Fist of the North Star Lost Paradise, il ritorno di Kenshiro - Recensione
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Ci sono opere che segnano un’epoca, proprietà intellettuali capaci di incantare le masse e formare l’immaginario di una o più generazioni: Hokuto no Ken è senza dubbio una di queste.
Nato nel 1983 dall’estro creativo di Buronson (AKA Yoshiyuki Okamura), questo manga ha riscritto alla giapponese molti dei canoni del genere post apocalittico, codificandone di nuovi e creando un universo disperato, cupo, violento, capace di conquistare in breve tempo un posto nel cuore di milioni di appassionati, anche al di fuori dei confini nipponici.
Purtroppo, come spesso accade con i tie-in, le incarnazioni videoludiche della serie hanno raramente lasciato il segno (per usare un eufemismo…), almeno fino all’uscita del titolo di cui ci occuperemo oggi, figlio del lavoro del Ryu Ga Gotoku Studio, ovvero le menti dietro il franchise Yakuza.
Signore e signori, benvenuti nella nostra recensione di Fist of the North Star Lost Paradise.
La strada polverosa che porta ad Eden
La stupidità e l’autolesionismo umani hanno colpito ancora: dopo decenni di sanguinosi conflitti, la razza umana ha fatto ricorso al nucleare, prosciugando gli oceani e devastando i continenti.
Come sempre accade in guerra, la brama di potere di pochi viene pagata a caro prezzo da tanti, e la povera gente innocente, miracolosamente scampata alle esplosioni nucleari, si arrabatta bevendo acqua sporca e mangiando ciò che capita a tiro
L’umanità è sopravvissuta, ma a che prezzo? E, soprattutto, con quali prospettive?
Fist of the North Star Lost Paradise riprende solo vagamente temi e ambientazioni del manga originale, introducendo da zero personaggi e vicende, senza dare per scontata alcuna pregressa conoscenza del materiale originale: certo, aver seguito la serie e conoscere motivazioni e personalità aiuta l’immersione nell’universo narrativo, ma anche chi volesse avvicinarsi al brand con questo gioco potrebbe farlo senza problemi.
A testimonianza di ciò, le vicende narrate rimescolano luoghi, protagonisti e incontri, senza sedersi sugli allori del già visto configurandosi più come un racconto inedito alternativo che come una riproposizione di eventi già visti.
Masayoshi Yokohama, che si è occupato della trama e dei dialoghi, opta quindi per un reimagining delle vicende delle prime stagioni del manga, utilizzando luoghi e personaggi noti ed affiancandoli ad altri totalmente inediti, non sempre all’altezza dei primi ma generalmente capaci di non sfigurare durante l’avventura.
Già nel prologo, mentre si concede al giocatore di prendere confidenza con le meccaniche di gioco, ci si troverà faccia a faccia con Shin, rapitore di Yuria, fidanzata di Kenshiro: il primo incontro tra i due ha visto il nostro soccombere miseramente, permettendo a Shin di prendere con sé la bella, costretta a seguirlo in cambio della vita del suo amato, lasciato a morire nella sabbia.
Come spesso accade, però, la misericordia si può ritorcere contro chi la esercita con leggerezza.
Kenshiro si mette allora alla ricerca della sua amata, girovagando per il deserto quasi senza meta, affidandosi a dicerie ed indicazioni della gente che incontra.
Un nonno e una figlia salvati dal nostro dalla furia di due briganti (che vanno incontro ad una fine orrenda, come da tradizione del manga), indirizzano Kenshiro verso Eden, ultimo baluardo della civiltà umana (se così la si può chiamare), all’interno del quale potrebbe nascondersi Yuria, che, a quanto pare, si è messa a capo di una banda e si è adeguata al clima di violenza che regna nel deserto nucleare.
Ben diverso, quindi, dalla storia narrata dal lungometraggio tornato nelle sale qualche giorno fa in versione rimasterizzata, l’intreccio di Fist of the North Star Lost Paradise riesce ad incuriosire anche i veterani del brand, alcuni dei quali, però, potrebbero storcere il naso dinanzi a qualche libertà creativa di troppo.
Dal canto nostro, abbiamo apprezzato il coraggio nel proporre qualcosa di nuovo a livello di personaggi ed ambientazioni e la scrittura di certi dialoghi non presenti nella serie anime originale.
Botte da orbi
L’analisi delle meccaniche di gioco dell’ultima fatica del Ryu Ga Gotoku Studio non può che essere bipartita: in caso aveste già giocato ad uno qualsiasi degli episodi del franchise Yakuza pubblicati in occidente (e, in particolare, a Yakuza Kiwami, arrivato su PS4 lo scorso anno), saprete benissimo cosa aspettarvi, con una manciata di novità che non mancheremo di elencare.
Al contrario, se foste completamente a digiuno dei precedenti lavori del team in seno a Sega, potreste inquadrare facilmente Fist of the North Star Lost Paradise nel filone degli action rpg di stampo nipponico, una genia che si è evoluta (ma in fondo nemmeno troppo) a partire dalla formula dei due Shenmue di Yu Suzuki, rigiocati di recente nella remaster recensita dal nostro Valthiel.
L’alternanza tra lunghe fasi dialogiche, punteggiate da cutscene realizzate con il motore di gioco, e sezioni in cui controllare direttamente il protagonista, conducendolo perlopiù lungo battaglie in tempo reale a metà tra quelle di un gioco di ruolo d’azione e di un picchiaduro a scorrimento in tre dimensioni, costituisce la struttura portante della produzione, il cui ritmo è posto dal team di sviluppo interamente nelle mani dell’utente.
Se, in una prima fase, la narrazione, lineare ed abbastanza guidata, prende il sopravvento, stabilendo tempi di gioco e portando il giocatore esattamente dove vuole, l’arrivo ad Eden, dopo solo un paio d’ore di gioco, apre a soluzioni ludiche assai variegate, offrendo un ventaglio piuttosto ampio di attività secondarie, capaci di spezzare l’incedere della storyline principale e aumentare il tasso di varietà e di divertimento.
A tal proposito, sebbene non abbiamo mancato di dilettarci in ognuna delle attività opzionali, inferiori per numero se paragonate a quelle offerte dalla serie Yakuza ma comunque più che sufficienti per offrire svago ai giocatori più inclini al vagabondaggio ludico, abbiamo trovato a tratti forzata la loro inclusione nel pacchetto, traendone meno diletto di quanto non avvenisse durante le avventure di Kazuma Kiryu: il minigioco in stile baseball, dove colpire i predoni invasori in sella alle loro motociclette, strappa due risate ma annoia abbastanza presto, così come sembra totalmente fuori luogo quello dedicato alla vita notturna da barman cui Kenshiro può dedicarsi in uno dei locali più frequentati di Eden.
Non che la meccanica dei minigiochi, in sé, risulti deficitaria, ma il loro inserimento sembra un po’ posticcio e il grado di ripetitività si innalza piuttosto presto, laddove, invece, il sistema di taglie sembra meglio integrato nel corpo del gameplay e consente di cimentarsi in scontri davvero impegnativi, capaci di mettere alla prova (almeno a livello Difficile) anche i veterani dei lavori del Ryu Ga Gotoku Studio.
Come spesso accaduto anche nei passati prodotti dello studio giapponese, però, a far brillare di luce propria Fist of the North Star Lost Paradise è il sistema di combattimento, che aggiunge qualche variante inedita a quello, apprezzato e rodato, che ci ha visto malmenare per anni brutti ceffi nei panni di Kazuma Kiryu: godibile su più livelli, dal principiante che si limita al button mashing al veterano che alza l’asticella della difficoltà e si sottopone ad un vero e proprio training virtuale di arti marziali, il combat system restituisce la vivida sensazione di essere Kenshiro, quella sognata da milioni di ragazzi di tutte le latitudini negli ultimi trent’anni.
Alle combinazioni di attacchi rapidi e potenti, la parata e la schivata, già visti negli Yakuza, Fist of the North Star Lost Paradise aggiunge la possibilità, una volta storditi i nemici con una sequela di colpi, di premere il tasto cerchio ed infliggere loro una delle letali tecniche dell’Hokuto Shinken, generando una serie di rapidi quick time event al culmine dei quali non solo si ottiene maggiore esperienza, ma si vede l’avversario deformarsi ed esplodere proprio come nell’anime, con un conseguente effetto soddisfazione over 9000.
La scelta della tecnica dipende dalla posizione relativa del nostro alter ego rispetto al corpo del nemico, dal numero di nemici presenti su schermo (ce ne sono di dedicate al crowd control) e da quello di tecniche sbloccate nell’apposita schermata, all’interno della quale spendere le sfere ottenute combattendo e salendo di livello.
Vista l’altissima frequenza dei combattimenti, la ripetitività è decisamente un fattore, ma la soddisfazione di veder esplodere la feccia delle wasteland non accenna a diminuire con il passare della ore: peraltro, come già accennato, la godibilità del combat system aumenta di pari passo con il livello di difficoltà, modificabile in qualsiasi momento dal menu di pausa, per cui il consiglio è di cimentarsi con quello massimo già da subito, per apprezzare al meglio le finezze di un sistema da alcuni etichettato (erroneamente) come troppo semplificato.
Tra i colpi segreti che è possibile imparare da Toki, le tecniche occulte ottenibili solamente portando a termine determinate substories e la presenza di un sistema di amuleti, forgiabili con i materiali ottenuti durante l’avventura, c’è davvero di che sbizzarrirsi.
Proprio quest’ultima rappresenta un’altra delle novità inserite rispetto alla serie Yakuza: dopo aver conosciuto ed interagito con un dato personaggio, Kenshiro ne sblocca la stella corrispondente, ovvero la possibilità di coniare un amuleto (se ne possono indossare tantissimi in preset da quattro l’uno) che offre un effetto addizionale in battaglia, al prezzo di un susseguente tempo di cooldown.
Questi effetti variano da una difesa migliorata per qualche secondo alla possibilità di entrare in uno stato di berserk e infliggere molti più danni, passando per esperienza aggiuntiva a fine combattimento e tanto altro ancora: un modo efficace di personalizzare ancora di più i numerosissimi scontri, rendendo ogni scazzottata potenzialmente diversa da quella precedente.
Ci hanno convinto anche l’inclusione di sezioni a bordo di mezzi a quattro ruote, con i quali scorrazzare per le wasteland per accumulare materiali per la forgiatura, portare a termine missioni secondarie o recarsi a far visita al buon Toki: sebbene i controlli dei vari mezzi risultino alquanto ruvidi, l’assenza di ostacoli e, soprattutto, la possibilità di upgradare e modificare il proprio veicolo rendono questi frangenti un gustoso divertissement, utile ad intervallare i combattimenti e a guadagnare qualche moneta extra.
Inesperienza tecnica
Sebbene non si possa definire deficitario né tantomeno sgradevole, l’aspetto tecnico della produzione rappresenta quello che ci ha colpito meno, probabilmente, suo malgrado, anche per la vicinanza con il recente Yakuza Kiwami 2, che mostrava i muscoli del Dragon Engine.
Come ampiamente anticipato dal direttore creativo del team di sviluppo, Fist of The North Star Lost Paradise non utilizza il motore che ha così ben impressionato negli ultimi due episodi del franchise Yakuza ma la versione precedente, quella, per intenderci, che muoveva i titoli fino a Yakuza Kiwami, con il quale, infatti, sono numerose le similitudini.
Questo, in soldoni, si traduce in un maggiore spezzettamento delle fasi esplorative, interrotte da brevi ma frequenti caricamenti, nella minore complessità delle costruzioni poligonali e dei modelli dei personaggi non giocanti e, soprattutto, in una minore espressività dei volti durante le lunghe scene animate, che riprendono quel tono di “plasticosità” che aveva caratterizzato i vecchi episodi del franchise con protagonista Kazuma Kiryu.
Non che l’estetica del prodotto demeriti, sia chiaro: nonostante il livello di dettaglio e gli effetti di luce non siano all’altezza delle ultime produzioni del Ryu Ga Gotoku Studio, Fist of the North Star Lost Paradise può vantare una buona direzione artistica, un frame rate generalmente molto solido e, cosa più importante per tutti coloro che sono cresciuti con Hokuto no Ken in ogni sua forma, una incredibile fedeltà al materiale originale, a testimonianza dell’amore degli sviluppatori per la licenza.
Per quanto concerne il sonoro e la longevità, invece, si passa da una valutazione “solo” buona ad una decisamente eccellente: la presenza della doppia traccia audio (originale ed inglese) consente di godersi l’ennesima prestazione sopra le righe di tutto il cast di doppiatori della serie Yakuza, a partire dalla voce di Ken, che è, ovviamente, quella di Takaya Kuroda, storico doppiatore di Kazuma Kiryu.
Il consiglio, sebbene il gioco sia settato sulla traccia inglese di default, è di optare per la versione nipponica, comunque sottotitolata nella lingua d’Albione.
La mole di contenuti è, come di consueto per le produzioni dello studio giapponese, gargantuesca: la sola campagna principale ci ha portato via poco più di venti ore di gioco, ma anche solo cimentandosi in un terzo delle numerose attività secondarie si fa incrementare il valore di almeno un’altra decina di ore, in linea con gli episodi migliori del franchise Yakuza.
+ Struttura di gioco non innovativa ma solida e rodata
+ Combat system violento e viscerale
+ Grande rispetto per il materiale originale...
- ...ad eccezione di qualche minigioco un po' forzato
8.4
Fist of The North Star Lost Paradise è, semplicemente, il miglior videogioco mai dedicato alle avventure di Kenshiro, titolo che gli basterebbe per guadagnarsi una calda raccomandazione a tutti i fan dell’universo narrativo figlio del genio di Buronson e dell’inconfondibile tratto di Tetsuo Hara.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un mero reskin degli episodi meno recenti del franchise Yakuza, qualcun altro che la concorrenza formata da tutti gli altri titoli su licenza dedicati a Hokuto no Ken è stata fin qui risibile, ma nessuno di questi coglierebbe nel segno, perché, come per il recente Spiderman di Insomniac e i Batman di Rocksteady, che pure potevano contare su valori produttivi decisamente superiori, Fist of the North Star Lost Paradise eccelle nel far sentire il giocatore realmente nei panni del suo eroe.
Se sognate da anni di urlare uattattattattattatta dinanzi al televisore mentre fate sputare sangue a quel vigliacco di Shin (e a tanti altri dopo di lui…), potreste scoprire che sogni e realtà alle volte si incontrano.
Voto Recensione di Fist of the North Star Lost Paradise, il ritorno di Kenshiro - Recensione - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Vi sentirete Kenshiro
-
Struttura di gioco non innovativa ma solida e rodata
-
Combat system violento e viscerale
-
Grande rispetto per il materiale originale...
Contro
-
Si sente la mancanza del Dragon Engine
-
...ad eccezione di qualche minigioco un po' forzato