Assassin’s Creed, Cappucci bianchi nella storia #3 - La trilogia delle Americhe
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Bentornati a Cappucci Bianchi nella storia, la retrospettiva “atipica” su Assassin’s Creed. Dove nella prima puntata ne abbiamo ripercorso gli esordi in Terrasanta, nella seconda ci siamo occupati della definitiva maturità del brand. Un periodo che, nonostante i malumori (più o meno giusti) che l’hanno accompagnato. Una scelta particolarmente felice di contesto storico, abbinata a un protagonista di indiscusso carisma ha generato quelli che ancora adesso sono considerati come tra i migliori videogiochi prodotti dal brand. Il suo addio con Assassin’s Creed Revelations ha segnato l’inizio di una nuova “era”. Con Assassin’s Creed Odyssey recensito su queste pagine, oggi parliamo della seconda grande epopea: la trilogia delle Americhe.
Vita piena di graffi
Lasciatasi alle spalle il Rinascimento, Ubisoft ha già deciso da tempo cosa fare. Ormai Désilets se n’è andato da circa un anno, ma comunque il brand deve dare una qualche conclusione alla tormentata vicenda di Desmond Miles, il cui destino ormai incrociato con la Prima Civilizzazione corre con prepotenza verso il 21 dicembre 2012. L’ingrato compito di chiudere il cerchio viene affidato ad Alex Hutchinson, e viene scelta come ambientazione la Rivoluzione Americana. Per stessa ammissione degli sviluppatori le ambizioni sono esplosive: tre città da esplorare insieme alla regione selvatica della Frontiera, una trama trentennale (il periodo è compreso tra il 1753 e il 1783), sezioni navali e una varietà imponente di compiti primari e secondari.
Assassin’s Creed III esce quindi il 31 ottobre 2012 ed è un successo strepitoso: in meno di un anno arriva a sfiorare le diciassette milioni di copie distribuite. Il percorso di crescita di Ezio lascia il posto all’istintuale agire di Ratonhnhaké: ton, meticcio di madre pellerossa e padre inglese. Preso il nome di Connor dal suo Mentore Achille Davenport, egli avrebbe rivissuto tutti gli eventi salienti della rivoluzione americana, assistendo e consigliando personaggi storici realmente esistiti. Una trama che, nonostante i notevoli sforzi per spingersi a livelli didattici e quasi didascalici nell’inscenare eventi storici, troppe volte mancava della misticità di Altaïr e del fascino dell’intrigo e della cospirazione del Rinascimento. Un personaggio come Connor, assolutista nel suo istinto, contrastava fin troppo vistosamente con il contesto della fine del Settecento, secolo storicamente proteso a lasciarsi alle spalle la distinzione manichea tra bene e male.
Accompagnato da un inevitabile battage pubblicitario, forte di slogan potenti e di filmati ad alto impatto visivo, il gioco dipingeva una rivoluzione e una vastità di approcci che alla prova dei fatti si sarebbero rivelati però nuovamente ancorati a quelli ormai percepiti come i “difetti storici” della saga: combattimento rigido, calcolo impreciso dei movimenti, difficoltà bassa. I fattori che però per somma parte coprirono tutto questo furono le sezioni navali e le battaglie. L’Anvil Next era infatti impiegato per tracciare a schermo delle vere e proprie scene di guerra aperta, di grande impatto emotivo e che restano ancora oggi dei grandi unicum tanto per il brand quanto per la videoludica in generale.
Ad avere più fortuna postuma sono state però le sezioni navali: la possibilità di governare un vascello (l’Aquila) in spettacolari battaglie su mare è stato qualcosa di realmente rivoluzionario. Ma è anche vero che Assassin’s Creed III è stata un cambiamento a metà. Il gioco infatti ha risentito forse per la prima volta di una fretta sospetta, che ha portato a un’invasione di bug (estetici e non), a poca ottimizzazione tecnica e un parkour limitato dal diverso stile architettonico delle città americane, che paradossalmente ne faceva riemergere tutti i difetti congeniti.
Anche qui vi fu spazio per un contenuto aggiuntivo: La Tirannia di Re Washington. Questo contenuto aggiuntivo dipingeva una realtà alternativa in cui Washington si era proclamato monarca, e al quale un Connor mai divenuto parte dell’Ordine doveva affidarsi ai poteri dei suoi antenati per fermare il suo folle regno. Un contenuto che, per quanto provasse a staccarsi dal “realismo” della saga principale, passò relativamente inosservato poiché non aggiungeva molto a quanto già detto nel gioco originale.
Il nonno pirata e l’allieva da New Orleans
La maggiore delusione di ACIII viene però da un’altra parte, se vogliamo la peggiore di tutte: Desmond. Nel finale egli compie il proprio destino, sacrificandosi per impedire la catastrofe mondiale ma liberando nel processo Giunone. Tali eventi concludono la sua storia ma non risolve il conflitto di fondo. Il mistero della Prima Civilizzazione, fino a quel momento sapientemente orchestrato, viene qui dato per scontato e ci si prepara a una nuova fase in cui gli ologrammi di dèi antichi influenzino molto più autenticamente il 2012 del gioco.
Qualcosa che non smette di generare polemiche in quanto Ubisoft, forse concentrandosi troppo sul successo, continua con la sua controversa politica di sfornare un videogioco all’anno. Assassin’s Creed IV: Black Flag viene annunciato pochi mesi dopo la pubblicazione del predecessore, pronto per vedere la luce nell’autunno 2013. Il protagonista stavolta è Edward Kenway (nonno di Connor) e viene fatto muovere nei Caraibi del 1715. Ubisoft e i suoi tre registi Ashraf Ismail, Jean Guesdon e Damien Kieken ripartono da ACIII e ne riprendono la parte oggettivamente più riuscita, le sezioni navali. Stavolta il giocatore si cimenta in quello che prima di tutto è un simulatore piratesco, in cui gestire la propria nave (la Jackdaw) e con questa esplorare una grande mappa prevalentemente marittima. Inaspettatamente il gioco si dimostra avere molto da dire, proponendo una mappa assai meno confusionaria e capace di trasmettere un senso di libertà come poche altre volte si era visto nel brand e più in generale nel settore. Ma ancora una volta la cadenza annuale genera un triste paradosso: pure se Black Flag è un videogioco profondamente diverso dal predecessore, finisce col vendere di meno perché molti di primo acchito pensano che sia solo una riproposizione di ACIII in un contesto diverso.
Lo stesso non aiuta il presente: con Desmond ormai andato, si interpreta con visuale in prima persona un neoassunto della fittizia Abstergo Entertainment. L’azienda ha il compito di estrapolare sequenze genetiche ai fini dell’intrattenimento di massa. Tale costruzione narrativa viene impiegata in maniera assai più massiccia su Assassin’s Creed Liberation, opera derivata per PlayStation Vita in cui si interpretava l’Assassina Aveline de Grandpré nella New Orleans settecentesca. Un videogioco che, rispetto all’ormai lontano Bloodlines, era decisamente più organico e che, oltre alla sempiterna tematica del controllo, cercava di parlare anche di argomenti complessi come il razzismo e la schiavitù (tutte cose poi riprese anche in Grido di Libertà, contenuto scaricabile di Black Flag con protagonista Adewalé, quartiermastro di Edward).
Malgrado gli sforzi anche satirici (non è difficile vedere l’Abstergo Entertainment come una frecciata al settore videoludico tutto) senza Desmond le sezioni nel presente cominciano ad apparire insipide, e poco importa l’introduzione di una nuova “carta” come quella del Saggio. Molti cominciano a sospettare che il brand stia perdendo di identità, e che il suo concentrarsi già da Black Flag sulle avventure individuali (con un Ordine degli Assassini relegato sullo sfondo) ne abbia spostato la concentrazione. L’impressione è che Black Flag abbia fatto il proprio successo non sulla storia di crescita personale e sulle capacità fantastoriche della sceneggiatura, ma sull’attrattiva dell’interpretare un “Pirata dei Caraibi”.
La fine generazione va sfumata di grigio
Senza troppo trambusto, Assassin’s Creed IV: Black Flag fu anche il primo titolo a tentare la via dell’appena nata ottava generazione di console. Ne risultò un titolo cross-gen che a parte il miglioramento grafico non dava particolari stimoli a farsi ricomprare. Ancora una volta la serie inseguiva un cambiamento, cercandolo in un motore grafico che potesse sostenere ambientazioni ancor più massicce e rievocare gli ambienti storici con ancor più accuratezza; ma allo stesso tempo non voleva abbandonare la generazione dove tutto era iniziato. La risposta arrivò nel 2014: in quell’anno Ubisoft portò all’estremo la sua politica “annuale” arrivando a pubblicare ben due Assassin’s Creed. Sulla nuova generazione uscì Assassin’s Creed Unity, mentre sulla “vecchia” Assassin’s Creed Rogue.
Se del primo parleremo più approfonditamente nella prossima puntata, abbiamo avuto modo di ripercorrere l’epopea del secondo di recente grazie alla sua ripubblicazione su PlayStation 4 e Xbox One avvenuta a marzo di quest’anno. L’ultima avventura nell’America coloniale (1752) di Ubisoft cerca di dipingere l’altra faccia della medaglia, facendoci impersonare nientemeno che un Templare, Shay Patrick Cormac. Il passaggio ai nemici di sempre, una sceneggiatura leggermente più organica e una riequilibratura generale di tutte le meccaniche non bastano però a spegnere i pregiudizi sul gioco. Tanto adesso come un lustro fa Rogue rimane l’Assassin’s Creed più controverso, in quanto non pare far nulla per risolvere i suoi difetti storici, lasciando tale “missione” al contemporaneo Unity.
Ugualmente il pubblico lo accoglie freddamente, vedendolo come una sorta di “contentino” per chi ancora non era passato a PS4 e Xbox One. Ad aggravare il tutto vi fu anche la percezione che con Rogue Ubisoft si fosse auto-limitata, poiché se il prodotto di vecchia gen fosse risultato pari o (peggio ancora) migliore di quello per la nuova allora sarebbe probabilmente scoppiata una polemica infinita. Anche a causa di questo l’avventura di Shay passa velocemente in secondo piano, causando un inaspettato risvolto narrativo: Rogue è il prequel diretto di Unity, e il messaggio di fondo di quest’ultimo non viene compreso del tutto appunto perché Rogue non viene ben accolto. Del resto il pubblico era ormai concentrato su ciò che avrebbe potuto fare il brand una volta giunto nella generazione successiva.
In questa puntata dei Cappucci abbiamo ripercorso la “seconda parte” di Assassin’s Creed. La “trilogia delle Americhe” del brand è stata un’epoca prevalentemente di controversie, abbinate però a un certo estro creativo. A fronte di un Assassin’s Creed III rivelatosi un incredibile successo commerciale, Ubisoft ha continuato a insistere con la sua discussa politica di pubblicazione annuale, senza però riuscire a correggere le evidenti lacune del loro franchise di punta. Allo stesso modo, la “trilogia delle Americhe” differisce da quella rinascimentale per il suo continuo cambio di protagonista: l’istintuale Connor, il tagliente Edward, il ribelle Shay e il cinico Haytham non sono che i palesi tentativi di ricreare un “secondo Ezio”, capace di avvincere e affascinare il pubblico come nei primi tempi, forse anche in sostituzione di una parte nel presente ormai non più tanto ispirata. Una ricerca che sarebbe proseguita anche nell’attuale generazione, ma ci sarà tempo per parlarne.
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