Spesso la bomba che fa più danni è quella che quando esplode non fa alcun rumore. In un settore come quello videoludico questa massima è amplificata cento volte. Il 24 settembre 2001 infatti, un team senza nome nel cuore oscuro della Sony proponeva un videogioco che davvero era diverso: ICO, un nome che ancora oggi smuove qualcosa a chiunque sia passato per PlayStation 2.
Venti anni ci separano da quel momento, e l’unico modo per capire come mai ICO ci abbia rapito il cuore e non ce l’abbia più restituito è tornare al suo castello nella nebbia.
Avanti dunque, verso l’ignoto!
ICO: una prigionia dolorosa
Degli uomini portano un dodicenne chiamato Ico verso un castello nella nebbia, dove lo imprigionano in un sarcofago di pietra. Per il loro villaggio infatti Ico è pericoloso perché nato con un paio di corna in testa, simbolo di una maledizione antica di cui ormai è rimasta solo poca magia arcana e molta paura per la disobbedienza. Tanto che pure i carcerieri sono costernati dalle loro gesta, chiedendo scusa al ragazzo per ciò cui lo stanno condannando.
Ma il cerchio si spezza quando il muro crolla e Ico si libera; presto troverà una ragazza, Yorda, imprigionata come lui: i due giovani dovranno collaborare per fuggire.
Il loro viaggio per il castello, intensissimo nella sua brevità, è fatto di enigmi ambientali che sfiorano il puzzle-game, dove bisogna portare sia Ico che Yorda verso la porta successiva che lei aprirà grazie alla sua bianca e inspiegata energia magica.
Tali sono le basi di un videogioco stupefacente nella sua natura riservata e intima, un simbolico invito a sedersi sul divano e ad ascoltare il silenzio. Così ICO vince la sua piccola storia, mettendo alla base il “meno è più” e insegnando al giocatore che si avanza non per prevaricazione ma per pensiero laterale.
Agli enigmi si alternano poi brevi sezioni di combattimento dove allontanare le misteriose ombre che vogliono portarsi via Yorda. Momenti in realtà non molto approfonditi, messi lì più che altro come contentino o riposo mentale dai rompicapi.
La cosa che le rende meritevoli di menzione è la loro caratterizzazione: creature di buio che nei loro movimenti scoordinati e ingenuamente ostili suggeriscono altre dolorose storie mai raccontate di ragazzini sacrificati alla superstizione.
Una narrativa suggerita, fatta di inferenze
All'inizio era poco chiaro, ma se c’è una cosa che il passare del tempo ci ha insegnato è come ICO si avvicini alla tavola imbandita della fiaba, sorrida e la mandi all’aria, prendendone poi al volo i piatti; il tutto nel più assoluto silenzio.
Dove il castello si trasforma da reggia a prigione sacrificale, il protagonista non è eroe ma un fuggitivo, e la principessa assume i tratti di una figlia ribelle. L’inclusione della Regina delle Ombre, nel suo ruolo abbastanza canonico della “strega cattiva”, pare in qualche modo l’unico scoglio di riconoscibilità.
Nessun inganno: la Regina delle Ombre, da quel poco che il gioco ci dice, è proprio quel personaggio malvagio cui i giocatori si aggrappano per evitare il totale spaesamento narrativo.
Un'antagonista che vuole usare il corpo della figlia per rimanere giovane: se da un punto di vista semantico è di nuovo il dualismo buio-luce (il primo si nutre della seconda), l’idea della preservazione della bellezza è aperto a più interpretazioni. Può essere la vanità appaiata all’incapacità di accettare la vecchiaia (come Biancaneve con Grimilde) oppure la perversione delle vecchie generazioni che sacrificano la prole pur di prolungare il proprio potere.
Nella comunità di fan ha poi preso piede un’altra teoria, diffusasi dopo la conferma che Shadow of the Colossus era l’antefatto di ICO. La Regina delle Ombre potrebbe essere in qualche modo correlata al Dormin dell’avventura di Wander, ai tempi identificato con la figura biblica di Nimrod. In questo senso la Regina sarebbe la rappresentazione di Semiramide, regina assiro-babilonese dal profilo controverso.
La prima di color di cui novelletu vuo' saper", mi disse quelli allotta,"fu imperadrice di molte favelle.A vizio di lussuria fu sì rotta,che libito fé licito in sua legge,per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell’è Semiramìs, di cui si leggeche succedette a Nino e fu sua sposa:tenne la terra che ’l Soldan corregge.(Inferno Canto V, vv. 52-60)
Chi la descrive come una grande sovrana si alterna a chi l’accusa di manipolazione e rapporti incestuosi. Quest’ultimo aspetto è quello che è passato nel Medioevo, tanto che appunto Dante la nomina nella Divina Commedia, collocandola nel girone dei lussuriosi.
Il massimo poeta fiorentino si premura di dire che si fosse talmente spinta in avanti nelle perversioni che per togliersi il biasimo arrivò a legalizzarle. Appare chiaro che le allusioni con la Regina sono molteplici, ma il bello di queste teorie è che saranno sempre attuali proprio per il fatto che non saranno mai confermate.
La curiosa storia editoriale di ICO
In realtà è curioso come molte delle informazioni narrative, specialmente il background di Yorda, siano state scoperte solo per i differenti tempi di consegna. Nel 2001, internet e la distribuzione amatoriale erano ancora poco sviluppati, pertanto era abbastanza comune che un videogioco uscisse prima in alcuni Paesi (di solito quelli di origine) e dopo in altri.
ICO ai tempi andò contro anche a questa usanza, uscendo prima in Nord America e dopo in Giappone ed Europa. Tanto che ai tempi vennero pubblicate interviste in cui si dichiarava:
“Gli statunitensi sono fortunati, perché hanno potuto giocare ICO per primi; ma giapponesi ed europei sono ancora più fortunati, perché potranno giocare la versione completa.”
La versione di ICO distribuita in Nord America era in effetti mancante di molte caratteristiche che invece abbiamo visto in Europa. Tra queste, oltre a qualche enigma ridisegnato, c’era il fatto che alla seconda partita i dialoghi di Yorda e della Regina fossero tradotti.
Inoltre Giappone ed Europa ebbero una copertina disegnata dallo stesso regista Fumito Ueda, che prese a modello il quadro di Giorgio De Chirico “Nostalgia dell’Infinito”. Negli USA il gioco ebbe un'immagine di piglio fumettistico, che molti additarono tra le ragioni dell’insuccesso commerciale cui il gioco andò incontro negli Stati Uniti.
Yorda: responsabilità o problema?
Ed ecco qui l’altra metà dello specchio: Yorda, la longilinea e spettrale ragazza che Ico prima libera e poi si porta dietro nella fuga. Un personaggio misterioso e affascinante, uno spirito solido di un bianco così scintillante (in latino è albus) che si ha la sensazione che potrebbe svanire da un momento all’altro.
Un essere il cui mistero diviene ancora più enorme nella sua capacità di comunicare solo con glifi incomprensibili, almeno alla prima partita.
Una figura che nella sua immobilità è però in grado di aprire magicamente i portali tribali che separano le macro-sezioni del castello. Un potere che nel 2001 per la prima volta abbatteva lo stesso game design, affacciandosi verso una complementarietà di genere.
Ico appartiene allo spettro “maschile” nel suo ingegno razionale per sgombrare il percorso; una razionalità che appunto non basta e ha bisogno del “cuore”, rappresentato dai poteri irrazionali (stereotipicamente femminili) di Yorda.
Anche Yorda, sebbene in un certo senso oggetto di valore e classica figura femminile da salvare, si contraddistingue invece per la sua immobilità. L’assenza di passato, la ritrosia a spostamenti autonomi, l’emblematica trasformazione in pietra: tutti elementi che contraddicono la normale funzione dell’oggetto di valore, che solitamente si sposta di mano in mano, organizzandosi come centro dinamico della narrazione.(Enzo D’Armenio, Analisi Semiotica del Testo Videoludico, pp.16-17; potete leggere il paper completo qui)
D’altro canto, se la sua complementarietà con il protagonista non è mai stata in discussione, probabilmente oggi ben pochi vedrebbero Yorda come un personaggio emancipatorio.
Anzi, contrariamente a quello che pensava D’Armenio, molti in quest’epoca potrebbero ipotizzare che quello che vediamo nel gioco sia solo un suo “passaggio di consegne”, da una madre carceriera a una dipendenza operativa nei confronti di una figura maschile.
A queste speculazioni scomode si risponde con il fatto che Ico ha bisogno di Yorda esattamente come Yorda ha bisogno di Ico, e la necessità di proteggerla e di non lasciarla sola troppo a lungo si sublima in quello che ai tempi tutti sperimentarono ma nessuno teorizzò: il senso di responsabilità.
Nella stretta di mano, oltre a esplicitarsi il forte legame da loro provato, ci sono l'importanza dell’altra persona e la benigna maledizione dell’esserci.
L’ombra lunga del ragazzo con le corna
Ormai ci è ovvio quanto ICO riesca a raccontare con pochi gesti e parole. Tuttavia dobbiamo andare oltre questa sua straordinarietà per parlare dell’altro fattore che l’ha consacrato: la costruzione topografica. Il castello nella nebbia, insieme prigione e rompicapo, è sì un’ambientazione funzionale che con discrezione si colora di fantasy, ma è anche il primo esempio mainstream di luogo videoludico topograficamente corretto.
La sua architettura è stata così verosimile da imprimersi praticamente a fuoco nell’industria, diventando fonte di ispirazione per molti suoi creativi di oggi.
Patrice Désilets (padre di Assassin’s Creed) ha detto di essersi ispirato ad ICO per il palazzo di Azad nel suo Prince of Persia Le Sabbie del Tempo; Peter Molyneux, creatore di Fable, nel 2010 ha ammesso che se avesse creato lui ICO potrebbe morire felice.
E infine Hidetaka Miyazaki, il creatore del genere Souls, grazie a ICO ha capito le possibilità del medium. Nel suo caso, l’influenza di ICO è evidente nella verosimiglianza architettonica e nella costruzione certosina nella Lordran di Dark Souls e, prima di lei, nel Castello di Boletaria di Demon’s Souls.
Conclusione: ICO, una poesia videoludica
Secondo fonti enciclopediche, una delle definizioni per la poesia è “Il carattere di opere o parti di opere ritenute particolarmente ispirate e suggestive […] per cui è giudicata e sentita «poesia» la capacità di esprimere forti sentimenti, di suscitare emozioni, associazioni di immagini, di innalzarsi sui valori correnti per forza creativa e profondità di concetti”. Per questo quello della poesia è un mestiere ben più difficile della prosa, che invece può usare tutte le parole che vuole, anche quelle inutili.
Ancor prima che videogioco d’autore, ICO è una poesia perché appunto riesce a racchiudere in pochi gesti (gameplay) e parole (dialoghi e narrazione per immagini) molteplici strati e possibilità narrative, emozionali, metaforiche e inferenziali.
Nel 2001, la videoludica iniziava il suo percorso verso la maturità: un cammino difficile e ancora non concluso. Ma se l’ha intrapreso lo dobbiamo anche a quel ragazzino con le corna che venti anni fa si muoveva ciabattando dentro all’inquietante silenzio di un castello nella nebbia.
Se volete l'esempio più recente della poetica di Fumito Ueda, non potete lasciarvi sfuggire The Last Guardian!