GTA San Andreas, la lunga estate caldissima
Ritorniamo a un videogioco ormai divenuto un classico, Grand Theft Auto San Andreas. Cosa si nasconde dietro la storia del “buon” CJ e cosa può ancora dirci?
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Un senso di libertà immane, un “sistema” da sovvertire, un linguaggio scorrettissimo ma parodistico e ironico quando serve. Grand Theft Auto San Andreas (o meglio GTA San Andreas) è stato tutto questo, e per alcuni divertirsi e finire questo videogioco è divenuta una tradizione da perpetuare ogni estate. Qui a SpazioGames abbiamo fatto esattamente questo: vi abbiamo trascorso gli afosi mesi di luglio e agosto, facendo i conti con un sistema forse non più fresco ma scoprendo anche insospettabili riferimenti culturali. Seguiteci quindi in questo ritorno nella San Andreas di Rockstar Games.
It’s all about gangstas
Chiariamo immediatamente una cosa: GTA San Andreas è un videogioco destinato a un pubblico non maturo, ma adulto. Non tanto per le situazioni violente o perché abbia parti effettivamente scabrose (che almeno formalmente non ci sono, ma ne parliamo più avanti) quanto perché non basta essere maggiorenni per cogliere molti dei messaggi, contesti e intenzioni messi in piedi da Rockstar. L’ascesa di Carl “CJ” Johnson è lungi dall’essere una parabola, ma piuttosto il ritratto di una società che sin dal 1992 cominciava a dare segni di una malattia diffusa a ogni ordine e grado. I gangsta che non riescono a vedere oltre il soldo, la loro fratellanza solo di facciata, un’America sempre più grassa di ogni cosa, marcia sia nel pubblico che nel privato. Simbolo di questo è Tenpenny, agente di polizia corrotto che invece di combattere le bande di strada sfrutta il ricatto per usarle come giocattoli.
Certo per essere il 2004 erano cose piuttosto difficili da cogliere, anche per via di una scrittura che ricorre spesso a un nero umorismo a volte anche un po’ troppo insistito. Ma una volta sparita la risata grottesca per le situazioni in cui ci si imbatte, è palese come CJ sia più che altro un “tramite” per evocare una società alo sbaraglio che nella sua virtualità ci appare fin troppo reale. In questo senso non possiamo che riconfermare ancora una volta come Rockstar fosse avanti anni luce già all’epoca per quanto concerne la recitazione virtuale. Ciò non è solo la “furbizia” di aver dato la parte dell’antagonista carismatico a un attore celeberrimo (Samuel L. Jackson) e un ruolo difficile a uno versatile (il recentemente scomparso Peter Fonda da la voce a The Truth) ma anche per aver cercato personalità che potessero effettivamente filtrare nella recitazione anche un po’ di vita vissuta. Lo stesso Young Maylay, rapper e voce di CJ, ammise pubblicamente che nell’interpretare CJ aveva messo molta della sua vita, essendo nato e cresciuto nei quartieri poveri di Los Angeles.
GTA San Andreas si è ritagliato ormai di prepotenza il suo ruolo di classico. La sua forza sta nell’aver dipinto un protagonista per la prima volta “umano”, e non solo un superuomo fuori di testa, e un luogo da visitare e da vivere e non da mettere solamente a ferro e fuoco. Tutto ciò travalica la vecchiaia strutturale e si imprime nella memoria anche collettiva. San Andreas ormai è tutt’altro che estesa, ma rimane incredibilmente densa nel parodiare e denunciare una società malata ancora (purtroppo e inspiegabilmente) di grandissima attualità. E che non fa che confermare come da quindici anni Rockstar ripeta solo una cosa: che l’unico modo per comprendere il male, l’eccesso e la loro attrattiva è avere lo stomaco di indagarli e scoprirne i perché. A patto di avere l’età giusta e la mente preparata.
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