Ci sono stati diversi mesi in cui i giocatori, si pensava, avrebbero potuto abituarsi all’idea di una Bethesda che avrebbe lavorato in esclusiva per le piattaforme servite da Xbox Game Pass. È passato tantissimo tempo da quando l’intero gruppo ZeniMax è stato acquisito da Microsoft, infatti, e da allora – sebbene la casa di Redmond non abbia voluto prendere posizione apertamente sul tema prima dell’E3 2021 – le voci autorevoli si sono fatte sentire con forza proprio per preparare tutti all’evenienza.
Alcune di queste voci autorevoli, come Jez Corden di Windows Central, le abbiamo ospitate anche sulle pagine di SpazioGames, ma evidentemente questo non è bastato: gli appassionati del mondo PlayStation, legittimamente, stanno esprimendo pure con una certa veemenza il loro disappunto nei confronti di Xbox, rea di aver “rubato” al gaming l’etichetta dietro Fallout, The Elder Scrolls e tanti iconici prodotti multipiattaforma.
Ad acuire ulteriormente le critiche piovute addosso a Bethesda e Microsoft, c’è stato un passo falso nella comunicazione di uno che dell’argomento ne sa a pacchi – Pete Hines, responsabile proprio del pierraggio dell’editore e sviluppatore del Maryland -, che si è cosparso il capo di cenere per la presentazione di Starfield come esclusiva Xbox una manciata di giorni fa, o almeno così sembrava.
Ma è giusto che la squadra capitanata da Todd Howard si scusi per tutto questo?
Il caso Starfield
Nel caso Starfield, che prevedibilmente sarà anche il caso The Elder Scrolls VI così come è un caso Redfall (non menzionato perché, dati di vendita alla mano, Arkane Studios non esiste, giusto?), ci sono almeno cinque tappe che è il caso di ripercorrere per avere una cronistoria di quanto sia successo, e come, nell’operazione che più di tutte ha segnato l’ultimo decennio del videogioco in quanto industria.
Prima di tutto, l’acquisizione di ZeniMax da parte di Microsoft. La manovra da 7.5 miliardi di dollari (e quando parliamo di “manovra”, viste le cifre, potremmo riferirci tranquillamente alla finanziaria di qualche nazione) è stata annunciata ormai lo scorso 21 settembre e garantiva a Redmond la bellezza di otto nuovi studi, tra cui diversi muniti di più uffici sparsi per gli Stati Uniti e il resto del mondo.
In questa fase, Microsoft non si sbilancia sul discorso delle piattaforme ma, consapevole dell’evoluzione in atto nelle sue gerarchie, afferma subito che tutti i titoli della label saranno disponibili dal day one su Xbox Game Pass – perché il tema delle piattaforme chiaramente non appassiona Nadella, Spencer e soci: il punto è il servizio in abbonamento, che con uno schiocco di dita potrebbe arrivare dove gli pare e piace, a patto che parrà e piacerà anche a chi si dovrà mostrare interessato.
Dopo un lungo silenzio sull’argomento, in cui è probabile che le varie parti abbiano fatto valutazioni di merito sull’opportunità di uscire su questo o quell’hardware (e ci riferiamo anche a Xbox One, non solo a PS5), arriviamo all’E3 2021, dove Starfield dà finalmente seguito al teaser di tre anni prima con una presentazione in pompa magna e una data d’uscita.
Le piattaforme sono fissate ai “soli” PC, Xbox Series X|S e Xbox Cloud Gaming: apriti cielo. Come capita frequentemente, specie in Italia dove la base d’utenza PlayStation è estesissima e fedelissima, le reazioni sono molto dure e variegate: c’è chi, dopo aver giocato per decenni a Skyrim, se ne esce con qualcosa come “non mi mancheranno i bug” di Bethesda; chi parla di un gigante in declino (??) la cui perdita non porterà alcun danno; e chi, più lecitamente, manifesta la propria disapprovazione per l’addio al multipiattaforma di un publisher che invece ha sempre lavorato con più piattaforme.
A queste reazioni, Bethesda naturalmente reagisce a sua volta e lo fa in due modi, entrambi non particolarmente riusciti per quanto molto diversi tra di loro. Todd Howard, a capo di Bethesda Game Studios, afferma che i suoi giochi saranno migliori ora che potrà concentrarsi su un solo set di piattaforme, alludendo evidentemente anche alle annate di problemi tecnici vissute in passato.
Un punto del suo discorso è però verissimo e lo riprenderemo pure più avanti nella nostra analisi: «la possibilità della gente di giocare i nostri titoli – tramite Game Pass e altre cose – non è calata. È aumentata drammaticamente». Questo è vero per due ragioni: la prima è che i titoli in uscita non dovranno necessariamente essere pagati 60-80 euro al day one ma saranno coperti dal prezzo di un abbonamento mensile da una decina di euro; la seconda è che le piattaforme in questione sono ben tre, se non quattro se contiamo Xbox Series S a parte, con una delle quali accessibile a chiunque nel mondo grazie al cloud dirottato su smartphone e tablet iOS/Android.
Al di là del politichese, e di questo specifico passaggio invece estremamente a fuoco, sono state le parole di Pete Hines che è sembrato chiedere scusa agli appassionati PlayStation per la decisione di rendere Starfield un’esclusiva Xbox – una decisione che, ha fatto capire, non è dipesa da lui e dalla quale è parso, cosa che in un’azienda non si fa mai pubblicamente, smarcarsi davanti ai videogiocatori.
«Tutto quello che posso dire è “scusate”, visto che sono certo che sia frustrante per la gente, ma non c’è molto che io possa fare al riguardo», è stato il commento del responsabile della comunicazione di Bethesda. Il suo intento, apprezzabile, di mostrare empatia nei confronti dei gamer PlayStation-muniti ha però fatto più danni che altro, aizzando la gente contro la sua stessa azienda, da che (forse stranamente) la querelle dell’esclusiva era passata quasi in sordina nel marasma dell’E3.
In un tweet successivo all’intervista che aveva concesso, l’americano (grande appassionato di calcio, altro elemento alquanto bizzarro della sua esistenza) ha chiarito che «non mi sto scusando per le esclusività. Non “devo” fare nulla. Alcuni dei nostri fan sono delusi/arrabbiati, e mi dispiace che lo siano». Insomma, un tentativo non richiesto di empatizzare con chi non potrà mettere le mani su Starfield su una PS5.
3+ ragioni per non scusarsi
E torniamo alla domanda che ci siamo posti poco fa: Bethesda dovrebbe davvero scusarsi per l’esclusività di un gioco? Lo spoiler è ovviamente che, no, non pensiamo debba farlo e per ragioni anche un po’ più profonde del semplice “è un’azienda privata e fa quello che le pare”.
Le ragioni per non scusarsi sono molteplici nel caso di Bethesda, e sono tutte più o meno servite su un piatto d’argento. Restando valida la motivazione che “sono affari”, e che un gioco non perde di certo valore in base soltanto alla piattaforma su cui è destinato ad uscire, la casa nordamericana ha ritenuto di muoversi – in fasi diverse della sua operatività – in maniere altrettanto diverse.
C’è stato un momento in cui le esclusive a tempo erano appannaggio di Xbox, come con Morrowind e Oblivion, un altro più recente in cui queste andavano a favore di PS5 con Deathloop e GhostWire Tokyo, e un altro ancora in cui si è invece ritenuto che, perché la compagnia continuasse a fiorire al pari del suo passato glorioso, si dovesse cominciare a lavorare ad una fusione con un gigante del gaming.
La verità è che in nessun caso precedente sono state chieste o sono arrivate delle scuse, e tantomeno è successo quando soltanto pochi mesi fa uno dei più talentuosi team di sviluppo è stato recintato nel giardino dorato di una costosissima e difficilissima da trovare console next-gen, e neppure quando il padre dei survival horror ha subito (con lo scarso potere decisionale in genere lasciato ai creativi) la stessa sorte. In questi casi l’uscita è garantita in simultanea anche su PC, ma senza il cloud e soprattutto (di nuovo, legittimo) sborsando denaro sonante – accusa che viene invece mossa a Microsoft – semplicemente per escludere la console concorrente dal pool delle supportate per un periodo limitato di tempo.
Per restare in casa PlayStation, se ci fosse stata un’acquisizione di Bethesda da parte di Sony (platform owner che pure aveva manifestato grande interesse, se pensiamo ai due affari chiusi e ad un terzo, quello per Starfield, su cui si sarebbe provato a lavorare in tempi non sospetti), i suoi giochi sarebbero usciti, in quanto provenienti dai PS Studios, esclusivamente su PS5 e magari tra tot anni, a fine gen, su PC.
È un po’ la stessa cosa che sta capitando con Insomniac Studios: team di sviluppo storicamente in orbita PlayStation, e questo è ovvio, ma che adesso continua a profilare un seguito di Sunset Overdrive – action adventure lanciato in esclusiva su Xbox One e poi su PC – solo su PS5, ovvero sulla piattaforma ammiraglia di chi ha speso oltre 200 milioni (cifra irrisoria, a fronte del valore dello studio) per acquisirlo. Questo processo di teasing, legittimo visto che Insomniac era proprietaria dell’IP e ora essendo stata acquistata da Sony è quest’ultima che la detiene, non sembrerebbe essere arrivato insieme ad un biglietto di scuse per gli utenti Xbox che saranno lasciati a piedi.
Non va dimenticato, infine, il vero significato di “esclusiva Xbox”. Grazie all’espansione continua di Xbox Game Pass, che arriverà presto anche sulle smart TV, il fatto che un titolo sia un’esclusiva Xbox è in questo momento – una fase in cui il cloud di Microsoft è ancora embrionale e avrà bisogno di un annetto (con le nuove blade che godranno dell’hardware di Series X) per spiegare le ali – una garanzia che potranno giocarci tutti.
All’E3 2021 è stato questo lo step più importante che ha intrapreso Microsoft nella sua comunicazione, non focalizzandosi (solo) sui videogiochi ma anche sui modi, tanti e liberi, in cui gli utenti potranno fruirne a prescindere dalla piattaforma. L’impegno sul cloud è importante ed è una scommessa a lungo termine che, di fatto, è destinata a rendere obsoleta la console war semplicemente perché non ci sarà bisogno di acquistarne una.
La filosofia espressa pochi giorni fa è in realtà la stessa di quando è stato annunciato, in una forma ancora embrionale, Xbox Game Pass. Una libreria che prescinda dalle piattaforme, ma che finora è incappata nel cliché – alimentato da una generazione rinunciataria sotto questo aspetto – che "Xbox non ha giochi". Fino allo scorso settembre sono state fatte tante operazioni ma sempre sotto l’ombrello di Xbox Game Studios e con team di sviluppo nei confronti dei quali si nutre una certa diffidenza, a ragione o per ignoranza.
Microsoft sapeva che acquisendo ZeniMax avrebbe dato una risposta agli scettici, iniettando non solo nuovi giochi nel suo catalogo (cosa che aveva già fatto sino ad allora) ma soprattutto grandi nomi e grandi titoli che avrebbero dovuto convincere tutti non tanto della sottoscrizione di un abbonamento, quanto della bontà della sua visione per il lungo corso del gaming. È questa la ragione che spinge oggi a credere che, dopo Starfield, The Elder Scrolls VI sarà un’altra esclusiva che non escluderà proprio nessuno.
Ed è una visione, questa, completamente agli antipodi rispetto a quella proposta dalla concorrenza diretta: in questo momento, c’è chi - testuali parole di Spencer - vende un gioco due volte a prezzo pieno tra console e PC, o peggio solo su una console da 500 euro introvabile alla cifra maggiorata di 80 euro. Che si esca su una sola piattaforma o si parli di un prodotto multi, è evidente che sia questo, nel 2021, il vero significato della parola “esclusiva”.
In conclusione
Bethesda deve scusarsi con i giocatori, allora? La risposta secca è: no. Ci sono casi recentissimi in cui lei stessa e altre compagnie hanno agito nel medesimo modo sullo spinoso tema delle esclusive, e non abbiamo sentito alcun tipo di dichiarazione né giustificazione ricercata al riguardo, per cui non si capisce perché queste dovrebbero arrivare proprio adesso che il concetto abbraccia una nuova dimensione.
Non smetteremo mai di sottolineare come, ad oggi, Microsoft sia l’unica compagnia che rende superato il “problema” delle esclusive. Quando un gioco è un’esclusiva Xbox arriva su PC, Xbox Series X|S (se non pure One, che sarà presto servita anch'essa dal cloud gaming) e mobile Android/iOS tramite cloud – lo stesso cloud che a breve porterà tutta la libreria anche sui televisori di casa; inoltre, lo fa non al costo esorbitante di 80 euro a copia, ma per un ottavo di quella cifra al mese.
La vera domanda da porsi è: chi sta escludendo chi?
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