Attenzione: questo articolo include piccoli spoiler da Life is Strange: True Colors. Vi raccomandiamo di non proseguire con la lettura se non avete completato il gioco.
All’interno di Life is Strange True Colors (qui trovate la recensione a cura del sottoscritto) c’è una sequenza che mi ha ricordato Spider-Man: Far From Home, il penultimo film dell’Arrampicamuri dei Marvel Studios. Che c’entra con i videogiochi? Un attimo, ci arriviamo.
Ovviamente: SPOILER! Del film e anche dell’ultimo Life is Strange quindi, insomma, siete avvertiti.
Quando si scopre la natura dei poteri del Mysterio interpretato da Jake Gyllenhaal, ben lontani dalla magia e dall’illusionismo, sostanzialmente stiamo vedendo un blockbuster che ti insegna come si fanno gli effetti speciali nei blockbuster.
Mysterio usa un sistema di droni che, utilizzando un’avanzatissima (quasi fantascientifica) struttura di motion capture, proiettano una vera e propria illusione nel mondo reale. Così avanzata che è diventa indistinguibile dalla realtà. La stessa cosa che succede al cinema, con gli effetti speciali che dipingono un mondo totalmente fittizio di fronte a noi. Il lavoro che fa Mysterio nel film è lo stesso che fanno i CGI artist quando creano dal nulla le sequenze più pirotecniche.
Nell’ultimo episodio di Life is Strange succede una cosa simile, con dinamiche ovviamente diverse. Nel corso del terzo capitolo viene spiegato come si fanno i videogiochi, in particolare il sistema di scelte di un gioco di ruolo.
Il capitolo verte tutto intorno al gioco di ruolo dal vivo (il larp, live action role-playing game) che Steph ha organizzato con una parte della comunità di Haven Springs. Per risollevare l’umore del povero Ethan la ragazza ha imbastito uno scenario larp, a tema fantasy molto classico, per far divertire il ragazzino e tutti i partecipanti.
Nel capitolo precedente, quando questa idea viene accennata, se con Alex decidiamo di curiosare tra gli effetti personali di Steph possiamo sbirciare nel quaderno degli appunti. La GM (Game Master) sta infatti buttando giù le sue idee su come imbastire la partita e, oltre ad essere tutto molto credibile dal punto di vista gidierristico (ve lo dico per esperienza), stiamo di fatto vedendo la versione basilare del procedimento che porta gli sviluppatori a costruire la progressione degli eventi in un gioco di ruolo.
Life is Strange True Colors sta raccontando ai videogiocatori come si fanno i videogiochi, e lo fa attraverso la fiction del videogioco stesso.
In particolare vediamo il sistema di quest, ottenimento oggetti, e il diagramma di flusso che serve per strutturare l’avanzamento di un’avventura. Se hai l’oggetto X puoi andare da Tizio che ti permetterà di fare questa cosa, se collezioni X monete potrai corrompere il troll invece che combatterlo, se trovi la campanella puoi addormentare il serpente che non ti morderà, e così via.
Interazioni semplici, perché semplice è il contesto in cui i personaggi stanno giocando. È un larp, fatto con mezzi di fortuna (divertentissimo l’espediente di Ryan con i cappelli da mostro) e non The Witcher 3: Wild Hunt, ma tanto basta al giocatore più attento per dare una sbirciata dietro le quinte e capire cosa succede in videogiochi di un certo tipo.
Il che diventa ancora più diegetico quando, alla fine della sezione, Alex entra in sintonia con la gioia di Ethan e tutto il mondo diventa un JRPG, con tanto di interfacce a tema Final Fantasy vecchia scuola e costumi di tutto punto. Anche la protagonista vede ciò che il ragazzo immagina, ed è ciò che nel gdr da tavolo succede nell’immaginazione condivisa – e pad alla mano quando un videogioco è finito e passa dall’essere una manciata di fogli e poligoni ad un prodotto completo.
È un peccato che, al di fuori dei corsi professionali, non ci sia modo di sbriciare più spesso in cabina di regia.
Per esempio è stato molto interessante quando, qualche anno fa, gli sviluppatori si sono messi a discutere su Twitter di tutti i trucchetti che usano all’interno dei loro prodotti per giocare con la percezione del giocatore. Si sono scoperte delle cose molto interessanti che, a volte, hanno valorizzato ulteriormente il lavoro degli sviluppatori e dato lustro ad alcuni videogiochi e scelte di design.
In Assassin’s Creed e DOOM le ultime porzioni dell’energia vitale hanno un peso più alto in percentuale, e in Bioshock il personaggio guadagna 1-2 secondi di invulnerabilità alla fine della vita, cosicché il giocatore senta di essere sopravvissuto per un pelo in più occasioni.
Sempre in Bioshock, il primo colpo sparato al giocatore lo manca sempre, così da non generare momenti di frustrazione e dare il tempo di reagire.
In Firewatch, non rispondere ad un dialogo equivale ad un’azione, così da dare un peso all’atto di ignorare il dialogo, come nella realtà.
In Alien: Isolation lo xenomorfo ha due cervelli, due IA distinte che controllano il corpo e la capacità di scovare il giocatore, ecco perché è così asfissiante.
In Uncharted, e in molti titoli action dove ci sono dinamiche di shooting, gli ultimi colpi del caricatore infliggono sempre più danni, così che si possa verificare la classica situazione da “ce l’ho fatta con l’ultimo colpo” quando si dà il colpo di grazia ad un nemico.
Queste sono cose che i giocatori dovrebbero sapere non tanto per rovinare la magia, o rompere le dinamiche di gameplay, ma per apprezzare a pieno il lavoro fatto dai designer.
Quanto è più rinfrescante giocare ai videogiochi dopo The Stanley Parable? Il titolo che ha giocato con la percezione del giocatore fin dal primo secondo, e contemporaneamente gli ha insegnato che la libertà nei videogiochi non esiste. Anche il più libero degli open world è confinato dalle scelte previste dallo sviluppatore.
In primis, dopo The Stanley Parable, ci si toglie di dosso quella convinzione di voler trovare a tutti i costi il gioco più libero di tutti: perché non esiste.
E invece quanto è bello rendersi conto, nonostante ciò, quanto sia efficace un titolo come The Legend of Zelda: Breath of the Wild? Efficace nel fornirti un mondo sconfinato ma limitato, aperto ed ovviamente chiuso, ma dove il giocatore cede completamente alla sospensione dell’incredulità e si dimentica di essere dentro ad una gigantesca scatola dei giochi.
Aver provato The Stanley Parable, che racconta solo in seconda battuta come funzionano i videogiochi e non direttamente, fa sì che proprio da quei limiti apparentemente sfiancanti possa nascere una nuova consapevolezza per il giocatore.
Oltre a dare la possibilità di crearne di propri, con prodotti come Dreams, Super Mario Maker 2 o Laboratorio di Videogiochi, credo che i videogiocatori abbiano bisogno di poter buttare un occhio dietro lo schermo, ogni tanto.
Senza arrivare a sviscerare sempre ogni dettaglio di ogni produzione videoludica, che romperebbe la magia e soprattutto darebbe in pasto dei segreti aziendali a tutti quanti, i videogiocatori devono sapere come funzionano i videogiochi. Che lo si faccia con espedienti come quelli di Life is Strange True Colors, oppure con iniziative analoghe magari extra-videogioco.
Avere la consapevolezza di cosa c’è dietro ad alcune scelte di un prodotto come Death Stranding Director’s Cut serve ad approcciarsi con più cura ad esso.
Aiuterebbe anche a far crescere il pubblico medio. Quello che è pronto ad additare gli sviluppatori per ogni singolo errore, che si lancia in analisi che crede argute ma che in realtà sono frutto solamente della propria faziosità. Sapere come funziona una cosa è il miglior modo per accrescere la propria sensibilità nei confronti di essa, e spero che sempre più videogiochi ci diano la possibilità di farlo.
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