto e della conversione non meritano nulla di meno.