Final Fantasy X: Il Messaggio di Spira – Speciale
Torniamo a Spira per indagare i temi e i messaggi di Final Fantasy X, il poema epico (e testamento) di Squaresoft.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: SquareSoft
- Produttore: Square
- Distributore: Sony CEE
- Piattaforme: PS4 , SWITCH , PS2
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: disponibile
Attenzione! Questo video articolo contiene spoiler da Final Fantasy X.
A fine febbraio 2020 è stato chiesto quale fosse il Final Fantasy preferito dal pubblico giapponese: la vittoria è andata (forse un po’ a sorpresa) proprio al decimo capitolo della saga. Un giudizio particolare, considerando appunto gli sforzi di Square-Enix con il remake del settimo capitolo. Oggi, però, non vogliamo interrogarci su quest’ultimo, ma appunto indagare su come mai Final Fantasy X sia ancora così amato.
Final Fantasy X, o “non si torna più indietro”
Final Fantasy X fu, per molti punti di vista, sia il momento più alto che il punto di non ritorno per Squaresoft/Square Enix. Costato 4 miliardi di yen (corrispondenti grossomodo a una trentina di milioni di euro) e sviluppato da un centinaio di persone, era l’esordio della saga sulla neonata PlayStation 2. Per farlo si decise di creare il più spettacolare e visionario videogioco di ruolo alla giapponese mai visto. Un’impresa che è riuscita, ma nel modo più paradossale di tutti: in un’industria che andava muovendosi sempre di più verso il mondo aperto in cui azione ed esplorazione si intersecassero senza soluzione di continuità, l’opera recuperò la tradizione dei turni e una trama lineare.
Proprio per questo l’accoglienza forse fu meno “calorosa” rispetto a quella che era stata riservata ai suoi fratelli per la prima PlayStation. Per quanto ne furono riconosciuti i meriti, quello che gli si rimproverava era sia il suo essere “troppo simile” ai predecessori che di essere “tornato indietro” anche a livello di sistema e ambientazione, nella sua decisa linearità.
Di nuovo, era tutto vero ma allo stesso tempo in pochi capirono come tutto questo fosse in realtà funzionale proprio a quello che Final Fantasy X voleva fare: raccontare una storia. Una medicina amara che si nasconde sotto il “miele” dei tratti pastello e qualche buffa scenetta, ma che in realtà mette in campo temi difficili, pesanti, che fanno sentire a disagio. La storia di Final Fantasy X è un poema epico che parla di peccato, paura, amore, vendetta, politica, rapporto col divino, figure genitoriali, passato e redenzione, fino alla morte stessa: non è mai stato ammesso esplicitamente, ma è palese come tutto Final Fantasy X sia prima di tutto una riflessione sulla morte e dell’inquietudine che (a causa della sua intrinseca imperscrutabilità) suscita nell’essere umano.
C’è del marcio a Spira
L’ultima grande opera di Hironobu Sakaguchi, Yoshinori Kitase, Nobuo Uematsu e dei loro collaboratori è un poema epico non solo per il suo ampio respiro e la tensione verso la “grande impresa”, ma perché prima di tutto mette al centro della storia l’essere umano, in ogni sua sfaccettatura grande e piccola, elevata e bestiale. Ne evidenzia le infinite potenzialità derivate dal suo poter immaginare l’infinito pur non potendolo raggiungere, e della sua capacità di realizzare l’impossibile, fosse anche tirare giù gli dèi dai loro troni. A partire anche dai sette eroi: Tidus lo sportivo che da irresponsabile realizza il proprio scopo, Yuna che porta avanti il suo dovere nonostante sappia il destino infausto che la attende, Auron il severo mentore in cerca di redenzione, Kimahri il guardiano silenzioso, Lulu la cinica ma empatica maga, Rikku l’enfant prodige. E infine Wakka, che da bacchettone tecnofobico e un po’ razzista cambia radicalmente quando insieme ai suoi compagni porta a galla il marcio della classe clericale e dello stesso culto di Yevon.
Come sarebbe capitato più volte nel corso degli anni Duemila, il mondo del gaming non era pronto neanche per Final Fantasy X. Questo perché, anche dopo vent’anni, semplicemente la storia di quest’opera rimane tra le più grandi (se non la più grande in assoluto) che si siano mai viste nel suo genere. La sua narrazione lineare e il suo sistema tradizionalista erano in realtà solo il veicolo per realizzare il primo, grande poema epico originale della videoludica moderna. La fine di un sogno, l’ultimo grande fuoco d’artificio della sua epoca d’oro, un orgoglio di unità e umanità con un messaggio palese, universale ed eterno: «i compagni persi, i sogni svaniti, non dimentichiamoli mai».