Asterix & Obelix XXL – La Giungla dei Tie-in #5

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati nella Giungla dei Tie-in, gli speciali per scoprire il meglio e il peggio delle trasposizioni videoludiche di proprietà intellettuali di successo. La percezione comune etichetta i tie-in come prodotti limitati, che galleggiando tra il sufficiente e il mediocre vogliono solo “cavalcare l’onda” della proprietà intellettuale originale (nella maggior parte dei casi film) da cui sono tratti. Per quanto sia una descrizione abbastanza giusta (e l’abbiamo visto anche nella puntata precedente) è anche vero che vi sono stati tie-in di indiscussa qualità, sia in mezzo a distribuzioni “invasive” (come accaduto a Harry Potter) sia estese per decenni sopravvivendo anche ai publisher (com’è stato il caso de Il Signore degli Anelli). Ma dopo tutte queste pellicole, oggi riprendiamo in mano un videogioco tratto da un fumetto: Asterix. Se una retrospettiva su questo “fumetto che diventa videogioco” è già in queste pagine, la pubblicazione in autunno della remaster per ottava generazione del secondo capitolo ci permette di ripercorrere in maniera monografica l’esordio su sesta gen dei galli di Goscinny e Uderzo, con Asterix e Obelix XXL.
Il Renderware dei galli dispersi
Asterix & Obelix XXL vede la luce su PlayStation 2, Xbox, GameCube, PC e Game Boy Advance nel 2004, pubblicato da Atari e sviluppato da Étrages Libellules, studio di Lione semi-esordiente. Nonostante siano infatti nati nel 1994, fino a quel momento questi francesi avevano portato avanti solo progetti modesti (tra cui il tie-in per PlayStation del film d’animazione francese Kirikù e la Strega Karabà). La loro è l’occasione della vita: la licenza di Asterix prima in mano a Infogrames è appena stata acquistata da Atari e c’è la possibilità di ammodernare un franchise che da sempre è il grande simbolo della produzione fumettistica franco-belga. Come base viene scelto il RenderWare, motore grafico già celebre ai tempi (e su cui Rockstar avrebbe fatto l’ancor più celebre GTA San Andreas). Il risultato è un videogioco action semplice, immediato e tecnicamente ai limiti del marmoreo. Un’accessibilità che spesso arriva ai limiti dell’eccesso, riflettendosi in ogni suo aspetto, a partire dalla stessa trama. Le premesse infatti sono di una semplicità quasi disarmante: in un apparente momento qualunque al villaggio degli “irriducibili galli” Giulio Cesare arriva con le sue legioni e ne rapisce gli abitanti, spedendo ciascuno di loro in un punto differente dell’Europa. Asterix e Obelix, sfuggiti alla cattura perché a caccia di cinghiali, si rendono conto del disastro e riescono a intercettare e soccorrere Panoramix. Il saggio druido da loro la missione di liberare i loro concittadini: ciascuno avrà le informazioni necessarie a trovare il successivo.
La trama è tutta qui, e volendo si capisce anche come la concentrazione in questo gioco sia da tutt’altra parte: dove il seguito avrebbe puntato con insistenza sul satireggiare del mondo videoludico (condotta che ancora oggi è un unicum o quasi nel settore) l’esordio prima di tutto prende in giro la natura stessa del fumetto di Asterix. Dai viaggi in capo al mondo ai ceffoni esagerati, tutto è presente. Asterix e Obelix dovranno farsi strada in ciascuno dei sei macro-livelli risolvendo enigmi ambientali e sconfiggendo le torme di nemici che li assaliranno. Un’interazione che avverrà attraverso i comandi basilari dell’interazione, del colpo e del salto, e che sarà nettamente scandita da quale dei due personaggi il giocatore controllerà in ciascuna fase del viaggio.
Tanto semplice o troppo semplice?
Ciascuno dei sei livelli in cui è composta l’avventura di Asterix e Obelix (Armorica, Scandinavia, Grecia, Elvezia, Egitto e il livello finale a Roma) è a sua volta diviso in un numero di aree che va da tre a sei, e in ciascuna vi sono nemici da sconfiggere e rompicapi da risolvere. I nemici sono per la maggior parte i caricaturali soldati romani, presenti sia individualmente che coordinati da un centurione. La via migliore per colpirli è operare sul solo tasto frontale dedicato, fino a farli sbalzare via e raccoglierne l’elmo (che funge da moneta di scambio). Dal canto loro i legionari provano a colpire l’irriducibile di turno con le proprie armi, cosa indicata a schermo con una piccola aura che passa dal verde al rosso una volta che il fendente sta per essere scagliato. Ovviamente se i nemici più basilari si spazzano via semplicemente pestando il tasto per colpire, le cose diverranno progressivamente più difficili sia affrontando i veterani e i centurioni (che non esiteranno a usare scudi e saranno molto meno lenti nel preparare gli attacchi) sia con avversari differenti e unici (come i vichinghi, presenti nel livello della Scandinavia). Molte volte questi combattimenti, per quanto divertenti e gustosamente “chiassosi”, vengono spesso impiegati per “annacquare” sezioni, tramite l’artificio (abusatissimo) della leva o dell’interruttore che non si può attivare se prima non si sconfiggono tutti i nemici in zona. Una variante ai combattimenti “standard” si trova quando si devono affrontare le testuggini: l’unico modo per prevalere contro questi carri armati dell’antichità è schivarne le lance e colpirli dove è sguarnita, oppure ricorrere a specifiche macchine d’assedio che si trovano nelle ambientazioni.
Prevalentemente gli enigmi sono di carattere ambientale, tesi a sbloccare la via per la zona successiva. Ciò avviene ricercando interruttori, accendendo torce e impiegando anacronistici ma funzionali barili esplosivi. A parte qualche saltuario punto di scambio (un alone a terra molto à la Final Fantasy VIII, solo blu invece che verde) la decisione su quale personaggio controllare è quasi sempre precalcolata dal gioco, che anche per questo non contempla il multigiocatore. C’è però da dire che, a livello di struttura generale, tale meccanismo è la trovata che più ha permesso ai creatori di sbizzarrirsi col level design, ricamando molto su fasi riflessive altrimenti molto semplici. Da Asterix che si infila in passaggi stretti a Obelix che sfonda le casse corazzate fino a collaborazioni reciproche, gli enigmi riescono a tenere alta l’attenzione anche grazie al buon livello di dettaglio degli ambienti.
Il fondo del paiolo
Così come l’abbiamo appena descritto, il pargolo di Étrages Libellules parrebbe essere il miglior tie-in dell’era PS2. Così purtroppo non è, e le ragioni vanno cercate sia nell’età del gioco che nelle ambizioni troppo marcate degli sviluppatori. La prima riguarda proprio il sistema di combattimento: la palese intenzione dei Libellules di voler fare qualcosa di accessibile sia ai bambini che ai giocatori più tecnici si scontra con inevitabili errori di inesperienza. Troppe volte la confusione finisce per inibire o scoraggiare combo anche appena più complesse del singolo tasto, e obbligare a ripetere ad libitum la medesima battaglia nella speranza che gli avversari non riescano a coordinarsi e a circondarci. Anche le funzioni ancillari come la spinta, lo stordimento e l’utilizzo del cagnolino Idefix sono inutilmente complicate da usare in situazioni così soffocanti.
Il personaggio controllato dall’IA è ovviamente abbastanza inutile e ancora peggio le bossfight, veramente impersonali: sempre il medesimo, surreale e anacronistico “carro armato” corazzato da distruggere puntando alle quattro coppie di viti alla base. E non è neanche il difetto peggiore: il bilanciamento del gioco è così basato sulle combo (da comprare spendendo gli elmi lasciati cadere dai nemici sconfitti) da esserne dipendente, un paradosso se pensiamo alla già citata confusione a schermo. Il paradosso più grande è che senza una specifica mossa (il vortice) l’ultimo livello risulta di fatto incompletabile nelle sue ondate anche di migliaia di avversari. Tutti difetti che, a modo loro, affliggono anche la parte esplorativa: tralasciando le sezioni di combattimento a volte inserite forzosamente nel mezzo di rompicapi più ad ampio respiro, troppe volte ci si riallaccia a una struttura trial & error o sul dare indizi troppo vaghi, oltre a qualche sezione “in scivolata” assolutamente anonima. Lo stesso utilizzo tecnico del RenderWare è imperfetto: in condizioni normali il gioco non perde un fotogramma, ma abbondano stratagemmi come impersonali corridoi (questi ultimi con tanto di perdita di fotogrammi a indicare il caricamento della nuova area). Tutto pare dominato da una strana alternanza: certe volte il gioco è memorabile nella sua esagerazione, altre volte è come si perdesse in un bicchiere d’acqua. E questa alternanza di qualità e ingenuità è presente praticamente in tutto: il gioco ridisegna Asterix e Obelix per renderli più moderni e “aggressivi”, ma lascia comprimari e antagonisti maggiori assolutamente uguali a come comparivano nel fumetto. La stessa colonna sonora, miscuglio originale di atmosferico e pseudo-techno, riesce a malapena a compensare l’effettistica scontata e un doppiaggio abbastanza di mestiere. Il tutto a fronte di un aspetto grafico di tutto rispetto, con ambientazioni suggestive, non esageratamente grandiose ma piacevolissime nei motivi e nei colori sgargianti direttamente ispirati alle matite di Uderzo.

In questa puntata nuovamente monografica della Giungla ci siamo occupati di un esemplare notevole, che oltre alla realizzazione in sé era ai tempi riuscito a riportare alla pubblica attenzione una delle creazioni più importanti del fumetto franco-belga dopo un’era PSX decisamente scolorita. Per quanto divertente e gustoso Asterix e Obelix XXL portava con sé anche difetti non indifferenti, come la fatica a livello tecnologico e un sistema di combattimento poco calibrato. Fu comunque l’inizio di una piccola trilogia, che si sarebbe concretizzata con Asterix & Obelix XXL2 – Mission: Las Vegum e poi con il dimenticabile Asterix alle Olimpiadi. Di questi tre solo il secondo è però destinato a tornare in auge ora, con l’imminente remaster. E la ragione volendo è anche facilmente deducibile: Las Vegum è effettivamente il videogioco più compiuto dei tre. Il motivo è il suo trasporre la bonaria irriverenza del fumetto originale nel “nuovo” medium: nei fatti è uno dei pochi videogiochi capace di fare satira su sé stesso e sul suo settore. Ma ne parleremo a tempo debito: adesso c’è ancora un po’ di giungla da attraversare, e stavolta sarà… cibernetica!

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