Horizon: Forbidden West | Recensione - Per un mondo in cui valga la pena vivere
Horizon: Forbidden West è un open world che si ricorda dell'importanza di un mondo credibile e della traversata: per questo, rappresenta la maturazione di tutto quello che di bello fece Zero Dawn.
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a cura di Stefania Sperandio
Editor-in-chief
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Guerrilla Games
- Produttore: Sony Interactive Entertainment
- Distributore: Sony
- Piattaforme: PS4 , PS5 , PC
- Generi: Avventura , Action Adventure
- Data di uscita: 18 febbraio 2022 - 21 marzo 2024 (PC)
«C'è un mondo intero oltre i vostri confini. Ci sono altre tribù di gente buona quanto voi. E sono tutte in pericolo. È un mondo per cui combattere. Non solo qui: ovunque».
Lo diceva con straordinaria convinzione, Aloy, in un passaggio di Horizon: Zero Dawn. L'eroina di Guerrilla Games, vestita dal destino dei panni della salvatrice, lo gridava con la voce rotta dal peso del mondo sulle sue spalle: c'è un pianeta intero che merita di essere salvato. Un mondo al di là dei confini, al di là delle convinzioni delle singole tribù che si guardano di sottecchi l'un l'altra: tra le differenze che separano ogni popolo da un altro, c'è un filo comune che è il pianeta in cui abitano. L'unico che possa ospitare la vita così come la conosciamo.
Per salvarlo e perseguire la sua missione, l'ormai iconica guerriera di casa Sony Interactive Entertainment si spingerà verso l'Ovest Proibito in Horizon: Forbidden West: un viaggio che la metterà a tu per tu con nuove insidie, nuove culture e soprattutto con nuove verità. E un viaggio che i videogiocatori terranno caro nel cuore, perché rappresenta il miglioramento di ogni singolo aspetto visto e apprezzato nell'episodio originale.
Un sequel in tutto e per tutto
Horizon: Forbidden West è un sequel nel senso più tradizionale del termine. Non faremo nessuno spoiler in questa recensione, ma il gioco riprende esattamente dall'epilogo di Horizon: Zero Dawn, rappresentando una sorta di Horizon - Part II. Considerando che più volte si è rumoreggiato di una saga concepita su tre episodi, si tratta di un'idea ben espressa dallo stretto collegamento tra il primo e il secondo capitolo.
Giocare Forbidden West senza aver giocato Zero Dawn, allora, potrebbe essere complicato per chi punta a godersi anche la sceneggiatura. Per fortuna, al di là del nostro video riassunto, il gioco inizia proprio con un riepilogo di quanto accaduto prima e, già nel prologo, rimette in piedi tutti i collegamenti chiave che legano Aloy alle vicende del primo titolo. Quelle, soprattutto, che la legano in qualche modo ai Predecessori, gli umani dei nostri anni, che nella sua epoca sono andati malamente incontro all'estinzione.
Il fatto che il gioco sia un sequel a tutto tondo si riflette non solo nella continuità scrittoria e nell'evoluzione dei personaggi, ma anche e soprattutto nell'identità espressa dal gameplay. Horizon: Forbidden West riprende tutto quello che faceva Zero Dawn e lo amplia, lo apre, lo estende, lo stratifica e approfondisce. Porta con sé ancora alcuni peccati originali, di cui parleremo ora più approfonditamente, ma rappresenta una summa più matura di quello che nel gioco precedente potrebbe ora essere considerato un embrione di un'idea di gioco.
Se tornassi, e perdonatemi la prima persona, a giocare ora Zero Dawn, lo troverei spoglio e abbozzato, rispetto al suo seguito.
Un mondo per cui combattere, anche nell'Ovest Proibito
Il viaggio di Aloy nell'Ovest Proibito, in lande che si estendono dagli Stati Uniti più centrali fino alle Las Vegas e San Francisco dei giorni nostri, la porta a misurarsi con realtà completamente diverse da quelle che ha conosciuto crescendo da emarginata dei Nora. Le nuove tribù sono caratterizzate in modo splendido, riconoscibile e credibile. I popoli di cui incrocerete il cammino hanno le loro convinzioni, i loro costumi, e non scambiereste mai e poi mai un Utaru con un Tenakth.
Confrontandosi con tutti, con i loro stili di vita e le loro convinzioni, Aloy mostra una splendida maturazione come personaggio. L'eroina di Horizon rimane umana, a tratti ha bisogno di fermarsi a respirare, ma è un'incarnazione di determinazione invocata da un compito troppo più grande di una singola persona. Questo, non le vieta di confidarsi con gli amici che la accompagneranno nel suo viaggio, di imparare ad aprirsi e ad ammettere le sue vulnerabilità, perché laddove non arrivi da sola, devi imparare ad accettare le mani tese.
Il risultato è quello di una protagonista che potrebbe reggere il gioco da sola e che vi rapirà, anche molto più che nel primo gioco dove buona parte del lavoro di empatizzazione e proiezione era svolto dal suo rispondere all'archetipo dell'emarginato. Carismatica, questa volta doppiata davvero bene dalla bravissima Ashly Burch (positivo anche il doppiaggio in italiano, anche se sensibilmente meno d'impatto), Aloy rapisce il giocatore e tornare a vestire i suoi panni vi richiamerà ancora, ancora e ancora verso il gioco. Vi sentirete lei, ne sarete felici e in diversi momenti vi emozionerete con lei, il suo percorso e i suoi traumi.
L'Ovest Proibito, le sue tribù ben diversificate e quello che rappresenteranno nella missione di Aloy si sposano anche a biomi di sorprendente eterogeneità, che più di una volta ci hanno fatto poggiare il controller per fermarci a guardare ammirati. Il dominio degli Utaru, ad esempio, è una meraviglia per gli occhi e la maggiore verticalità del gioco vi permette molto spesso di godervi dall'alto i paesaggi dipinti da una direzione artistica incredibilmente migliorata rispetto a quella già splendida del primo gioco.
Il world building funziona così bene che non dubiterete mai, nemmeno trovando un nuovo arco o un abito da far indossare ad Aloy, che questo si rifaccia alla tradizione Carja o a quella Tenakth: lo saprete benissimo già solo a prima vista, perché tutto ha una sua identità, ognuno ha i suoi costumi.
E la nostra eroina, che conosce ben di più di quanto queste tribù sappiano, non vi farà comunque mai sentire di dover guardare queste persone dall'alto in basso: rispetterete ogni tribù, le sue usanze e i suoi credi come se fossero i vostri, affezionandovici e anzi sentendo di dover fare ancora di più, nella storia principale, per assicurarvi che la loro vita possa continuare nel modo migliore possibile.
Una nuova storia per Aloy
Per rimanere in termini di scrittura, Guerrilla Games ha operato una manovra saggia e astuta: conscia che la parte migliore del gioco precedente non fosse il conflitto con i nemici che Aloy affrontava nell'epoca del gioco, ma la scoperta di quanto accaduto ai Predecessori, la software house olandese sposa questo approccio permettendo al giocatore di sapere ancora di più su chi è venuto prima di Aloy.
L'aggiunta di dettagli e di sfaccettature alla caduta dell'umanità così come la conosciamo vi permetterà di vedere più a fondo anche nomi noti del primo capitolo, ma soprattutto vi darà una visione d'insieme che sarebbe stata difficile da raggiungere con il solo Zero Dawn. A questo, tuttavia, si affianca ancora una volta un conflitto centrale che è sì più interessante di quello del primo gioco, ma che non riesce a decollare, scolastico e in alcuni passaggi frettoloso.
I cattivi super-cattivi cattivissimi che Aloy si trova davanti mancano completamente di grigi convincenti, proprio come accadeva nel primo gioco con l'Eclissi ed Helis, e in questo Guerrilla dimostra di aver ancora bisogno di crescere ulteriormente: è davvero brava nella costruzione di mondi e di contesti, migliorabile nel tracciare chi si metterà di traverso al cammino di Aloy e, soprattutto, nel gestire il climax della storia, che ancora una volta risulta compresso e quasi "affrettato" nei suoi capovolgimenti e nella sua risoluzione.
Al di là delle migliorie apportabili alla gestione del conflitto che anima la storia nel suo presente, però, rimane una scrittura in cui vi sentirete immersi fino al collo, che in diversi momenti ci ha rimandato agli scorci di Mass Effect 2 e della Normandy del leggendario comandante Shepard.
Il viaggio di Aloy vi prenderà, i cattivi che affronterà non saranno affatto i più memorabili che abbiate mai visto, ma tutto quello che avranno intorno, la figura della protagonista, quella di chi ha vicino e i richiami di un mondo che ha bisogno di voi per continuare a vivere vi metteranno sulle spalle un mantello di epicità che non vorrete più togliere.
Giocare Forbidden West: un mondo aperto pieno di verticalità
La grande verticalità che Guerrilla Games aveva promesso c'è, eccome. Forbidden West è un open world molto più maturo rispetto a Zero Dawn ed è andato a scuola da The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Ecco che così attivare il focus permette di vedere i punti dove è possibile arrampicarsi, evitando di trovare necessariamente un sentiero a piedi come capitava nel primo gioco.
L'arrampicata non è libera à la Assassin's Creed, ma i punti scalabili sono davvero moltissimi e danno un grande senso di libertà. I controlli sono qua e là migliorabili e vi troverete con Aloy che balza dove non volevate, ma si tratta di peccati abbastanza veniali. Il tutto funziona ancora meglio in unione all'alascudo, la paravela di Aloy, che le permette di lanciarsi dalle altezze e atterrare dolcemente.
Queste due meccaniche, da sole, rendendo la traversata molto più interessante rispetto a quella del primo gioco: vi sentirete liberi di curiosare dietro ogni dettaglio, perché saprete di poterlo raggiungere con un balzo, un'arrampicata, per poi tornare a valle senza diventare matti a ritrovare la strada.
A questo si unisce il nuovo rampino: Aloy può appendersi a sporgenze identificate dal gioco per scalare più rapidamente o per spostare oggetti, dando a Forbidden West una maggior profondità in termini di puzzle ambientali, qui davvero onnipresenti.
Infine, Aloy può nuotare in profondità e può farlo ulteriormente una volta ottenuta la maschera per respirare in immersione: alla verticalità verso l'alto si sposa quella verso il basso. Limitata dalla mancanza di combattimenti (ovvia) mentre siete sott'acqua, l'esplorazione vi permetterà di scoprire fondali meravigliosi, risorse e segreti, mettendovi addosso un certo senso di tensione quando capirete che l'unico approccio possibile ai nemici, in questo caso, è quello stealth, perché siete indifesi.
Le fasi subacquee sono interessanti ma abbastanza circoscritte lungo tutto il gioco, rappresentando una variazione rispetto allo spostarsi a piedi senza però rubare troppo la scena: una scelta che approviamo.
Tutti gli accessori che abbiamo citato si ottengono via via nella trama e questo significa che il gioco ha una sua componente metroidvania. Vi capiterà di trovare, nel mondo aperto, una strada sbarrata perché richiede questi (o altri) strumenti, con Aloy che la appunterà nella mappa per tornarci in un secondo momento, equipaggiata a dovere.
La sintesi è quindi quella di un mondo aperto che è davvero aperto ed è davvero un mondo. Le tribù vivono all'infuori di voi e, cosa da non dare mai per scontata, Guerrilla Games si è ricordata che in un open world la traversata tra un missione principale e l'altra non deve essere un tiepido collante, ma è il gioco a tutti gli effetti.
Nel suo percorso, anche in sella alle macchine per spostarsi più rapidamente, Aloy può trovare attività di ogni genere, persone da aiutare, missioni secondarie, macchine imbizzarrite di quaranta tipologie diverse, mini-giochi da affrontare, rovine antiche di cui svelare i segreti e che sembrano un po' le tombe dei recenti Tomb Raider; e ancora, collilunghi da scalare per svelare la mappa, animali da cacciare per procacciarsi risorse, mercanti erranti, rifugi in cui riposare per far passare le ore e magari attendere il ritorno della luce nel ciclo giorno/notte.
Mentre attraverserete l'Ovest Proibito, pochissime volte vi capiterà di andare dritti dal punto A al punto B come avevate pianificato, perché incontrerete nel mezzo qualcosa che attirerà la vostra attenzione. E questo è aiutato, ovviamente, anche dalla grande varietà di macchine che sono al cuore del combat system di Forbidden West.
Combattere nei panni di Aloy
C’è un elemento che contraddistingue Horizon dagli altri open world, ed è sicuramente la natura dei suoi nemici. Gli animali-macchina di questo universo sono diversi, si comportano a seconda dell’animale reale che emulano, e per questo richiedono di essere affrontati in modo diverso.
Uno Scavazanna si sfida in modo differente rispetto a un Foraterra, vi costringe a utilizzare altre armi, a muovervi in modo opportuno: è la punta più preziosa delle frecce all’arco di Forbidden West. Ancora una volta, il combattimento unico proposto da Zero Dawn viene ampliato, rivisto e approfondito in modo davvero significativo da Forbidden West.
Le macchine sono tantissime, si muovono anche in mandrie e quando attaccano in modo congiunto possono crearvi parecchi problemi, anche solo al livello di difficoltà Normale. Aloy può mirare per staccare loro delle componenti specifiche, disattivando determinati attacchi e ottenendo loot, oppure può sfruttare gli elementi e gli status in modo intelligente.
L’approccio tattico, in questo caso, è più affascinante che nel primo gioco: analizzando le macchine con il focus, è possibile scoprire debolezze e resistenze, come con la magia Scan su Final Fantasy. Questa volta possiamo anche analizzare le singole componenti della macchina, evidenziandole in caso puntiamo a staccare proprio quella e portarla via come loot. La fase di studio prima dello scontro, soprattutto con macchine di alto livello, è fondamentale e vi permetterà di sbizzarrirvi.
Colpire una componente elementale, come un serbatoio di vampa infiammabile, con una freccia di elemento fuoco innescherà ad esempio un’esplosione a catena. Attacco e bersaglio dello stesso elemento, quindi portano a un’esplosione, mentre l’elemento opposto innesca la debolezza e arreca più danni. E, ancora, potrete colpire i vostri nemici con frecce esplosive al plasma, potrete utilizzare quelle collose per infliggere status rallentamento, potrete usare le frecce acide per corrodere le armature (o far esplodere i serbatoi di acido) e così via.
Attenzione, perché tutto questo vale anche per Aloy: finire in un’ondata di acido schizzato dalla coda di una macchina vi farà passare un terribile quarto d’ora, ad esempio, e un proiettile al plasma che vi si appiccica addosso esploderà arrecando parecchi danni.
In tutto questo, è molto coinvolgente che Guerrilla si sia ricordata anche del fatto che Aloy, a dispetto delle macchine, sia un’umana con un udito umano. Questo significa che quando le macchine ad esempio grideranno chiamando in soccorso le altre, lo faranno in modo così forte che Aloy dovrà portare le mani alle orecchie, stordita dal rumore, e non potrà agire per qualche secondo.
È su questi piccoli dettagli che si tesse un combat system intelligente, fedelissimo a quello del primo capitolo ma estremamente ampliato, che premia gli approcci più tattici e che fornisce un’infinità di variabili per mettere a punto il proprio.
Tra archi di tipi diversi, lancia-punte simili a proiettili, guanti offensivi che sparano dischi che danneggiano i robot, fionde lancia-granate e via dicendo, la ruota delle armi sarà ricchissima e ha ora molti più slot, permettendovi di passare rapidamente da un approccio all’altro a seconda della macchina che avete davanti.
Non è tutto: i sei alberi di abilità permettono uno sviluppo molto più approfondito delle caratteristiche di Aloy e, nelle oltre 50 ore trascorse sul gioco, non siamo ancora riusciti a completarli tutti.
Negli alberi Aloy può migliorare le sue statistiche di attacco, difesa e vitalità, ma anche apprendere nuove tecniche, come incoccare più frecce simultanee o sfoggiare le cariche valorose. Questi attacchi permettono, per un tempo limitato, di avere delle migliorie specifiche decise dal giocatore.
Nel nostro caso, avendo un approccio molto votato all’uso dell’arco dalla distanza, abbiamo equipaggiato una carica valorosa che arrecava più danni (e ne subiva di meno) per tutta la sua durata. Ma avremmo potuto, ad esempio, sceglierne una dedicata agli attacchi da mischia con la lancia.
Gli scontri da mischia erano un grande punto debole del gioco originale e in questo caso sono stati migliorati e approfonditi: la lancia può scaricare energia sui vostri nemici, sono presenti numerose combo da approfondire anche in apposite sfide in arene sparse nel mondo di gioco, ci sono numerose cariche valorose dedicate e ogni colpo può staccare una parte dell’armatura dei vostri nemici.
Si tratta ancora di un approccio molto meno soddisfacente rispetto a quello con le armi simili agli archi, ma i passi in avanti rispetto al gioco precedente sono evidenti. Potete combinare attacchi di forza diversa, saltare sui nemici con la lancia per spingerli indietro, applicare loro dei punti deboli da far esplodere lanciando poi una freccia: anche qui, gli approcci sono vari e non sempre facilissimi da padroneggiare.
E se il primo gioco si faceva un autogol abbondando di nemici umani, qui Guerrilla è stata molto più furba: gli scontri sono prevalentemente con le macchine, e va benissimo così. I combattimenti con gli umani ci sono, ovviamente, ma non sono più prevalenti nella campagna principale del gioco.
Oltretutto, l’intelligenza artificiale è migliorata rispetto a Zero Dawn. Con rare eccezioni, i vostri avversari tentano di nascondersi, si allontanano per tirare con l’arco anziché corrervi incontro suicidandosi, usano scudi ed elmi che vi rendono davvero complicato avere un tiro libero sulla testa. E, in diversi casi, cavalcano le macchine, caricandovi e calpestandovi se non riuscirete a disarcionarli.
Il sunto, insomma, è che il gioco mantiene e potenzia quell’anima da Monster Hunter che già si scorgeva nel primo nei suoi combattimenti con le macchine, mentre rende più di spalla ma comunque più profondi anche gli scontri contro altri esseri umani. Ne emerge un combat system che appare maturato e come fiore all’occhiello dell’esperienza di gioco: ogni macchina può rappresentare un’insidia diversa e, contrariamente agli open world dove incontrare dei nemici lungo la strada significa attivare combattimenti molto simili tra loro, qui tutto dipende da quale sia la macchina che avete incontrato.
L'anima da gioco di ruolo
C’è tanto, tantissimo da fare, in Horizon: Forbidden West. Ovviamente, non tutte le attività hanno lo stesso peso e sono significative allo stesso modo, ma è difficile pensare che vi annoierete. Considerate che nella nostra cinquantina abbondante di ore (ce ne sono servite 37 per arrivare alla fine della campagna, ma facendo diverse secondarie) non siamo ancora nemmeno al 40% del completamento totale di quanto il gioco ha da proporre.
Alle missioni della campagna principale, strutturate in modo da essere più lunghe rispetto a Zero Dawn, si affiancano delle secondarie molto meno dimenticabili che nel primo. Spesso, una richiesta di aiuto vi porterà a scoprire una nuova storia che impreziosirà la caratterizzazione del mondo dell’Ovest Proibito, e a un certo punto sarete così presi dal gioco che sentirete di non poter tradire quella tribù a cui avete promesso una mano in una secondaria.
Queste missioni vanno dall’indagare sulla scomparsa di qualcuno al liberare un villaggio dall’assedio delle macchine, passando per scacciare uno sfruttatore degli operai delle miniere e per il trovare determinate risorse: c’è tanto da fare e il fatto che il gioco proponga un open world dove ogni incontro con una macchina può avere qualcosa da dire aiuta a non sentire la stanca. Neanche dopo le citate cinquanta ore.
Tornano anche i calderoni, dove potete ottenere nuovi override per sottoporre le macchine al vostro controllo e in alcuni casi cavalcarle; come citato in precedenza, ci sono rovine tutte nuove da esplorare per carpirne i segreti affrontando puzzle ambientali, forti anche della possibilità data dal rampino di spostare oggetti degli scenari.
Ci sono addirittura dei mini-giochi, come il gioco da tavolo strategico Batosta Meccanica, che è una specie di scacchi ruolistico, o le corse folli e combattive in sella alle macchine. Tutte delle aggiunte non indispensabili, sia chiaro, ma che nella nostra run ci hanno permesso di prenderci delle gradite pause, senza troppe pretese.
L’anima da gioco di ruolo non si vede solo nella struttura del combat system o nella libertà di approccio alle missioni, ma anche nelle risorse: Aloy tiene ora una cassa di scorte, accessibile da qualsiasi rifugio, che le permette di accumulare quello che raccoglie durante i suoi viaggi, anche quando la sacca per l’utilizzo immediato è piena. Tornando a un rifugio è quindi possibile rifornirsi, magari di oggetti curativi o trappole, senza il bisogno di dover aver tempi morti per recuperare risorse che avevate già trovato ma non potevate mettere in borsa per motivi di spazio.
A questo si sposa anche la presenza dei banchi da lavoro per il miglioramento di armi e vestiti, e il ritorno della possibilità di unire bobine agli equipaggiamenti, che fungono da slot di potenziamento con effetti positivi ed elementali.
Considerando che il banco da lavoro richiede spesso parti specifiche, e che queste parti devono essere staccate quando la macchina è ancora viva per evitare di essere rotte e inutilizzabili, va da sé che Horizon: Forbidden West sia ben consapevole che il combattimento con le creature meccaniche sia il biglietto da visita del suo gameplay, motivo per cui dirotta verso di esso diverse delle sue componenti.
Torna anche la possibilità di prendere decisioni che facciano esprimere Aloy, molto ridotta rispetto al primo gioco (dove era comunque pressoché inutile). Ci è capitato di prendere qualche decisione che ha cambiato alcuni eventi del gioco, ma non aspettatevi, da questo punto di vista, niente di particolarmente sconvolgente.
Bello, invece, sempre in termini ruolistici, come il gioco reagisca a chi siete e a quello che fate: se aiutate un NPC a fare qualcosa, se ne ricorderà nei vostri futuri dialoghi, i vostri alleati faranno lo stesso a seconda magari di alcune secondarie che avete completato per loro, e non vi capiteranno mai momenti in stile Skyrim in cui il Dovahkiin da qualcuno viene scambiato per un forestiero sospetto mai visto prima.
Il mondo di Forbidden West è credibile e i suoi abitanti si rendono conto di quello che fate per loro, aiutando in modo davvero forte il coinvolgimento.
Comparto tecnico: tra colpo d'occhio e spigoli da smussare
Veniamo, infine, al comparto tecnico del gioco, che nel momento in cui stendiamo questa recensione ha ancora diversi spigoli da smussare. Valutate che il voto che vedete in calce alla recensione sarà quello definitivo di SpazioGames: abbiamo deciso da qualche mese di non operare più nuove assegnazioni di voto, ad esempio quando i giochi poi arrivano su ipotetiche altre piattaforme come il PC e vengono ri-recensiti, ed è per questo che è fondamentale soppesare bene quanto le sbavature tecniche vadano a inficiare, da qui alla prospettiva futura, la godibilità dell’opera.
La risposta è: molto poco, nonostante queste storture ci siano e siano innegabili – ma meno evidenti rispetto a Zero Dawn, col quale incappammo anche in un game breaking bug in sede di recensione. Abbiamo giocato per una quarantina abbondante di ore prima della diffusione di una prima patch correttiva pre-lancio da parte di Sony, notando alcune incertezze.
La più evidente è la modalità qualità di PS5: meravigliosa da vedere per l’abbondanza di particellari, effetti di luce e la vivacità della vegetazione che ondeggia con il vento che sibila, in diversi momenti fatica a tenere i 30 fps insieme al 4K nativo, soprattutto quando lo scenario è molto rigoglioso. Niente, davvero niente, che possa alterare la godibilità del gioco, ma anche dopo la patch abbiamo osservato performance pressoché identiche, legate all’area del gioco in cui ci trovavamo: nel deserto, ad esempio, vista l’assenza di vegetazione la cosa si fa molto meno marcata.
Va molto meglio la modalità performance, che dice no al 4K nativo in favore dei 60 fps: il gioco risulta molto più fluido e godibile in questo modo e difficilmente tornerete indietro dopo aver testato i combattimenti in questa modalità, dove anche i dettagli su un pannello in 4K si fanno ugualmente apprezzare e l'immagine è pulita e soddisfacente.
In questo caso, ci sono capitati dei momenti specifici in cui, anche dopo la patch, il gioco mostra uno o due secondi di schermo nero per caricare il resto della mappa davanti a noi, ma il fenomeno è stato già accorciato con il primo aggiornamento e speriamo che venga arginato del tutto con i prossimi. Lo schermo nero non si presenta più, invece, giocando in modalità qualità.
In entrambi i casi, il gioco presenta a oggi un abbastanza evidente fenomeno di pop-in sui fondali, soprattutto mentre vi muovete a bordo di macchine particolarmente veloci, con alcune texture che compaiono con quel secondo di ritardo che basta a notarle. Si tratta, tuttavia, di un problema noto agli sviluppatori, che ci avevano già fatto sapere di essere al lavoro per arginarlo già prima della prima patch correttiva.
Ci sono anche degli spigoli da sgrezzare dal punto di vista delle animazioni e qualche piccolo bug che ogni tanto costringe a ricaricare (ma il gioco salva da solo molto molto spesso): qualche NPC finito fuori dalla mappa, ad esempio, o Aloy bloccata in un’animazione in loop. Abbiamo anche osservato qualche aberrazione nell’uso delle luci, che con l’HDR attivo finivano molto sovraesposte nelle aree soleggiate.
Si tratta, in sintesi, di ingenuità e piccoli problemi tecnici che denotano un codice non ancora pulito del tutto, ma che siamo fiduciosi verranno ulteriormente risolti con le future patch, come fu per il primo gioco. Considerando che un primo aggiornamento è arrivato ancora prima del day-one, è difficile immaginare altrimenti, anche in virtù del fatto che si tratta di un first-party.
Sono problemi che noterete sicuramente ma che non inficiano la vostra esperienza all’interno del gioco, e a cui anzi smetterete di fare caso dopo le prime ore. Al di là delle performance da stabilizzare nella modalità a 30 fps, insomma, il gioco può essere sicuramente migliorato nella parte tecnica, ma nella maggior parte dei casi restituisce un colpo d’occhio straordinario per ricchezza e dettagli, esagerando nel farvi addirittura vedere la polvere che si alza dalla terra del sentiero che state battendo.
I tempi di caricamento su SSD di PS5 sono praticamente inesistenti, al punto che è presente un’opzione che permette di non far avanzare il gioco in automatico per permettervi di leggere i suggerimenti sulla schermata: in caso contrario, potreste non averne il tempo.
Su PlayStation 4 standard (ossia, in teoria la versione peggiore e più penalizzata) il gioco è abbastanza fluido nei suoi 30 fps su un pannello a 1080p e, per non rinunciare ai particellari abbondanti e agli effetti di luce va a scalare un po’ sulla vegetazione – spesso meno dettagliata – e sulla profondità di campo. Nel complesso, ha un aspetto sensibilmente migliore rispetto a Horizon: Zero Dawn e siamo anche sorpresi dal non aver sentito le ventole di PS4 farsi troppo rumorose per far girare il tutto.
PS4 fatica di più, invece, sull’apertura dell’inventario completo e della mappa di gioco, dove è necessario aspettare qualche secondo per vedere tutto correttamente. Diversi, come è lecito aspettarsi, anche i tempi di caricamento, con un salvataggio che viene lanciato in qualcosa in più di un minuto.
Ottima anche l’idea di Guerrilla di rendere molto meno statici i dialoghi, ora proposti con un vero e proprio girato (anche se la regia è ancora molto molto basilare e praticamente invisibile), dove si notano animazioni facciali molto più curate rispetto al gioco originale, anche se ci sono alcune occhiate storte tra i personaggi e dei piccoli bug ancora da correggere dopo la prima patch.
L’uso di DualSense su PS5 è un piacere per le mani: il gioco sfrutta i grilletti adattivi alla grande nell’uso dell’arco, indurendoli o ammorbidendoli a seconda della tensione della corda, dandovi anche un contraccolpo quando si arriva ad averla tesa del tutto ed è necessario scoccare la freccia. La sensazione diventerà così assuefacente che passando dall’affrontare i combattimenti su PS5 a PS4 vi sembrerà che manchi qualcosa e che il tutto sia più spoglio. Il contro è il fatto che i grilletti divorino la durata della batteria di DualSense, che nel nostro caso arrivava al capolinea in più o meno quattro ore di gioco.
Meno imponente l’uso del feedback aptico, che cerca di far sentire i passi nei terreni più complicati, gioca un po’ con le correnti subacquee e poco altro di inusuale.
Bello, invece, l’uso dell’audio 3D con le cuffie Pulse di casa PlayStation: ci sono capitati momenti in cui la direzionalità del suono ci ha permesso di schivare un colpo in arrivo facendo chinare e rotolare via Aloy, e l’Ovest Proibito è un trionfo di fruscii, versi animali, stridii meccanici e sussurri del vento. E, nei centri abitati visitabili, abbonda di chiacchiere di sottofondo che rendono tutto più vivo e credibile.
Suggestiva, anche se meno indimenticabile che nel primo episodio, anche la colonna sonora, che fa da punteggiatura alle vicende senza mai farsi invadente. Migliorato sensibilmente il doppiaggio, soprattutto in inglese, ma anche in italiano è stato fatto un buon lavoro: non il miglior doppiaggio dei first party Sony, ma le voci si lasciano piacevolmente ascoltare.
Versione recensita: PS5, PS4Se volete seguire Aloy nei suoi viaggi, cominciate da Horizon: Zero Dawn.
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Voto Recensione di Horizon: Forbidden West - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Tutto quello che di bello c'era in Zero Dawn, ma migliorato e più profondo
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L'esplorazione più libera e verticale è un toccasana per l'approccio open world
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Componente ruolistica più marcata sia nello sviluppo di Aloy che nell'approccio ai combattimenti
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World building e direzione artistica di livello altissimo
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Una Aloy che ruba la scena
Contro
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Il conflitto narrato dall'intreccio è privo di guizzi significativi e mostra qualche ingenuità nella gestione del ritmo e del climax
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Level design non sempre brillante allo stesso modo, soprattutto in alcune secondarie in interni
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Comparto tecnico ancora visibilmente da smussare con future patch, tra piccoli bug e un frame rate ballerino in 4K
Commento
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