God of War: Le favole di papà Kratos
Un dettaglio sconosciuto ma sorprendente dell'eccellente ritorno di Kratos
Advertisement
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Santa Monica Studios
- Produttore: Sony
- Distributore: Sony
- Piattaforme: PC , PS4
- Generi: Azione , Avventura
- Data di uscita: 20 aprile 2018 (PS4) - 14 gennaio 2022 (PC)
Ha segnato il chiusosi 2018, confrontandosi con Red Dead Redemption II e prendendosi di prepotenza il premio come gioco dell’anno agli ultimi Game Awards. Stiamo di certo parlando di God of War, l’avventura di un Kratos nelle insolite vesti di padre norreno. Quando uscì ad aprile, il pargolo dei Santa Monica ricevette giudizi lusinghieri e vendite ancor più soddisfacenti. E come tutte le opere eccellenti, il gioco diretto da Cory Barlog straripa di dettagli e minuterie che stupiscono. Oggi vogliamo soffermarci su quella che più di tutte si nasconde in piena vista: le storie che Kratos racconta al figlio.
Premessa: antefatto e collocazione temporale
Poco dopo aver incontrato la strega della foresta e aver viaggiato ad Alfheim, Kratos e suo figlio Atreus devono tornare alla Montagna. Tramite l’utilizzo del Bifrost dovranno disperdere l’Alito Nero che impedisce loro di raggiungere la cima. A questo punto della trama i due non possono ancora saperlo ma giunti lì troveranno il saggio Mimir, che riempirà molti silenzi con i suoi racconti. Come simbolico anticipo a questo, se si rimane abbastanza a lungo in barca prima di raggiungere la montagna Atreus chiederà a suo padre se conosce qualche storia per “passare il tempo”.
Kratos risponderà in maniera indiretta, dicendo che una volta conosceva un uomo le cui storie erano “brevi ma significative”. Malgrado non ne pronuncerà mai il nome è palese che sta parlando di Esopo, il celeberrimo scrittore greco vissuto tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo avanti Cristo. Oggi l’opera dello scrittore greco contemporaneo di Pisistrato è una delle più popolarmente studiate (soprattutto in Italia) insieme ai poemi epici di Omero. Nei fatti quasi tutte le favole che il Fantasma di Sparta racconta sono riconducibili a questo autore. Non solo: il fatto che Kratos ne conosca le storie è qualcosa di sorprendentemente accurato, in quanto coerente con le datazioni (lasciate intendere) nei precedenti videogiochi.
Nel capitolo per PSP God of War: Chains of Olympus (2008) Kratos si trovava suo malgrado coinvolto in una “invasione dell’Attica” da parte dell’esercito persiano. Il bello è che nella storia autentica un simile sbarco è avvenuto sul serio, durante la prima guerra persiana del 490 avanti Cristo. Tale invasione sarebbe poi stata fermata con la celeberrima battaglia di Maratona. Ugualmente in Ghost of Sparta (2010) vengono fatti dei riferimenti al re spartano Leonida, morto alle Termopili dieci anni dopo. Tutto ciò lascia intendere che la Grecia di God of War si ambienti in un periodo compreso tra il 490 e il 460 avanti Cristo, cioè più di cento anni dopo la vita e l’opera di Esopo stesso. Ma dato il secolo di stacco, se da un lato è fattibile che Kratos conosca le storie di Esopo, dall’altro è probabilmente un’esagerazione che lo spartano possa averlo incontrato di persona.
Storia I: la lepre e la tartaruga
Kratos: Ce n’era una che parlava di una lepre e di una tartaruga.
Atreus: E che cosa succede?
Kratos: Fecero una gara di velocità; la lepre era troppo sciocca e sicura di vincere, mentre la tartaruga era costante e disciplinata. Vinse la tartaruga.
Atreus: Non ne hai raccontate molte di storie, vero?
Kratos inizia con una storia molto classica, tanto da essere ancora oggi letta e studiata nelle scuole. Pur avendo le possibilità di vincere la lepre è sicura di sé fino alla strafottenza, che la porta a una rovinosa caduta. Kratos comunque rifugge dal dire la morale della favola, sia perché non ha spiccate abilità narrative sia perché il figlio si incaricherà più volte di ricavarla lui stesso. Tuttavia nessuna di queste cose succede in questa prima narrazione, che rimane un po’ in sospeso. Il fattore interessante è come i Santa Monica abbiano scelto delle favole di Esopo dal forte significato metaforico anche per il personaggio di Kratos. In questo caso il riferimento è alla rigida educazione da lui ricevuta da bambino, che l’ha portato all’eccellenza guerresca. Il troppo uso della disciplina l’ha però fatto richiudere su sé stesso, fino a essere quasi incapace di mostrare affetto anche con coloro per cui sarebbe legittimo e lecito farlo. Solo nell’epilogo egli supererà questi suoi “cartelli di divieto”.
Storia II: Il cavallo e il cervo
Kratos: C’era una volta un cavallo che voleva vendicarsi del suo nemico, un cervo. Ma non poteva uccidere il cervo da solo. Il cavallo incontrò un cacciatore e fece un patto. Si fece mettere dall’uomo il morso, le briglie e la sella per farsi cavalcare. Uccisero il cervo e il cavallo sentì il sapore della vittoria. Ma il cacciatore non liberò il cavallo e lo rese suo schiavo.
Atreus: La vendetta gli è costata la libertà. Spero ne sia valsa la pena.
Kratos: Non credo.
La seconda storia vede il personaggio sciogliersi di più nel racconto, ma è di attribuzione controversa. I contenuti e i personaggi della storia sono infatti più riconducibili al poeta romano Quinto Orazio Flacco o addirittura a Jean de La Fontaine, intellettuale francese del Seicento. C’è comunque da lasciare un po’ di beneficio del dubbio in quanto entrambi questi autori potrebbero aver preso spunto da fonti a loro antecedenti, magari tramandate per via orale. Per la prima volta Atreus ricava da sé la morale, ignorando che la fiaba è una metafora della vita di suo padre e del patto di sangue da lui stretto con Ares. Rimanendo a fior di metafora Kratos è il cavallo, il cervo è il re dei barbari, Ares il cacciatore e le “briglie” sono le Spade del Caos.
Storia III: Le due rane
Kratos: C’era una volta una rana. Lo stagno si era seccato e si mise a cercare una nuova casa con il figlio. Videro un pozzo; il figlio fece per saltarci dentro, ma la rana lo fermò. Vide che il pozzo era profondo e una volta dentro non sarebbero potuti uscire se si fosse prosciugato. Saggiamente, proseguirono.
Atreus: Fine?
Kratos: Sì.
Atreus: Non è una vera storia. Se il figlio fosse saltato, allora sì.
Kratos: Il figlio sarebbe morto di fame, e la rana avrebbe assistito impotente.
Atreus: Vedi? Quella è una storia.
La terza favola torna su lidi più riconoscibili, ed è una delle più brevi anche nella versione originale di Esopo. Qui però vi è l’ulteriore significato della severa protettività di Kratos nei confronti del figlio, freno essenziale dal fare cose avventatamente. Chiaramente si tratta di una descrizione metaforica del viaggio di Atreus e suo padre, ma il ragazzo è così concentrato sulla storia da non comprenderlo. Anzi, la sua brevità gli fa credere che il racconto sia incompleto, spingendolo a finirlo da sé.
Storia IV: Il giovane ladro e sua madre
Kratos: C’era un giovane che fu sorpreso a rubare, e condannato a morte. Sua madre andò a trovarlo in galera. Era una donna gentile, che conosceva solo amore. Ma suo figlio era furibondo, e le strappò un orecchio a morsi.
Atreus: Cosa… perché?
Kratos: Perché lui era sempre stato un ladro. E sua madre l’aveva trattato sempre con amore, senza mai punirlo. Se gli avesse insegnato la disciplina, sarebbe vissuto più a lungo.
La quarta storia riprende il tema iniziale della disciplina, assai caro al protagonista di God of War. In tale occasione “disciplina” viene intesa anche come “severità”, cosa che porta a pensare che nella mente di Kratos i due termini siano sinonimi. Parimenti egli si sta man mano impratichendo con la narrazione, cosa che lo porta a non perdere il filo neanche a seguito delle perplessità del figlio. Il doppiaggio italiano traduce il termine originale prison con “galera”, che per quanto corretto è un po’ troppo “moderno” per il contesto fantasy-mitologico. Nel mondo antico la galera era la nave (da trasporto e da guerra) tipicamente mediterranea che si affidava sia al vento che ai remi. Sarà probabilmente un compromesso di sincronizzazione.
Storia V: Mamma granchio e suo figlio
Kratos: C’era una volta mamma granchio che rimproverò suo figlio. Gli disse che doveva camminare in avanti con fierezza, non di lato come di solito.
Atreus: Anche lei è un granchio! Poteva dire “camminerò in avanti quando mi farai vedere come fare”!
Kratos: Sì, disse proprio così. Questa era la storia.
Simmetricamente la quarta favola torna alla brevità, risultando anche piuttosto chiara. Nuovamente Atreus ricava da sé la morale, finendo col raccontare praticamente metà storia. È comunque interessante il fatto che molte versioni di questa favola utilizzino personaggi umani anziché animali. L’adozione dei granchi da parte degli sceneggiatori di Santa Monica è probabilmente dovuta all’incisività della metafora, costituita dal valore simbolico del camminare di lato (evitando le proprie responsabilità) piuttosto che affrontarle andando avanti.
Storia VI: Gli alberi e il taglialegna
Kratos: C’era una volta un taglialegna. Chiese un ramo agli alberi della foresta per fare il manico della sua ascia. Gli alberi gli diedero un alberello, così da non perdere le proprie membra. Il taglialegna realizzò la sua ascia. Quando tornò, abbatté tutti i vecchi alberi della foresta.
Atreus: Anche se gli alberi sono vecchi, non vuol dire che sono saggi.
Kratos sta ormai raggiungendo un buon livello di narratività, ma la radice del racconto rimane di Esopo. Curiosamente, di tutte le favole registrate questa è l’unica la cui morale sia diversa dall’originale. Esopo ammoniva infatti di fare attenzione a chi si aiuta e non coinvolgeva il fattore dell’età. Tra i due ha però finito col definirsi una sorta di patto silente. Il padre racconta la storia, lasciando poi al figlio il compito di ricavare la morale. Il fatto che molte volte quest’ultima non ha coinciso con quella “ufficiale” ha quindi importanza solo relativa, perché lasciandolo parlare Kratos cerca di capire il livello di ragionamento del figlio per eventualmente correggerlo. Alcune traduzioni identificano la foresta (selva) come un’unica entità.
Storia VII: La rana e lo scorpione
Kratos: C’era una volta uno scorpione che voleva attraversare un fiume. Lo scorpione chiese aiuto a una rana. Disse alla rana che, se l’avesse aiutato ad attraversare il fiume, l’avrebbe ricompensata. La rana protestò, temendo di essere punta. Lo scorpione la convinse che non l’avrebbe punta, o sarebbero annegati entrambi. La rana accettò, ma a metà strada lo scorpione la punse. La rana rimase ferita mortalmente, entrambi finirono in fondo al fiume e annegarono.
Atreus: Che triste! Perché lo scorpione l’ha punta?
Kratos: Era uno scorpione, fare del male è la sua natura.
L’ultima favola di Kratos è anche il suo simbolico compimento delle capacità narrative. Egli narra adesso con molta più compiutezza, utilizzando anche qualche “artificio oratorio” per prolungare la storia. Per la prima volta inoltre è lui a dire la morale, che è anche occasione per ricordare Faye. Questo è uno dei tanti momenti in cui viene fatto notare come la sua defunta compagna e madre di Atreus fosse molto complementare a Kratos, in quanto lei per prima a raccontare storie al figlio. Più realisticamente, quello della rana e dello scorpione è più un racconto popolare che una vera e propria favola cristallizzata da un autore antico. L’attribuzione a Esopo è tanto popolare quanto contestata, e le ipotesi sulle origini spaziano dal folklore indù o addirittura che non sia più vecchia di un secolo. Pur reggendosi sull’area di “buio”, le ricerche accademiche compiute in tal senso renderebbero in ogni caso piuttosto improbabile che lo spartano possa conoscerla. È tuttavia una chiosa ideale per le storie di Kratos poiché instaura una breve riflessione (più cinica di quanto Atreus stesso non sospetti) sulla natura degli dèi nell’universo di God of War, pensiero condiviso da Faye stessa.
Come tutte le opere di alto livello, anche God of War nasconde dettagli e profondità inaspettate anche in elementi estremamente di contorno. Quello delle favole che il protagonista Kratos racconta a suo figlio sono un esempio plastico di quanto sforzo creativo e di costruzione contestuale vi sia nell’ultima fatica dei Santa Monica. Malgrado si tratti di eventi e dialoghi facilmente mancabili, subissati come si è dal gioco e dagli eventi, è sorprendente l’accuratezza con cui sono state scelte le storie di Kratos. Contestualizzate come forma d’insegnamento paterno, sono anche metafora tanto del passato quanto del presente dello spartano più famoso della storia dei videogiochi.
Le Migliori Offerte per God Of War
Voto Recensione di God Of War - Recensione
Commento
Advertisement