Assassin's Creed II: Dieci anni di Rinascimento - Speciale
Assassin’s Creed II, il meglio e il peggio della serie di punta della Ubisoft, ripercorso dieci anni dopo con un occhio storico ma non troppo.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Il 20 novembre 2009 usciva in Europa Assassin’s Creed II, seguito di una serie ambiziosa ma il cui esordio di un paio d’anni prima aveva generato (non a torto) pareri molto contrastanti. Fortunatamente il brand raggiunse la tanto agognata prosperità proprio con questo secondo capitolo, ancora oggi è ricordato come uno dei migliori (se non il migliore in assoluto) di una saga che ancora dura pure se con sviluppi totalmente diversi dalle premesse.
Dieci anni dopo, complice anche una Ezio Collection, il Rinascimento di Ubisoft è ancora qui: indaghiamo per scoprire perché non se ne vuole andare.
Segreti in piena vista
Tutta la sceneggiatura di Assassin’s Creed II è di fatto costruita su un palese “segreto di Pulcinella”, che però viene accettato secondo il più classico dei patti autore-lettore. Dal 1476 al 1499 Ezio viene aiutato nel suo cammino da una serie di comprimari (la tenutaria Paola, la Volpe, suor Teodora, Antonio) i cui servigi finiscono per apparire allo spettatore come fin troppo “gratuiti”. Nei fatti si scoprirà che solo Leonardo Da Vinci aiutava in maniera disinteressata, mentre tutti gli altri gli hanno fatto capire con mano quello che significa essere parte dell’Ordine e di quanto i suoi principi siano giusti ma difficili da seguire. Pure dopo tutti questi anni il messaggio di consapevole individualismo che Ezio incarna diviene un ideale di trasversale e laica parità umana, in ogni ambito.
In effetti, la storia di caduta, vendetta e consapevolezza di Ezio Auditore da Firenze è ancora lì, non si è persa pur ormai manifestando segni di “fatica” nel suo ultimo terzo, nella sequenza in cui Ezio incontra e aiuta Bartolomeo d’Alviano (tra l’altro personaggio storico realmente esistito). Anche il finale, con il confronto vecchia scuola con quella che nei fatti è divenuta la nemesi di Ezio (Rodrigo Borgia, ora papa Alessandro VI) nella sua fretta potrebbe lasciar intendere molte cose. La città di Roma vista solamente di scorci e le scenografie palesemente troppo dettagliate pure per essere solo “di fondo” sviluppano ancora il sospetto che le ambizioni di Assassin’s Creed II fossero così grandi da non riuscire a entrare in un solo disco.
Impossibile non pensare che Patrice Désilets avesse pensato l’avventura di Ezio come un’unica, lunga epopea con anche Roma al suo interno, idea poi ampliata con Brotherhood tanto nel bene quanto nel male. Quasi a “palliativo” di questo sono state realizzate le due sequenze scaricabili La Battaglia di Forlì e Il Falò delle Vanità, che pure se vittime della discutibile politica di Ubisoft in fatto di digitale (ci ricordiamo tutti quella sensazione di come fossero state estrapolate ad arte dal gioco completo piuttosto che contenuti autenticamente progettati in post-pubblicazione) cercavano di dare ulteriore ampliamento della fetta di storia in cui il nostro protagonista agisce come Assassino “ufficiale” e non più solo “ufficioso”.
Un’epoca di uomini e menti
È stato spesso detto che i contesti degli Assassin’s Creed dopo la “trilogia di Ezio”, pure se costruiti in maniera sempre più ipertrofica, non riuscivano ad avere lo stesso impatto delle origini. Malgrado si tratti di qualcosa nei fatti vero, è sbagliato il motivo che viene addotto. Non è tanto il fatto che le ambientazioni sono troppo “dense” o troppo “vuote”, ma bensì per il fatto che la saga Ubisoft è infatti vittima di sé stessa. Troppo tardi ci si è resi conto che nessun’altra epoca avrebbe potuto anche solo rivaleggiare con il Rinascimento italiano di Assassin’s Creed II.
Quest’epoca è famosa in tutto il mondo perché prima di tutto è stato il delicato risultato di una serie di contingenze, luoghi e personalità di spicco, che in pieno sprezzo del caso sono riuscite a imporre una nuova e potente mentalità a tutto il mondo. Un’epoca che affascina perché per la prima volta dopo secoli creatività significò ricchezza, nell’incontrarsi l’umanesimo e la scienza capirono che andare di pari passo era la strada per il futuro.
In questo senso Assassin’s Creed II recupera questo principio e lo simboleggia nel personaggio di Leonardo Da Vinci, genio a tutto tondo che, specialmente in Nord America, è una vera e propria celebrità. La sua enorme curiosità e intelligenza, oltre che volontà di volersi non solo studiare ma comprendere tutto ciò che lo circonda, lo fa assurgere a umanizzazione di un’epoca intera. Egli, nel suo ruolo di comprimario e migliore amico di Ezio Auditore, lo aiuta per puro amore della conoscenza, decifrando pagine del Codice e ricostruendone le invenzioni. Non a caso il suo aspetto è direttamente ispirato a La Vita di Leonardo da Vinci, sceneggiato biografico televisivo del 1971 diretto da Renato Castellani. Lì il grande genio aveva il volto dell’attore francese Philippe Leroy (tra l’altro mancino naturale) ed era uno degli ultimi prodotti del periodo “pedagogico-divulgativo” della Rai. La sua qualità e fedeltà furono tante e tali che venne riutilizzato in produzioni successive (come lo Speciale Superquark sullo stesso argomento) e fu esportato anche all’estero, con il titolo internazionale The Life and Times of Leonardo Da Vinci.
Un’altra curiosità è come, nelle primissime versioni di Assassin’s Creed II, apparisse una versione di Leonardo già anziana, cosa poi cambiata rendere il suo interagire con Ezio meno “straniante” e probabilmente pure per “aggiustare” la collocazione storica in modo da includervi quanti più eventi reali possibili. Ma che sia giovane o vecchio, Leonardo è un uomo che non ha paura di indagare anche quello che per l’epoca era incomprensibile o proibito, come il sezionamento dei cadaveri per gli studi anatomici (cosa vera) al suo non spaventarsi nell’esaminare il Frutto dell’Eden sottratto da Ezio a Rodrigo Borgia (cosa finta). Nei suoi occhi azzurri che scrutano quell’oggetto “fatto di materiali che non dovrebbero esistere, eppure eccolo qui” c’è tutto lo spirito dell’uomo rinascimentale, che per la prima volta ha capito che indagare non significa giustificare ma capire.
Città virtuali, turismo vero e gondole
La ricostruzione delle città da esplorare oggettivamente non fu un’invenzione di Assassin’s Creed II. Già la prima avventura di Altaïr aveva ricostruito Gerusalemme, Damasco e Acri con una cura ambiziosa e resa possibile solo grazie alla tecnologia di settima generazione. Il vero “passo avanti” di Ezio sta nel fatto di averle rese riconoscibili, visitabili, quasi “realistiche” nella loro tipografia.
C’è da dire che era un compito se vogliamo più facile, in quanto la planimetria cittadina è rimasta bene o male simile a quella originale, perlomeno per quanto riguarda il “centro storico” di ciascuna (Firenze, San Gimignano, Monteriggioni, Forlì e Venezia). L’unico “vincolo” direttamente ammesso dai progettisti Ubisoft è che a livello di superficie totale le città ricostruite sono grandi circa un quarto di quelle reali, pertanto è inevitabile che vi siano un po’ di “aggiustamenti” topografici. Oltre che per limiti tecnici le città sono così “compresse” apposta perché altrimenti sarebbero state troppo prolisse e tediose da percorrere a piedi.
Il tutto però fa che risaltare la ricchezza degli scenari, così “densi” da evidenziare una inevitabile rappresentazione “romantica” del Rinascimento di Assassin’s Creed II. Un’idea che si contamina nei flussi di cittadini eternamente a passeggio, botteghe aperte a qualunque ora del giorno e della notte, gli innumerevoli pioli, insegne, carretti, tetti e giardini pensili in cui innescare percorsi di parkour improvvisato.
Pure se di qualità altissima, la ricostruzione di scorci e monumenti manca ancora di “conoscenza tacita”, come vie importanti ma troppo ristrette o gli anacronismi sui monumenti. Ad esempio la facciata di Santa Maria del Fiore compare in Assassin’s Creed II come danneggiata, e ha senso visto che nel 1476 era ancora incompiuta. Tuttavia la ricostruzione virtuale indugia nel rielaborare la facciata moderna, in realtà ultimata nel 1887. È ironico in tal senso come proprio Lorenzo il Magnifico (personaggio importante pure nella storia di AC2) avesse indetto ai tempi un concorso per dare un senso alla facciata, conclusosi poi in un nulla di fatto.
Ma al di fuori della componente romantica, Assassin’s Creed II ha saputo travalicare il confine del videogioco per influenzare direttamente la realtà. Nel 2009 la critica fu molto benevola, ma il pubblico si divise: l’avventura di Ezio fu riconosciuta di oggettiva qualità, ma non il capolavoro “sbandierato” dalla stampa, soprattutto per il finale frettoloso. Paradossalmente, avevano ragione entrambi: si sarebbero dovuti aspettare anni prima che Assassin’s Creed II avesse i suoi veri effetti sulla società. Sappiamo tutti come abbia dato un’inaspettata fama proprio a Monteriggioni, fino al 2009 sconosciuta al grande pubblico. Innumerevoli poi sono gli aneddoti di nipoti che hanno fatto provare il gioco ai parenti solo per poi vederli impadronirsi di una gondola e girarsi Venezia in piena pace dei sensi.
Il volo della mente
Al di fuori di un contesto e di una costruzione che ormai mostra i suoi anni come passanti dalle azioni limitate, ciclo giorno-notte troppo accelerato e sistema economico sbilanciato (dopo un po’ si hanno talmente tanti di quei Fiorini da non sapere cosa farne), forse la sequenza più emblematica di Assassin’s Creed II è quando il nostro protagonista si lancia nei cieli notturni di Venezia con la macchina volante di Leonardo. Gli sviluppatori dichiararono ai tempi di aver basato il design di questo “deltaplano ante-litteram” sugli schizzi autentici di Leonardo. E pure se affascinante c’è anche il fatto che probabilmente un simile volo sarebbe abbastanza impossibile da fare, ma del resto si sa che in Assassin’s Creed II la gravità è una forza molto più “gentile” che nella realtà quotidiana.
Tuttavia il significato di quel volo travalica l’obiettivo di sceneggiatura di salvare il Doge dall’avvelenamento per assurgere a simbolo della saga tutta e dell’epoca che rappresenta. Far volare un uomo è stato per millenni il sogno proibito dell’umanità, da Dedalo e Icaro con le loro ali di cera alle bestie mitiche come i cavalli alati. L’idea che l’uomo potesse volare con l’ausilio di una macchina nasce anche dagli studi di Leonardo stesso, che rimaneva ore a cercare di capire come gli uccelli riuscissero a “cavalcare” le correnti d’aria e come fossero aiutati in questo compito dalla forma delle loro ali. Che un uomo del Rinascimento ci sia riuscito (pure se in maniera virtuale) a volare con le tecnologie dell’epoca è qualcosa dal forte significato simbolico.
L’importanza di questo ideale è tale che proprio la sequenza del volo fu tra le prime a essere mostrata persino nei trailer (sia di gameplay che in CG) di Assassin’s Creed II. Tuttavia non ci si ferma solo a quello: il volo di Ezio assurge a nuovo inizio per la saga stessa.
Fino a quel momento, era rimasta prigioniera del paradosso di dare al giocatore un mondo vastissimo per poi condannarlo a ripetere sempre le stesse azioni. Con il Rinascimento la saga appunto nasce una seconda volta, trovando la maturità e prendendo ogni volta il giusto fiato per fare (almeno sulla carta) sempre qualcosa di nuovo. E volendo anche in barba ai detrattori, a chi oggi come ieri vedeva le scoperte umane e per paura subito le etichettava come opere contronatura, esattamente come le guardie che appena vedono Ezio volare subito gridano «colpite il demonio volante!».
Sono passati dieci anni, eppure l’esordio di Ezio non ne vuole sapere di invecchiare o di smettere di mettersi in discussione. È qualcosa che possiamo spiegare solo col senno di poi: nel 2009 il mondo dei videogiochi non era pronto per Assassin’s Creed II. Non era pronto né a livello di mercato né tantomeno a livello mentale, tanto che si lasciò quasi “assorbire” da una trama complessa ma accessibile pur di riuscire a sopportare l’impatto di una ricostruzione storico-videoludica che fino a quel momento era stata solo un sogno proibito. Perché la vera forza di Assassin’s Creed II non è stata la sua storia né tantomeno (seppure di indiscussa importanza) quell’invenzione irripetibile che è Ezio Auditore: Assassin’s Creed II è prima di tutto una lettera d’amore all’Italia, ai suoi pregi e ai suoi difetti, alla sua cultura, ricchezza e idiosincrasie. Che come tutte le lettere del genere, non può esimersi da un romanticismo a volte esasperato e un po’ stereotipato, ma a cui va riconosciuto il merito di aver riacceso in tutto il mondo l’amore per un paese e i suoi abitanti.
A questo punto, Assassin’s Creed II ha perso la sua connotazione “solamente” videoludica per assurgere a testimonianza culturale, un enorme e commosso tributo a quel periodo straordinario e irripetibile che è stato il Rinascimento italiano.
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