Bentornati alla retrospettiva su
God of War. Nei suoi oltre dieci anni di avventure, il
Fantasma di Sparta si è sempre mosso nella mitologia greca, incontrando (e scontrandosi) con praticamente ogni eroe, mostro e divinità celebri di quel retroterra. Nella
prima puntata abbiamo visto l’esordio, mentre nel
secondo episodio abbiamo visto i capitoli di raccordo comparsi sulle console portatili dal 2007 al 2010. È nello stesso anno che la vendetta dello spartano è terminata, salvo poi reiterarsi tre anni dopo con un ultimo capitolo-prequel. In questa terza e ultima puntata parleremo della parte più recente della parabola di Kratos, quella immediatamente precedente alla sua avventura nel gelido nord (e di cui trovate la recensione
qui).
God of War III: L’ultima, indimenticabile scalata all’Olimpo
Non vi era molto bisogno di annunciare l’esistenza di un nuovo God of War dopo il secondo capitolo. Quest’ultimo si concludeva infatti con un cliffhanger, sospendendo il racconto nel momento in cui Kratos scalava l’Olimpo insieme ai Titani. In ogni caso lo sviluppo di God of War III viene annunciato in maniera sibillina già nel 2008: sul retro del manuale di gioco di Chains of Olympus c’è un’immagine con l’Omega arancione (simbolo della saga) con all’interno il logo della PlayStation 3. Dopo un primo trailer, il gioco assume forma concreta solo all’E3 dell’anno dopo, nella celebre demo in cui Kratos affronta e decapita Elio. Quei pochi minuti di gameplay evidenziano con prepotenza gli enormi passi in avanti nel passaggio da PS2 a PS3, con una scenografia di ampio respiro e un livello di dettaglio e spettacolarità mai visti. L’attesa si conclude solo nel marzo 2010.
Parimenti passano abbastanza inosservati gli altri cambiamenti che stanno avvenendo dentro Santa Monica. Poco tempo dopo la pubblicazione di
GoW II il suo direttore
Cory Barlog decide di lasciare lo studio. Negli anni successivi lavorerà tra gli altri per Crystal Dynamics, contribuendo alla nascita del reboot di
Tomb Raider (è chiaramente riconoscibile nelle foto che compaiono nei titoli di coda di quest’ultimo). Alla regia di
God of War III va quindi
Stig Asmussen, presente sin dagli albori della saga prima come responsabile delle ambientazioni e poi come art director. Il suo stile è dritto e concentrato, essenziale ma dal giusto senso del grandioso. Il suo compito è dare al pubblico quanto promesso da Barlog, ovvero il crepuscolo degli dèi dell’Olimpo.
E, in estrema sintesi, God of War III è esattamente questo. Kratos scala l’Olimpo insieme ai suoi alleati Titani per prendersi la sua vendetta contro Zeus e tutta la sua famiglia. A una visione di trama così dritta e semplice si affianca però il vero piatto forte del videogioco: la sua costruzione scenica. L’enormità dei panorami è infatti portata all’estremo, i dettagli sono traboccanti e i combattimenti memorabili, specialmente quando i nemici solo grandi letteralmente come montagne. Il tutto ovviamente supportato da una grafica di altissimo livello, che fonde la potenza bruta con la concatenazione dei luoghi attraversati, costruendo l’Olimpo in maniera squisitamente verticale. Per dare un’idea della ricerca filologica basta ascoltare i cori della colonna sonora, che sono tutti in greco. Ad esempio le strofe del tema principale si traducono (all’incirca) come “Kratos, ira, la fine è giunta! Kratos, ira, io li ucciderò tutti!”.
E allo stesso modo passano fin troppo sotto silenzio quelli che sono innegabili difetti della produzione. Se le critiche alla semplicità dei combattimenti sono sempre le solite, quello che non piace è proprio la prevedibilità del tutto. Gli enigmi sono nettamente più grezzi rispetto al capitolo precedente, alcuni combattimenti sono troppo “dipendenti” dai QTE e l’ambientazione non presenta variazioni o percorsi alternativi. Per quanto questo raggiunga un modello autentico di “flusso ininterrotto”, viene anche paragonata a un lungo corridoio. Kratos e la sua distruzione dell’Olimpo hanno quindi una grande quantità di difetti. A sovrastarli c’è però un unico, grande pregio: è uno dei videogiochi più autenticamente epici di tutti i tempi. Per capirne la magniloquenza ancora una volta basta la prima mezz’ora, con l’incredibile combattimento contro Poseidone. Gli scontri con gli dèi dell’Olimpo sono infatti i momenti più veri e sinceri di God of War III, in cui meccaniche di gioco, grafica, QTE e musica lavorano in sincronia perfetta.
Il Vaso di Pandora non era vuoto
Essenzialmente God of War III riprende in toto le meccaniche andate stratificandosi nei cinque anni precedenti e le mette in ordine. C’è il menu dei potenziamenti, il sistema di combo, le sezioni esplorative e l’acquisizione di nuove armi. L’unica differenza sostanziale rispetto ai precedenti capitoli è che adesso gli incantesimi sono legati direttamente all’armamentario, dunque una determinata abilità si può utilizzare solo avendo equipaggiata l’arma corrispondente, che può essere cambiata anche durante una combo con un’apposita mossa (dorsale sinistro e tasto X).
Fallito il primo attacco all’Olimpo Kratos si ritrova nell’Ade, dove viene però raggiunto da Atena. La dea si è infatti conservata in forma di spirito, e adesso è a sua volta guidata dalla volontà di rovesciare Zeus. A tal proposito dona a Kratos le Lame dell’Esilio e lo incarica di cercare la Fiamma dell’Olimpo, l’unico potere che possa effettivamente sconfiggere Zeus. Quando Kratos la raggiunge, nelle sale dorate dell’Olimpo, capisce che il potere della Fiamma proviene direttamente dal Vaso di Pandora, da lui stesso utilizzato tempo prima per sconfiggere Ares. Per spegnere la Fiamma serve Pandora, la misteriosa bambina nata insieme a esso. Kratos sopravvive a tutti i tentativi di opposizione da parte degli Olimpici e arriva a liberare la ragazzina. Nonostante il suo cinico egoismo lo spartano presto finisce con l’affezionarsi a Pandora, ma questa comunque si sacrifica per permettergli di aprire il Vaso. La sorpresa è amara: il Vaso è vuoto. Ormai in preda a una furia infinita e profonda, Kratos si scontra con Zeus e, dopo una sequenza onirica in cui capisce che il potere del Vaso, la Speranza, era dentro di lui, lo spazza via una volta per tutte.
Finita la battaglia si manifesta di nuovo Atena, la quale gli spiega come mai Zeus lo volesse morto. Nel primo gioco Kratos, aprendo il Vaso, ne aveva inconsapevolmente liberato il male che vi era rinchiuso. Tale male era la Paura, che aveva contaminato il padre degli Olimpici. Lo spartano aveva invece acquisito la Speranza. Atena vuole ora tale potere, ma Kratos ormai ha imparato a non fidarsi degli dèi e rifiuta. In un capovolgimento di fronte egli si suicida liberando la Speranza nel mondo.
God of War Ascension: il multigiocatore e le imperfezioni
Alla fine di God of War III del mondo greco non è rimasto che caos. Tale è il prezzo che l’umanità ha inconsapevolmente pagato per liberarsi dell’Olimpo e dei suoi capricciosi residenti. Allo stesso modo, quello di GoW III è un finale fin troppo “chiuso” per poter rendere fattibile un sequel. A questo si aggiunge il fatto che la settima generazione di console è ormai sul viale della pensione, e c’è la volontà di replicare quanto fatti ai tempi con God of War II. Le voci e le dichiarazioni si susseguono fin dal 2010, ma il titolo viene annunciato ufficialmente solo all’E3 del 2012. Come al solito Stig Asmussen lascia e subentra Todd Papy. Fin dall’inizio è chiaro come una delle ambizioni del gioco sia introdurre qualcosa di mai visto prima per la serie, il multigiocatore online. Questa caratteristica viene approfondita un po’ di più alla Gamescom dello stesso anno. A livello di trama è tutto basato sul votarsi a uno degli dèi dell’Olimpo, cosa che influirà sui potenziamenti ottenuti e sugli equipaggiamenti, competendo online sia a squadre che individualmente. Per quanto fosse ai tempi oggettivamente originale, il multigiocatore di Ascension finisce ben presto sottostimato a causa della controversa modalità singolo giocatore. Non potendo andare oltre GoW III, Papy e i suoi decidono di fare un prequel “assoluto”, collocandolo cronologicamente addirittura prima di Chains of Olympus.
Ritroviamo Kratos prigioniero delle Furie, tre entità né umane né divine incaricate di vigilare sul rispetto dei patti tra dèi e mortali. Kratos ha da poco rinnegato il suo accordo con Ares, cosa che l’ha portato a essere prima inseguito dalle tre sorelle (Tisifone, Megera e Aletto) e poi rinchiuso nella Prigione dei Dannati, costruita sul centimane Briareo. La narrazione si sposta tra queste due situazioni, ovvero la fuga di Kratos dal luogo di sofferenza per tutti coloro che hanno tradito o infranto un patto di sangue con gli dèi e il flashback di come è stato catturato. Bisogna dire che, in tutta la saga, Ascension è il God of War che più evidenzia i sentimenti umani presenti in Kratos. Ancora lontano dalla rabbia e dall’insofferenza che lo domineranno in futuro, egli cerca la sua famiglia prima a Delfi e poi a Delo, dove un impazzito Archimede ha costruito un gigantesco monumento ad Apollo. Nella ricerca viene assistito da Orkos, figlio ribelle delle Furie, personaggio ugualmente tormentato ma il cui aiuto è sinceramente disinteressato. Ma nonostante gli sforzi, la fine è di nuovo tragica: per quanto Kratos sconfigga le Furie e liberi i prigionieri del centimane, verrà squarciata anche la coltre di illusioni che gli rendeva sopportabile la vita. Il Fantasma di Sparta si ritroverà quindi perseguitato dalle visioni e degli incubi dei suoi atti passati.
La modalità singolo giocatore di God of War Ascension fu molto criticata, incassando anche delusioni. Per quanto il gioco rimanga graficamente maestoso, i momenti puramente epici sono drasticamente ridotti e la narrazione stessa non coinvolge quanto i predecessori. Allo stesso modo vengono sollevati dubbi riguardo il sistema di controllo (di nuovo, la schivata non convince e il salto acquisisce troppa importanza), il combattimento che si irrigidisce cercando di divenire più tecnico (con la diminuzione sia delle armi secondarie che degli incantesimi) e la difficoltà poco calibrata (tanto da rendere necessaria una patch poco dopo la pubblicazione). Vi furono anche delle critiche riguardanti diverse imperfezioni grafiche, come texture che si caricavano in ritardo e gli enigmi troppo simili ai predecessori.
La tragedia umana che il crepuscolo illumina
God of War: Ascension è stata l’ultima apparizione di Kratos su PlayStation 3. Dato il risultato poco entusiasmante (specialmente se rapportato ai precedenti capitoli) le speranze di rivederlo erano oggettivamente poche, tanto che la sua avventura con Atreus è stata una sorpresa inattesa. Nel corso degli anni il Fantasma di Sparta ha però manifestato molte emozioni, passando dalla redenzione a una più semplice rabbia. Una furia tale che aveva finito anche col rendere difficile empatizzare con lui. Ascension in tal senso provava a dargli umanità: lo ha reso meno bianchiccio di pelle e senza più muscoli esagerati. Allo stesso modo gli ha affiancato Orkos, che per quanto limitato dal suo essere in un prequel è forse quanto di più vicino a un amico sincero per lo spartano.
Un simile “ripescaggio concettuale” era stato fatto anche in God of War III, sia a livello di trama che di tematiche sottese. Viene infatti recuperata la dimensione individualistica del conflitto, facendo recuperare a Kratos la sua “posizione dominante” nella guerra tra Olimpo e Titani. Allo stesso modo vengono ripresi i temi della famiglia e della redenzione. L’umanità rimasta in Kratos si manifesta nel suo affezionarsi a Pandora, così come nell’affascinante sequenza onirica del finale, in cui ascolta la propria voce interiore (incarnata dalla moglie e da Atena) che gli fanno capire che solo con la Speranza si può vincere la Paura. Con queste parole Kratos realizza grezzamente la propria natura: egli non combatteva per sopravvivere, ma viveva per le battaglie. Dalla paura era derivata la rabbia, quella terribile malattia che l’aveva inconsapevolmente portato a sacrificare ogni cosa. E c’era un solo modo per mettere fine a questo circolo: doveva fermarsi lui. Forse inconsapevolmente egli ha anche fatto la seconda buona azione della sua vita, dando Speranza all’Umanità.
Siamo arrivati alla fine di questa retrospettiva su God of War. Il Fantasma di Sparta è passato da guerriero tormentato a dio della guerra coatto, salvo poi venire detronizzato e distruggere definitivamente il Monte Olimpo. Un cammino pieno di rabbia e sopita ricerca di redenzione, fino alla battaglia finale e alla consapevolezza che l’unico modo per fermarsi era sacrificarsi per l’umanità. Una breve scena dopo i titoli di coda di God of War III mostra che Kratos è sparito dal punto in cui si era ucciso, con solo una scia di sangue a testimonianza. Un finale se vogliamo “furbetto”, ma che è stata la scintilla per la sua avventura nelle terre di Midgard. Una storia diversa, dove colui che una volta era il Fantasma di Sparta dovrà cercare di evitare che il figlio faccia i suoi stessi errori.