«Non esiste, dai». Ricordo di aver lasciato poggiare una mano sulla fronte, seduta alla mia scrivania, mentre cercavo di capire la cosa migliore da fare – come videogiocatrice. Le luci bianche e discrete della mia PS5 – lei per niente, discreta – erano accese. Il disco girava. Il gioco un po' meno. «Non voglio credere che in retrocompatibilità su PS5 sia... così».
Mi armai di coraggio per riprendere in mano il controller e proseguire. Per poco. Dopo una mezz'ora di stoica resistenza, più che altro contro il mal di mare dato dalle montagne russe del frame rate nelle aree aperte in auto, gettai la spugna.
Era il 10 dicembre 2020 e decisi: «non ho nessuna intenzione di giocare Cyberpunk 2077 così».
Penso che la mia storia sia comune a quella di moltissimi giocatori, anche se con un'eccezione: dal momento che su PS5, prima delle patch correttive arrivate via via, Cyberpunk 2077 era tutt'altro che un bel vedere – senza scomodare il giocarci direttamente su PS4, che era l'alternativa – decisi di puntare il gioco su PC. Ho con me un desktop e un notebook armati di RTX 2060, ma per comodità (e anche perché pensai che potesse essere utile per il mio lavoro) avevo deciso di comprare l'edizione console del gioco. Pentendomene amaramente.
Quello che trovai su PC somigliava solo lontanamente allo sgangherato tentativo di esperienza che avevo visto nella controparte console. Siamo partiti davvero dal basso, io e Cyberpunk 2077, nella nostra relazione: ogni volta che CD Projekt RED preannunciava l'esperienza definitiva, ogni volta che spuntavano proclama per un gioco di ruolo capace di farsi ricordare, ero tra i pochi scettici. Io mi chiedevo come si potesse davvero progettare un sistema di quest così dinamico e intelligente da adeguarsi a ogni possibile approccio da parte dei giocatori e dove passasse il confine della realtà in quelle esternazioni.
È anche vero che, quando parti molto dal basso, ci sono più possibilità di rimanere sorpresa. È un po' quello che è successo. In breve, quell'odi et amo che avevo provato con il prologo su PS5 (molto più odi che amo, va detto), lasciò spazio alla voglia di saperne di più, di immergersi in quel mondo, di perdersi a Night City. Ci volle qualche ora, ricordo. E moltissimo fece la straordinaria interpretazione di Cerami Leigh nel doppiaggio originale, che ha dato vita a V con una sensibilità e una profondità capaci di emozionarmi.
Così, a un certo punto, mi sono ritrovata a passare dal dirmi «non esiste, dai», davanti alla versione console, al dedicare le ferie di Natale 2020 a finire Cyberpunk 2077. E no, non manteneva tutte le promesse e i proclama fatti dalla compagnia polacca prima del lancio, questo no. La dinamicità degli approcci, l'adattabilità delle build di V, le possibilità di diramare in molteplici bivi la storia – no, neanche per sbaglio. Ma ciò nonostante è una delle cose migliori che ho giocato nel 2020 ed è un gioco che porto nel cuore, anche un anno dopo.
E, soprattutto, nonostante il disastro che si è portato dietro, figlio di una gestione maldestra (eufemisticamente parlando) del suo lancio, dei suoi rinvii, di un dosaggio miope tra il caricare le attese e quello che materialmente si poteva fare, in quel tempo e su quegli hardware.
A coinvolgermi fu il modo intelligente scelto da Cyberpunk 2077 per raccontare l'inadeguatezza di avere ancora qualcosa di umano in un mondo come quello di Night City. Fu l'estremizzazione delle contraddizioni della nostra società, a cui si mescolano gli squilibri di una bioetica che ha passato i confini della distopia. Giocare in questo contesto, scoprendo gli anfratti della città, i dialoghi al telefono con gli NPC a cui via via ti affezionavi, indagando su intelligenze artificiali più sensibili di esseri che erano ancora umani solo nella forma, mi fece entrare in un loop per cui io ero perfettamente proiettata in V, la sua storia era la mia e non volevo uscirne.
Si tratta di un risultato importante, per un videogioco. In tutta la sua perfettibile componente tecnica – anche su PC, ma lo evidenziammo fin dalla recensione, c'era più di un inciampo, anche se niente di paragonabile alla versione console – Cyberpunk 2077 esperito su una RTX 2060 (Super, in quel caso) aveva tantissimo da dire.
Probabilmente, oggi che possiamo sederci comodi sullo scranno del senno di poi, possiamo dire che Cyberpunk 2077 sia un embrione. Se è vero, come sembra, che CD Projekt intende portare avanti questo marchio come un franchise, allora questo può inquadrarsi come punto di partenza. Il contesto creato da Mike Pondsmith è forte, le potenzialità in termini di gameplay e narrativa sono straordinarie. Anche i bivi narrativi, con i pochissimi grigi di 2077 che non lasciavano spazi ai dilemmi morali che CD Projekt sperava di innescare, possono avere un peso significativo, maturando dall'esperienza di questa release.
Capiamoci: nel lancio del gioco è stato sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. L'evitare nuovi rinvii perché l'anno era finito, l'affermare di essere sorpresi da come il gioco girasse su PS4 e Xbox One perché si pensava di fare in tempo a risolvere. È stato sbagliato vederlo uscire come approvato sugli store digitali e poi rimosso solo quando i buoi erano scappati dalla stalla, è stato sbagliato (ma non inusuale, perché succede nella stragrande maggioranza dei casi) fornire il solo codice PC prima del lancio, per le review della critica, omettendo qualsiasi dettaglio sulla controparte console e i lavori in corso. È stato sbagliato da parte nostra non vederci un primo campanello d'allarme, perché in fondo i codici arrivano, quasi sempre, solo su PC.
Tutto quello che si poteva sbagliare, è stato sbagliato. Quello che invece CD Projekt non poteva sbagliare – il creare un modo in cui perdersi e che non ti lascia più andare via, a patto che tu riesca a mandare giù il boccone degli inciampi di tanto in tanto, come fu per The Witcher 3 – non lo ha sbagliato. Nessuno se n'è accorto, però, perché il buco era davvero troppo grande per pensare di potergli trovare una pezza.
La community dei videogiocatori è una che non ha mezze misure e in questo caso la delusione per le condizioni in cui Cyberpunk 2077 si presentava ha legato un cappio con un masso al collo di quello che il gioco faceva di buono, annegandolo insieme a tutto il resto.
Un anno dopo, stiamo assistendo a una sorta di piccola redenzione per la versione PC, che ha recensioni recenti molto positive da parte dei giocatori e, passato anche il clamore del review bombing, CD Projekt ha deciso di prendersi tutto il tempo del mondo per far uscire Cyberpunk 2077 anche su PS5 e Xbox Series X. Rimarca, a più riprese, di aver imparato qualcosa dal lancio del gioco. E ci mancherebbe, verrebbe da aggiungere.
Certo, nessuno avrebbe potuto prevedere che, un anno dopo, l'avventura di V non avrebbe portato a casa nemmeno un premio ai The Game Awards 2021 (neanche quello per la splendida colonna sonora): troppo grande, l'elefante nella stanza, e troppo piena di cristalli rotti, la stanza stessa, perché quei cocci non avessero un impatto in sede di voto.
Di Cyberpunk 2077 un anno dopo rimane l'esempio cristallino di come non gestire un lancio multipiattaforma e dei danni – anche violenti, pensate alle orribili minacce ricevute dagli sviluppatori – che porta l'estremizzazione della cultura dell'hype. Rimane la contraddizione di un gioco che parla dei vezzi delle grandi compagnie a caccia di un ritorno economico per i loro investimenti che viene lanciato prematuramente da una compagnia a caccia di un ritorno economico per i suoi investimenti.
Ma a me Cyberpunk 2077 è piaciuto. La verità, come sempre, probabilmente sta nel mezzo. Sta tra il «non esiste, dai» e il passarci insieme il tempo libero durante le vacanze di Natale. Ma che lo vogliamo o no, è un gioco che è diventato un'unità di misura: sappiamo tutti cosa non vogliamo mai più veder succedere nell'industria – a tutti i livelli di quest'opera, della sua uscita e della sua gestione.
E allora, un anno dopo, di Cyberpunk 2077 rimane anche il fatto che dietro la polemica, i disastri di gestione e una versione console da saltare a pie' pari, si nasconda un bel gioco.
Nato, senza sceglierlo, come erede al trono di una casa reale nota per le sue impeccabilità e che non ha fatto che rimarcare quanto bravo, bello e giusto sarebbe stato il nuovo sovrano – condannandolo a un'etichetta di inadeguatezza oltre ogni misura. Ma un bel gioco.
Se volete concedervi un gioco di ruolo di CD Projekt leggermente meno controverso di questo, potreste prepararvi alla nuova stagione su Netflix dando un'occhiata a The Witcher 3: Wild Hunt.