Cos'è andato storto con Anthem e la strada verso il nuovo Mass Effect – Speciale
Con BioWare che ha promesso una nuova era per Anthem, riflettiamo su cosa non abbia funzionato e su cosa aspetti Mass Effect nella via del futuro
a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: BioWare
- Produttore: EA
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Azione
- Data di uscita: 22 febbraio 2019
In ogni rapporto c’è un momento di flessione, e si può dire che qualcosa del genere lo stanno vivendo i giocatori con BioWare, uno degli studi più amati dell’era moderna che si è impelagato in un progetto multiplayer capace nello stesso momento di alienare la fanbase storica e deludere tra le altre cose per superficialità quelli che avrebbero dovuto essere i nuovi appassionati.
Anthem è stata la lungamente prevista goccia che ha fatto traboccare il vaso, già vicino a riempirsi con la gestione discutibile frettolosa di Dragon Age II e del franchise di Mass Effect dal terzo capitolo in poi, nonché un vicolo cieco da cui la software house nata in Canada non pare essere in grado di uscire.
L’annuncio di un rework completo del gameplay è l’occasione per parlare più approfonditamente di cosa non sia andato con l’ultimo gioco, e di come una situazione al limite potrebbe migliorare nel giro di pochi anni con la giusta consapevolezza del proprio DNA e di quello dei fan accumulati nel corso delle ultime generazioni.
Un’epopea lunga sette anni
Lo sviluppo di Anthem è un’epopea lunga ben sette anni, dei quali, curiosamente, soltanto 12-16 mesi sono stati utilizzati per la produzione vera e propria. Il tempo lungo questo (quasi) decennio è stato speso, stando ai resoconti mai smentiti davvero di Kotaku, in dolorose partenze e cambi nello staff, oltre che nell’indecisione atavica sulla direzione in cui mandare il progetto.
Il gioco, nato come nome in codice Dylan (come Bob Dylan avrebbe dovuto rivoluzionare l’ambito dell’intrattenimento in cui sarebbe stato attivo), prese forma nel 2012 e al tempo aveva nel suo comparto multiplayer online il pilastro, la luce guida; questo già di per sé smentisce che sia stata Electronic Arts ad imporre un cambio di genere rispetto alle produzioni single-player per cui lo studio canadese è noto.
Tra il 2012 e il 2014 la pre-produzione, di per sé già piuttosto lunga visto che questa fase non dura certo due anni di norma, procede comunque in maniera sostenuta sotto la guida di Casey Hudson, mastermind della serie Mass Effect, e con membri del team della trilogia del Comandante Shepard impegnati sul brainstorming e sulle applicazioni delle idee originali.
La situazione cambia quando, nel 2015, Hudson lascia BioWare (per un breve passaggio su esperienze a tema Kinect presso Microsoft). Al tempo, il creativo afferma che le fondamenta per il progetto siano già state gettate, e per questo si sentiva abbastanza tranquillo nel lasciare ora dal momento che quello gli sembrava il frangente giusto per farlo senza compromettere il futuro di BioWare.
Mai previsione fu più errata. In quello stesso anno, la storia viene affidata a David Gaider, veterano di Dragon Age, e questo è un passaggio importante perché tutti i prodotti del team di Edmonton prendono forma a cominciare dal comparto narrativo; in un anno, però, non si riesce a trovare la quadra soprattutto perché gli sviluppatori non amano la deriva estremamente, a loro dire, fantasy in luogo della fantascienza che aveva fatto loro brillare gli occhi sotto il creatore di Mass Effect.
Questo porta al primo pesante “story reboot” affrontato dal cantiere aperto dell’etichetta di EA, durante il quale vengono messe in discussione persino meccaniche cardine come il volo – cancellato e per larghi tratti ritenuto estromesso in maniera definitiva da quello che sarebbe diventato Anthem. In questa fase vengono affrontati problemi di design, relativi specialmente a cosa si sarebbe dovuto fare nel concreto durante le missioni, e nella creazione dell’infrastruttura online che avrebbe dovuto sostenere il gioco.
Oltretutto, i vertici dello studio sono impegnati nella gestione di Mass Effect Andromeda, diventata inaspettatamente complicata presso la nuova sede di Montreal, e la spada di Damocle del Frostbite – un motore grafico indigesto a chiunque sotto l’egida di Electronic Arts, tranne che a DICE, pare o perlomeno si spera visto che è una loro creatura – rende ulteriormente farraginoso un lavoro già in partenza delicato.
Il 2017 è però un anno importante per Anthem: esce, finalmente, Andromeda e nonostante l’accoglienza non sia stata eccezionale questo libera risorse per il team centrale impegnato sul progetto multiplayer; arriva, inoltre, un primo feedback della proprietà che, dopo aver dato carta bianca a lungo, si accerta dello stato dei lavori con Patrick Soderlund, all’epoca responsabile della label EA Games, e rimane delusa dal comparto grafico e in generale dalla scarsa ispirazione in una demo mostratagli in privato.
Soderlund decide di inviare un team di DICE ad Edmonton, Canada, per aiutare con il maneggiamento del Frostbite, promettendo di tornare in primavera per capire a che punto si sia giunti e valutare in definitiva se mandare avanti o meno il progetto. Al suo ritorno, con un team agitato dopo il flop quantomeno mediatico di Andromeda, trova fortunatamente la situazione molto migliorata.
Un retroscena curioso è legato alla creazione di questa demo: in quel momento, secondo voci interne a BioWare, i piani alti della software house ancora non sapevano che gioco avrebbe dovuto essere il loro; il volo era stato rimosso perché avrebbe creato problemi di esplorazione del mondo ma, dopo il primo test di EA, fu deciso per una sua reintroduzione implementata nel corso di un weekend, e in base alla risposta della dirigenza si sarebbe deciso se mantenerlo o meno – e parliamo di una delle meccaniche alla base del gameplay finale.
Quella demo, comunque, andò bene e fu utilizzata come base per il trailer che fu poi rivelato all’E3 2017 presso il media briefing di Xbox; guardandolo, in tanti ebbero l’impressione di capire soltanto in quel momento a cosa stessero lavorando davvero. Sempre in quell’anno, di fronte evidentemente anche al diktat di Electronic Arts che non avrebbe permesso rinvii oltre marzo 2019, il general manager Aaryn Flynn lascia e torna Casey Hudson alla guida.
Guardando la roadmap obbligata di fronte a se, con 16-18 mesi rimasti contando il rinvio rispetto alla finestra dell’autunno 2018 sparata nel mucchio all’E3, Hudson decide di cancellare una prima versione di Dragon Age 4, per quanto molto avanzata e riavviarne lo sviluppo con un team molto più piccolo.
Ciò permette di concentrare tutte le risorse di BioWare su Anthem; in questa fase – con il titolo che non ha ancora neppure una meccanica di salvataggio e caricamento della partita – arrivano sul gioco personaggi dello spessore di Mark Darrah, produttore esecutivo, e i lavori iniziano a prendere la forma più concreta che abbiamo conosciuto.
Il 2018 è l’anno della corsa contro il tempo, e dello sviluppo con una fretta e una superficialità che non si addicono ad una realtà della caratura dei creatori di Knights of the Old Republic: il gameplay loop, la storia e le missioni vengono realizzati in 12-16 mesi, senza possibilità di tornare indietro nel caso ci si accorgesse – cosa poi verificatasi – che il gioco non fosse divertente o avesse grossi problemi.
Per i costi elevati e lo scarso tempo a disposizione, le scene prodotte in performance capture hanno una sola cut a disposizione, e spesso (come scoperto da alcuni fan sul prodotto finito) vengono infilate a forza nel gioco producendo dialoghi che non significano niente perché si appoggiavano su altri poi tagliati in certe parti e ricuciti altrove. Per non parlare del crunch, che mette ulteriormente in ginocchio una squadra già molto, troppo provata.
La strada che porta al nuovo Mass Effect
La strada che porta al nuovo Mass Effect è estremamente lunga e tortuosa, e passa per due step cardine: il recupero di Anthem e il lancio del prossimo capitolo della serie Dragon Age. Il rework del titolo online è già in corso, come abbiamo appreso pochi giorni fa, e dalla sua buona riuscita dipende molto di quello che sarà di BioWare negli anni a venire.
Non parliamo soltanto della riuscita o meno di questi progetti, ma anche e forse soprattutto del modo di lavorare dell’etichetta canadese; per anni, per DNA, ha fatto affidamento sulla “BioWare Magic”, ovvero un modus operandi che prevede lunghe gestazioni a partire da una o poche idee, soltanto nel corso delle quali (spesso nell’ultimo paio di anni) viene trovata la strada giusta per la loro concretizzazione. È lo stesso metodo usato per Dragon Age e Mass Effect, ad esempio, e che si pensava avrebbe dato frutti pure su Anthem.
Quest’ultimo per larghi tratti era stato previsto come un survival cooperativo online, che avrebbe rifuggito i trend dei looter shooter (negli uffici di Edmonton non si voleva sentir parlare di Destiny, semmai di Diablo III) per puntare su un’ambientazione in continua evoluzione costellata di mostri esotici e location pericolose nel quale il solo sopravvivere sarebbe stato una sfida sufficientemente appagante.
Lo stesso nome, Anthem, è una seconda scelta: il titolo originale era Beyond, e fu cambiato poche settimane prima dell’E3 2017 quando addirittura i membri dello staff avevano già magliette celebrative da indossare alla manifestazione losangelina con quel moniker stampato ben in vista. Per quanto avesse un’attinenza con l’Inno della Creazione interno all’universo del gioco, il team vedeva in Beyond – che ebbe problemi di registrazione del marchio – qualcosa di più indicativo della natura esplorativa del gioco, in cui gli utenti avrebbero dovuto rischiare tutto per visitare i luoghi “oltre” le mura di Fort Tarsis.
È chiaro, lo ha riconosciuto Hudson nel suo ultimo post, che questa modalità di lavoro non funziona realmente: per far sì che la ricostruzione di Anthem abbia successo, “faremo qualcosa che ci piacerebbe aver fatto di più la prima volta – dare ad un team dedicato il tempo di testare e iterare, concentrandosi sul gameplay prima di tutto”.
“Nei prossimi mesi”, ha spiegato rivelando i primi particolari circa questo rework in stile A Realm Reborn, “ci concentreremo su un redesign sul lungo termine dell’esperienza, specificamente lavorando per reinventare il core gameplay loop con obiettivi chiari, sfide che motivino e una progressione con ricompense significative – preservando il divertimento del volo e del combattimento in un grande setting fantascientifico”.
Una soluzione cui si è arrivati dopo un esodo quasi biblico, con l’addio tra gli altri del responsabile del live service Chad Robertson e del produttore (nonché volto del gioco) Ben Irving, con l’abbandono dell’ambiziosa struttura ad Atti per il supporto post-release, una media voto inferiore persino al bistrattato Mass Effect Andromeda, le vendite sotto le aspettative dei 5-6 milioni preventivati in origine e l’ammissione dei gravi problemi interni dopo il report iniziale di Kotaku. Una scelta tardiva ma praticamente obbligata.
E una soluzione che si spera cambierà radicalmente le metodologie di lavoro dei diversi team impegnati in BioWare, che hanno per le mani non soltanto un nuovo Dragon Age, ufficiale da The Game Awards 2018, ma anche una primissima versione in pre-produzione di Mass Effect, a detta del solito ben informato Jason Schreier del summenzionato portale americano.
Dragon Age 4, annunciato con il teaser The Dread Wolf Rises, è in cantiere presso un team di veterani della serie, più membri dello staff di Jade Empire e altri già in BioWare ai tempi di Baldur’s Gate, per cui tutto sembrerebbe promettere bene per la prossima iterazione – quantomeno, che ci siano nello staff persone che abbiano un’idea chiara di cosa stiano facendo fin dall’inizio.
Mark Darrah sarà, come per la fase finale di Anthem, il produttore esecutivo, il braccio al servizio della mente Hudson e insieme a lui uno dei pochi veterani rimasti nella casa nordamericana; Matthew Goldman, art director di Inquisition e dell’espansione del 2001 di Baldur’s Gate, sarà invece il creative director, e ha già garantito di avere tra le sue passioni principali i combattimenti party-based, i companion interessanti, le scelte epiche e le romance.
Tutto quello che non è stato Anthem, insomma, per un reset totale di questo studio che a quanto pare ha capito, e ha voglia di tornare alla sua forma originale. Anche in questo caso si è passati per un lungo processo, con una prima versione del gioco – “Joplin” – che sarebbe stata prevista come una sorta di service game similmente a quanto visto con il multiplayer per PC, PS4 e Xbox One, fortunatamente riavviata dopo aver sentito della reazione della community.
Sfortunatamente le tempistiche sembrano ancora piuttosto lunghe: “probabilmente” uscirà dopo marzo 2022, come affermato dal CFO Blake Jorgensen in un resoconto ad azionisti e analisti, e questo si riflette nel fatto che BioWare non ne abbia più parlato dopo l’esibizione a The Game Awards di oltre un anno fa – dove peraltro abbiamo visto solo una clip decontestualizzata dal gameplay.
Per Mass Effect la situazione è persino più elaborata. In tanti hanno dato la saga per morta dopo la debacle di Andromeda, minata da un accesso anticipato improvvido di fronte allo sviluppo martoriato, all’epica non all’altezza della legacy di Shepard e alla messa in scena tragicomica che ha portato a meme di ogni specie (soprattutto per quanto riguarda le animazioni facciali).
Non un disastro completo, e chi ci ha giocato davvero lo sa, ma di certo non il ritorno che ci si sarebbe aspettati dopo i primi due capitoli di una qualità stellare e un terzo episodio discutibile nella conclusione ma comunque piuttosto apprezzato nonostante la deriva action; le vendite non furono malvagie, infatti, ma la reazione dei mezzi d’informazione e dei giocatori portò ad abortire il progetto di una terza filiale di BioWare (Montreal, appunto) oltre ad Edmonton e Austin.
Hudson ha a più riprese specificato che questa non è la fine della proprietà intellettuale e che anzi ci sono piani per riportarla ai fasti di un tempo; ciò si è tradotto in una ricostruzione di Kotaku in cui si afferma che un team guidato dal veterano Mike Gamble si starebbe occupando della pre-produzione di un nuovo capitolo, evidentemente, di prossima generazione, del franchise.
Gamble, da undici anni in BioWare, è stato associate producer di Andromeda, si è unito nel 2017 al team di Anthem come lead producer in vista del rimpasto del team di sviluppo voluto da Hudson, ed è ora “project director” su un progetto “non annunciato”, come lui stesso riferisce su LinkedIn. Il suo team è al lavoro ad Edmonton, per cui questa volta verrà tutto gestito internamente per evitare i rischi vissuti sull’ultima iterazione della serie.
Se per Dragon Age 4, di fatto già annunciato, si parla di un lancio successivo al 2022, però, è lecito immaginare che ci sia almeno uno stacco di un paio di anni tra quest’ultimo e il nuovo Mass Effect, che sfrutterebbe un ciclo di sviluppo di quattro anni che sembra ormai tipico, o quantomeno il minimo, per i bisogni creativi dello sviluppatore canadese. E chissà, allora, che l’attesa non venga ingannata con una rimasterizzazione dalla trilogia originale…
Il lavoro da fare, in BioWare, non manca di certo; non tanto sui giochi che presto o tardi arriveranno, e nemmeno sulla loro qualità, quanto sul modo di farli, che come abbiamo visto in questo speciale non è mai stato davvero quello giusto ed è stato forse corroborato da colpi di genio (o di fortuna) che non hanno mai portato ad un reset evidentemente necessario. Il primo step è riportare in carreggiata Anthem, dopodiché seguiranno le proprietà intellettuali storiche; da come andrà il passo iniziale dipenderà se saranno un paracadute o la ciliegina sulla torta.