Amo i JRPG a turni, li amerò per sempre e so per certo che parecchi di voi condividono il mio stesso sentimento.
Non mi piacciono le derive action che vanno a sfavore dei combattimenti tattici e ragionati, e ritengo che cambino in modo radicale la serie e anche il genere stesso.
Né il mio gusto personale, né tanto meno il vostro, possono e potranno mai cambiare le leggi di mercato, le strategie aziendali e le necessità di rientrare dai costi di marketing e produzione.
Mettete insieme queste tre frasi, ragionate bene sulle conseguenze di quanto detto e smettiamola una volta per tutte di lamentarci del fatto che Final Fantasy XVI non sia un vero Final Fantasy, perché siamo diventati solo una minoranza che non potrà essere accontentata mai più.
Nascita, crescita e morte di un nome glorioso
Gli amanti dei vecchi Final Fantasy sono cresciuti in un'epoca in cui dal primo al decimo episodio si viveva dentro un sogno da cui si pensava che non saremmo mai stati svegliati. Abbiamo adorato quelle icone intramontabili, conosciamo quelle opere a memoria, le idolatriamo e le eleviamo di continuo come metro di paragone perché siamo inguaribili nostalgici, piuttosto vecchi e anche incapaci di accettare il cambio dei tempi. Noi siamo il passato; quei Final Fantasy sono il passato.
Volete i vecchi Final Fantasy a turni? Allora perché non fate in modo che Square Enix non abbia scelta e sia obbligata a fare come volete? Quante persone che si dicono amanti dei JRPG a turni hanno davvero comprato i Bravely Default, che sono le opere più vicine in assoluto a ciò che rivorreste indietro come se vi fosse stato sottratto impunemente?
Perché Octopath Traveler 2, persino in Giappone, passa in sordina e al lancio retail vende meno di 110mila copie? Lo sapevate che Triangle Strategy ha fatto persino peggio? Non parliamo invece di Live A Live, che è meglio.
Questo è solo un piccolo campione delle ultime uscite più importanti in ambito JRPG, utile per offrirvi la chiara dimostrazione che il grande pubblico, oggi, è decisamente meno propenso ad acquistare titoli di questo genere, che dopo un periodo di buio sono tornati quantomeno a ritagliarsi una discreta nicchia di mercato.
Ci sono ovviamente delle eccezioni che solo apparentemente sembrano tradire una tendenza purtroppo consolidata, e parliamo in particolare di titoli di grosso calibro come Persona 5. Sono casi fuori dal comune e non rappresentano di fatto una forte controprova capace di smentire quanto detto.
Bisogna tuttavia portare alla luce un altro tipo di problema che non è diretta responsabilità del pubblico che non acquista. Se in passato – e in particolare nell'era PSOne – i JRPG venivano trattati come dei colossi in grado di spostare in maniera sensibile le vendite, oggi vengono considerati dei progetti minori, quasi alla stregua di piccoli indie. Lo vediamo palesemente da come una delle case madre del genere come Square Enix indirizza la comunicazione e gli investimenti: poco o nulla.
Questo modus operandi ha trasformato tutta la questione di fondo nel solito cane che si morde la coda: le aziende vogliono alti profitti col minimo sforzo, ma poi si meravigliano se l'utenza snobba opere poco curate e sviluppate col cappio di investimenti a dir poco esigui, che mettono sin troppi paletti alla creatività e alle possibilità dei progetti stessi. Il pubblico vuole più lustrini e paillettes? Certamente.
Presentarsi con la bistratta pixel art o con una grafica considerata datata è un deterrente importante, perché sì, la grafica è un fondamentale biglietto da visita ed è la prima cosa che balza all'occhio. Non lo è per alcuni di voi? Non lo è per me? Non importa: lo è per sin troppi utenti, che sono poi quelli che decretano il successo o il fallimento di un progetto.
Basterebbe analizzare le ultime uscite di Square Enix per rendersi conto di quanti JRPG sono stati letteralmente buttati sul mercato e di quanta miopia ci sia dietro certe strategie suicide che qualunque essere umano dotato di raziocinio bloccherebbe sul nascere.
Ed è proprio sui grandi numeri che si baserà il successo di Final Fantasy XVI. Quante persone possono essere acchiappate con un sistema di combattimento a turni e con una struttura di gioco vecchia scuola? Quante, invece, sarebbero disposte a comprare il capitolo principale della nostra serie più di rilievo grazie al nome che porta ma coi connotati del tutto cambiati?
Le domande che Square Enix deve essersi posta sono grossomodo queste, e la decisione di attuare certe scelte (che rimangono in ogni caso molto rischiose) è diretta conseguenza di dati oggettivi che non possono essere presi sottogamba.
Final Fantasy XVI e il futuro: il ritorno al passato è una possibilità?
Al di là delle evocazioni e di alcuni punti in comune, di Final Fantasy probabilmente è rimasto ben poco. Su questo concordiamo tutti quanti e sarebbe assurdo e in opposizione alla realtà affermare il contrario. Quando nel progetto coinvolgi il combat designer di Devil May Cry, dopotutto, l'andazzo non può che essere scontato, mentre meno certo è l'ammontare delle vendite finali in relazione alle effettive aspettative aziendali.
Che Final Fantasy XVI sia il capitolo del rilancio non c'è alcun dubbio, dopo i disastri del capitolo precedente e la discutibile gestione del tredicesimo episodio. Al contempo, una Square Enix in perdita negli ultimi resoconti finanziari sta puntando tutto sulla sua opera di punta, che non può assolutamente fallire perché sarà in grado di determinare un'intera annata e al contempo il delinearsi delle strategie future.
Il cambio di presidente, che diventerebbe effettivo a breve, è un'incognita un po' per tutti, ma riteniamo difficile che possa fare peggio di Matsuda (che però ha già pianificato i prossimi due/tre anni, con buona pace della salute della compagnia e degli investitori). Lasciamo però aperta una finestra sullo sconforto, perché non è assolutamente detto che Takashi Kyriu cambierà tutto, soprattutto se si considerano i suoi forti interessi sul Metaverso.
A proposito di strategie incomprensibili, e in casa Square Enix bisogna dire che è complicato individuarne una giusta nell'ultimo lustro, bisogna a questo punto analizzare cosa è successo ai giochi di ruolo nipponici dell'ultima annata e come si sono ammassati uno sopra l'altro, togliendosi a vicenda il poco spazio a disposizione: Voice of Cards: The Beast of Burden esce il 13 settembre, Various Daylife tre giorni dopo, The DioField Chronicle il 22 dello stesso mese e dopo una settimana arriva anche Valkyrie Elysium. Complimenti.
Il mese successivo è il turno di Star Ocean: The Divine Force, mentre a novembre escono insieme il remake di Front Mission, Harvestella e Tactics Ogre: Reborn. A dicembre, invece, ecco Dragon Quest Treasures e Crisis Core: Final Fantasy VII Reunion. Circa dieci giochi in tre mesi, con la durata media che offrono, sono letteralmente impossibili da recuperare al lancio, e sappiamo bene quanto le aziende prendano in considerazione già la prima settimana per fare una stima di come ogni singolo titolo stia effettivamente andando. Se aggiungete che molti tra questi sono stati sviluppati con pochi soldi, abbassandone in molti casi la qualità media, ecco che appaiono ancora più assurde le pretese di vendita che la compagnia si era prefissata.
Con ogni probabilità le scarse vendite (in media e con le dovute eccezioni) di questo lotto di giochi vengono usate come prova per asserire che questa impronta non va più bene, ma se a monte dimostri di avere poco interesse e cura, e se al contempo li immetti sul mercato seguendo una visione inconcepibile e con una logica autolesionista, è difficile farsi poi travolgere da ciò che si ritiene inaspettato o sorprendente in negativo.
L'utente medio è costretto a fare una cernita e deve restringere ancora di più il cerchio quando le uscite sono così ravvicinate. Oltretutto, nello stesso periodo caldo arrivano altri titoli di peso importanti, e trovare spazio per quello che è ormai un genere di nicchia è doppiamente complicato.
Coi suoi piccoli progetti tanto belli ma mal gestiti, Square Enix dovrebbe vendere talmente tante copie da giustificare investimenti più importanti anche per opere minori, ma questo non accadrà mai fin quando scelte scellerate come quelle dell'anno appena trascorso continueranno a essere la norma.
Final Fantasy XVI (se interessati, potete preordinarlo su Amazon per PS5) è invece atteso da un pubblico davvero enorme, soprattutto da coloro che abiurano i JRPG a turni. Sono loro che decideranno se Yoshida sarà l'uomo della rinascita anche per i capitoli canonici, e siamo tutti noi a determinare se il passato della serie è morto per sempre o se l'ondata di malcontento potrebbe portare a una fase di riflessione che prelude all'ennesimo cambiamento. Se dovessi fare una previsione personale, vi direi serenamente che Final Fantasy XVI venderà moltissimo e che non vedremo mai più un capitolo principale a turni.
Se davvero volete che qualcosa cambi non tanto nella serie, ma almeno per la considerazione che oggi ha il genere, è necessario che supportiate con forza proprio i progetti minori che in larga misura vengono umiliati dalle scarse vendite. I corsi e ricorsi storici ci sono e ci saranno sempre; ma questo mercato è liquido, mutevole per sua natura, schizofrenico, imprevedibile e sempre pronto a indicare tendenze che spesso sono in netto contrasto col volere di parecchi giocatori.
Se questo Final Fantasy XVI tutto votato all'azione sarà il capitolo del rilancio definitivo, potrete dire davvero addio ai combattimenti a turni (ma tanto lo avete già fatto dopo il decimo capitolo, no?); ma se il possibile successo dirompente servirà a rimpinguare le casse di Square Enix al fine di rendere migliori anche i progetti più piccoli che solo noi abbiamo il dovere di supportare, allora tanto di guadagnato.
Se invece quei soldi verranno investiti massicciamente su NFT, blockchain, giochi live service e altro che non è di vostro gradimento, sapete bene cosa fare. I gusti personali e le lamentele non indirizzano niente, gli acquisti sì.